Le associazioni antiabortiste nei consultori ci sono già
L'emendamento di cui si sta parlando negli ultimi giorni dà legittimità all'entrata nei consultori delle associazioni antiabortiste, anche se la legge 194 di fatto lo consente
Negli ultimi giorni sui giornali italiani e internazionali si è parlato molto di un emendamento al disegno di legge per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) che dà legittimità a livello nazionale all’ingresso delle associazioni antiabortiste nei consultori, ossia i luoghi dove la maggior parte delle persone va per ottenere il certificato necessario per abortire. L’emendamento, proposto dal deputato Lorenzo Malagola di Fratelli d’Italia e approvato in commissione Bilancio martedì, dice che le regioni, nell’organizzare i servizi dei consultori, possono «avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche del coinvolgimento di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità».
Date le posizioni antiabortiste di diversi esponenti di Fratelli d’Italia e del governo, che ha messo la fiducia sul disegno di legge, molti e molte hanno protestato contro l’emendamento, che nonostante non lo specifichi è chiaramente pensato per le associazioni antiabortiste. Tuttavia, diversi movimenti femministi hanno fatto notare che, seppure l’emendamento abbia un grosso valore politico, non cambia molto rispetto a quella che è già la realtà: in alcune parti d’Italia le associazioni antiabortiste sono infatti presenti nei consultori, sono finanziate da alcune regioni, e si inseriscono al momento dei colloqui dopo i quali è rilasciato il certificato medico per andare in ospedale, tentando di dissuadere le persone in procinto di abortire.
Le amministrazioni regionali, che hanno la competenza sul sistema sanitario, possono infatti permettere l’ingresso di queste associazioni grazie alla legge 194 del 1978, che innanzitutto tutela la maternità e poi legalizza l’aborto. Lo fanno nell’ambito dell’articolo 2, che dice che una delle funzioni fondamentali dei consultori e delle strutture sociosanitarie è di contribuire «a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza». E nel farlo «possono avvalersi […] della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita».
Nel 2020 si era parlato molto del caso del Piemonte, dove su iniziativa di un consigliere di Fratelli d’Italia e con il sostegno del presidente Alberto Cirio di Forza Italia, la Regione aveva diramato una circolare, che citava esplicitamente l’articolo 2 della 194, che finanziava e rafforzava l’ingresso delle associazioni antiabortiste nei consultori e negli ospedali pubblici. Questo avveniva attraverso l’attivazione di “sportelli informativi” di ascolto e la delibera citava, a titolo esemplificativo delle associazioni che avrebbero potuto ricoprire questo ruolo, il Movimento per la vita e i Centri di aiuto alla vita (CAV) ad esso collegati. Altri casi di associazioni antiabortiste dentro ai consultori sono stati documentati in Campania e in Lombardia e proposte simili a quella del Piemonte sono state fatte nel Lazio e in Liguria.
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In più, l’emendamento approvato è diverso da quello che era stato originariamente presentato da Malagola, che prevedeva l’ingresso automatico di queste associazioni nei consultori, dicendo che «le regioni organizzano i servizi consultoriali […] anche con il coinvolgimento di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità». Durante l’esame del provvedimento nella commissione Bilancio della Camera, il governo ha riformulato l’emendamento, proponendone cioè una nuova versione: nella nuova formulazione, le regioni non devono per forza collaborare con queste associazioni, ma «possono avvalersi» del loro aiuto, più in linea con quello che dice la 194. In più, la versione finale dell’emendamento specifica che questa eventuale collaborazione non può comportare «nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica». Espressioni di questo tipo vengono inserite quando il ministero dell’Economia e delle Finanze vuole mettere in chiaro che una nuova misura non può prevedere ulteriori spese per lo stato.
Questo emendamento ha comunque un forte valore politico perché dà legittimità a una pratica che finora era stata portata avanti a livello locale. A riprova di questo, oggi l’articolo 2 è già uno degli articoli più citati dagli esponenti del movimento antiabortista: dopo che mercoledì la ministra spagnola per l’Uguaglianza Ana Redondo aveva criticato l’emendamento su X (Twitter), Eugenia Roccella, ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità ed esponente del movimento antiabortista italiano, ha replicato che queste critiche sono infondate perché l’emendamento «non fa altro che riprodurre alla lettera un articolo della legge sull’aborto in vigore da 46 anni».
Roccella fa parte di un gruppo di esponenti della destra italiana, che comprende anche la stessa Giorgia Meloni, che sostengono di non voler minare la 194, ma solo di volerla “applicare pienamente”. Durante la campagna elettorale per le elezioni parlamentari del 2022 Meloni ripeté più volte di non voler abolire né modificare la legge 194, ma di volerla rafforzare nelle parti in cui parla di «tutela sociale della maternità», che nella pratica, a livello regionale, ha portato a utilizzare queste parti della legge per sostenere associazioni che sono legate a movimenti che vorrebbero che la legge fosse abrogata.
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