La scuola di Parma dove si impara a usare la dinamite
Nell'Istituto di ricerche esplosivistiche fondato a Parma da Danilo Coppe si studiano tante cose, per esempio come far esplodere ponti e palazzi senza farsi male
di Isaia Invernizzi
Le persone che di lavoro maneggiano esplosivi vengono chiamati “esplosivisti”, e devono rispettare molte regole. Alcune sono molto più importanti di altre. La prima, per esempio, è «non uccidere». La seconda, altrettanto indispensabile, è «non uccidersi». Potrebbero sembrare scontate o ridicole, in realtà quando Danilo Coppe ne parla ai suoi allievi lo fa con molta serietà, perché l’esplosivista non è un mestiere come un altro: ogni giorno si convive con la consapevolezza che qualsiasi tipo di errore, anche il più banale, può causare conseguenze letali per se stessi e per altre persone.
Coppe è un tecnico minerario esplosivista, il massimo esperto italiano di esplosivi ed esplosioni. Il primo incarico gli venne assegnato quasi 40 anni fa, nel 1988, e da allora ha demolito centinaia di edifici. Dal 2005 ha aperto l’IRE, l’Istituto di ricerche esplosivistiche, una delle poche scuole in Italia dove si impara a usare gli esplosivi.
«Qui vengono un po’ tutti, dai soldati dell’esercito a chi fabbrica fuochi d’artificio», dice Coppe seduto alla scrivania della sua scuola, che si trova nella periferia di Parma, vicino all’aeroporto. Alle sue spalle c’è una bacheca a cui sono appese decine di mostrine, i distintivi di stoffa o metallo indossati sulle uniformi militari o della polizia per identificare la forza armata di appartenenza e il grado della persona che li indossa. La prima gli fu regalata da un soldato dell’esercito, da allora molti altri allievi hanno arricchito la collezione.
L’IRE è un’organizzazione senza scopo di lucro fondata da Coppe con l’obiettivo di diffondere lo studio della scienza, della tecnica, della giurisprudenza e soprattutto la cultura della sicurezza quando si ha a che fare con gli esplosivi. All’interno ci sono migliaia di cimeli, reperti di bombe, missili, inneschi, una collezione che si è sviluppata negli anni e si è trasformata in uno dei musei dell’esplosivistica più importanti in Europa. Negli anni l’istituto ha organizzato corsi di specializzazione, convegni, dibattiti, finanziato progetti di ricerca e pubblicato libri sul tema. Anche le università dove si studia esplosivistica si affidano a Coppe per tenere le lezioni.
“Esplosivistica di base”, “Difesa da attacchi terroristici con esplosivi”, “Blast investigation”, “Demolizione di ecomostri” sono i nomi dei corsi proposti negli ultimi anni. «La maggior parte dei professionisti iscritti si rivolgono a noi per affinare la tecnica», dice Coppe. «Di fatto non faccio altro che trasmettere un po’ della mia esperienza».
Danilo Coppe ha 60 anni. Dopo aver studiato all’istituto tecnico minerario di Agordo, in provincia di Belluno, una delle poche scuole superiori italiane che preparano gli studenti alla gestione delle miniere, si laureò all’università di Bologna in Scienze criminologiche e della sicurezza. Frequentò poi la scuola di Lennart Abersten, il primo esplosivista che riuscì a deviare una colata di lava utilizzando l’esplosivo, nel 1983 sull’Etna, in Sicilia.
Negli anni Ottanta Coppe iniziò a lavorare nelle cave, dove i grandi spazi permettono di gestire e osservare meglio gli effetti degli esplosivi. Anche se comunque rischioso, un errore commesso all’interno di una cava o di una miniera ha solitamente conseguenze meno gravi rispetto ad altri ambienti come la montagna o le città. La prima esplosione di cui fu responsabile servì a demolire un ponte in provincia di Pavia, nel 1988.
Negli anni successivi abbattè con l’esplosivo moltissimi altri edifici, alcuni dei quali piuttosto noti come le Vele G e H di Scampia, l’ex ILVA di Genova, molti palazzi pericolanti dopo il terremoto dell’Aquila del 2009 e dell’Emilia-Romagna nel 2012. Il suo lavoro più celebre è senza dubbio l’abbattimento delle campate rimaste dopo il crollo del ponte Morandi di Genova, fatte esplodere il 18 giugno del 2019, poco meno di un anno dopo la strage in cui morirono 43 persone.
Negli ultimi anni Coppe si è dedicato meno alle demolizioni e più alle consulenze forensi, cioè all’attività di perito tecnico interpellato dalle procure per dare il suo parere nelle inchieste giudiziarie. Per fare tutto questo, dalle demolizioni alle consulenze, dice Coppe, bisogna continuare a studiare: «È molto importante conoscere a fondo diversi settori: la geotecnica dei materiali, gli esplosivi nei loro aspetti chimici e fisici, l’elettronica e l’elettrotecnica dei circuiti, l’ingegneria delle costruzioni. Ma bisogna anche saper arrampicare in montagna e conoscere le tecniche di immersione per i lavori sott’acqua. Il nostro è un lavoro polivalente».
Ogni esplosione deve essere preceduta da una minuziosa preparazione del cantiere. In questa fase si decide quale esplosivo utilizzare, quanto ne serve, si valutano i rischi per gli edifici intorno, la quantità di detriti prodotti e a che distanza cadranno dopo l’esplosione, oltre a molti altri dettagli che non possono essere trascurati. Le regole generali vanno seguite, ma i principi devono essere adattati al contesto in cui si lavora: un conto è far distaccare una frana in montagna, un altro è far esplodere un palazzo in una città.
La memoria rimarchevole di Coppe lo aiuta a ricordare con precisione decine di casi: se vicino al cantiere c’è una chiesa con affreschi antichi va tenuta bassa la carica perché le vibrazioni possono danneggiarli, mentre se intorno ci sono solo fabbriche in cemento armato si può stare più tranquilli. Quando sul posto si trovano cabine elettriche o cavi dell’alta tensione bisogna fare molta attenzione a dove finiranno i detriti.
Il lavoro più importante è stato anche uno dei più complessi. Intorno al ponte Morandi di Genova infatti c’erano centinaia di case e condomini, linee elettriche, la rete del gas, quella della fibra ottica. La ricognizione durò a lungo e servirono due mesi per preparare le esplosioni, infine distribuite in soli 4 secondi. «Dal punto di vista strutturale però non è stato l’intervento più complicato», racconta Coppe. «Spesso mi è capitato di far cadere ciminiere in un passaggio molto stretto tra due edifici, con una tolleranza di 40 centimetri per parte. Quelli non hanno fatto notizia perché erano in piccoli paesi, a Genova avevamo tutti gli occhi addosso».
La scelta dell’esplosivo è essenziale. Qualsiasi sostanza che si decompone in modo rapido per effetto di una causa esterna, principalmente il calore e gli urti, e nel farlo forma una notevole quantità di gas ad alta temperatura e pressione, si può definire esplosiva. Ma gli esplosivi a disposizione degli esplosivisti sono molti, e hanno proprietà e caratteristiche molto diverse. Alcuni causano una detonazione, cioè una reazione esplosiva a velocità maggiore di quella del suono, solitamente molto potente; altri invece provocano una deflagrazione, cioè una combustione comunque rapida e con sviluppo di fiamma.
Gli esplosivi possono essere distinti anche per stato fisico – esistono quelli liquidi, i gassosi, i solidi, i gelatinosi – per composizione chimica, per caratteristiche esplosive o anche per l’ambiente dove possono essere usati, all’aperto o nel sottosuolo. Alcuni nomi sono familiari, citati in molti film anche se spesso a sproposito: il tritolo, il C4, la nitroglicerina. Altri sono meno noti come la pentrite, l’azotidrato di piombo, il nitrato di ammonio, il nitroglicole. «In alcuni casi è facile scegliere quale usare: il cemento armato chiama la dinamite», dice Coppe. «Quando però devi demolire anche stralli in acciaio, come al ponte Morandi, servono anche cariche particolari».
In Italia esistono pochi depositi che vendono esplosivi e non sono aperti a chiunque: per comprare, trasportare e maneggiare esplosivi servono certificazioni e autorizzazioni diverse a seconda della categoria di esplosivi richiesta. Nella prima categoria sono comprese le polveri, nella seconda le dinamiti, nella terza gli esplosivi detonanti, nella quarta gli artifici, nella quinta le munizioni di sicurezza e i giocattoli pirici. Ci sono tre depositi al Nord, tre al Centro e tre al Sud. Quando un particolare tipo di esplosivo non è disponibile si può chiedere di importarlo dall’estero.
Oltre alla scelta della qualità e della quantità di esplosivo, un’altra fase cruciale riguarda il posizionamento delle cariche e la tempistica. L’esplosivo deve essere piazzato in punti precisi per togliere gli appoggi alla struttura dell’edificio da abbattere in modo controllato. Con un’adeguata preparazione si può decidere se demolire tutta la struttura o solo una parte, e in che direzione farla cadere. Nel caso del ponte Morandi fu necessario abbattere i piloni, tagliare gli stralli d’acciaio e spruzzare acqua per evitare di diffondere la polvere.
Le cariche vengono fatte esplodere con inneschi, cioè dispositivi di accensione: possono essere elettrici o elettronici. All’interno degli inneschi c’è un relé, una sorta di interruttore che scatta al passaggio della corrente elettrica o di un impulso elettronico. I relé possono essere già programmati, quindi pronti a scattare a determinate condizioni, oppure possono essere regolati dagli esplosivisti. Solitamente gli inneschi sono collegati tra loro in un unico esteso circuito. La distribuzione delle esplosioni nel tempo è programmata in modo molto preciso, a ondate di 20 o 30 millisecondi tra una e l’altra.
Una delle competenze difficili da apprendere a scuola è l’abitudine a convivere con il rischio. «Quando si è giovani si ha meno paura per via dell’incoscienza, man mano che si cresce subentra un po’ di ansia da prestazione, poi quando si è ormai esperti è meno probabile avere paura», dice Coppe. «In realtà nel nostro lavoro bisogna soprattutto ostentare sicurezza, perché non è possibile non avere pensieri. Ho imparato a controllare questo aspetto».
Le consulenze forensi sono meno pericolose, anche se comportano un altro tipo di rischio: dallo studio sulle cause e gli effetti di un’esplosione dipende l’esito di inchieste e la possibile condanna o l’assoluzione di persone accusate di un reato. Tra gli altri, Coppe è stato consulente per le inchieste sulla strage alla stazione di Bologna, sulla strage della Moby Prince a Livorno, su quella di piazza della Loggia a Brescia.
Nel 2018, su incarico della procura di Bologna, Coppe esaminò i reperti rimasti risalenti al 1980, quando alla stazione di Bologna una bomba uccise 85 persone e ne ferì 200. Il grosso dei reperti era stato distrutto nel 2006, dieci anni dopo la sentenza del processo contro Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, esponenti del gruppo neofascista NAR, i Nuclei armati rivoluzionari, condannati all’ergastolo in quanto esecutori dell’attentato. Quarant’anni dopo la strage Coppe cercò nuovi reperti. Chiese alla sorella di una vittima di esaminare la chitarra del fratello: era in un sacco, conservata sopra un armadio, e dentro al foro nella cassa armonica trovò polvere con tracce dell’esplosivo. Fu smontato un cartello pubblicitario danneggiato dall’esplosione, che era stato incorniciato tra due lastre di vetro. Fu riesumato anche il corpo di una vittima: nei capelli furono trovate tracce di esplosivo.
Grazie all’analisi dei reperti Coppe e altri consulenti – medici legali ed esperti di chimica – riuscirono a identificare il tipo di esplosivo utilizzato per fabbricare la bomba. Si era sempre pensato che fosse stato utilizzato esplosivo da cava, in realtà si trattava di T4 e tritolo con residui di gelatina, con caratteristiche particolari che consentirono di risalire anche al periodo di fabbricazione. L’esplosivo era stato prelevato da cariche di munizioni risalenti alla Seconda guerra mondiale. La nuova perizia stabilì che la bomba pesava tra i 9 e gli 11 chili, non tra 20 e 25 chili come era stato detto in tutte le inchieste.
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Quasi tutti i casi affrontati da Coppe sono complessi e impegnativi, per questo non gli è possibile seguirne più di tre o quattro all’anno. Le consulenze sono un’occasione per continuare a studiare una materia che si è evoluta negli anni, così come l’insegnamento: «Dopo aver abbattuto il ponte Morandi tutte le altre demolizioni mi sembrano banali, mentre trovo molti stimoli in campo forense. D’altronde, gli anni si fanno sentire».