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  • Martedì 16 aprile 2024

Come funziona l’occhio di falco nel tennis, spiegato

Dall'anno prossimo la tecnologia che permette di valutare se la pallina è dentro o fuori sarà introdotta anche nei principali tornei sulla terra rossa

(AP Photo/Alberto Pezzali)
(AP Photo/Alberto Pezzali)
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Lo scorso sabato il tennista italiano Jannik Sinner ha perso contro il greco Stefanos Tsitsipas nella semifinale del Masters 1000 di Monte Carlo. In questi giorni, perlopiù in Italia e in modo abbastanza inedito per uno sport come il tennis, si sta discutendo molto di una decisione arbitrale che ha penalizzato Sinner in un momento cruciale della partita. Al terzo e decisivo set Sinner stava vincendo 3 game a 1 ed era avanti ai vantaggi nel quinto game, con Tsitsipas al servizio. Quest’ultimo ha tirato due volte fuori il servizio (il cosiddetto “doppio fallo”) e avrebbe dovuto perdere il punto, ma nonostante il secondo errore fosse molto evidente non è stato chiamato fuori né dal giudice di linea (la persona che valuta se la palla è fuori o dentro) né dalla giudice di sedia (l’arbitro principale, che può ribaltare le decisioni del giudice di linea).

Lo scambio è proseguito e Sinner l’ha perso, perdendo poi anche il game e infine la partita: se la palla fosse stata chiamata fuori, il tennista italiano avrebbe vinto il game e con ogni probabilità avrebbe potuto vincere la partita, perché sarebbe andato sul punteggio di 4-1 con due break di vantaggio (il break è la vittoria di un game sul servizio dell’avversario, uno dei principali obiettivi in una partita di tennis). Il replay mandato in onda poco dopo dalla regia del torneo ha mostrato che il servizio di Tsitsipas era fuori di una decina di centimetri, e che quindi il punto sarebbe dovuto andare a Sinner.

L’errore dei giudici è potuto succedere perché il torneo di Monte Carlo, come tutti gli altri tornei sulla terra rossa, non utilizza ancora la tecnologia per decidere se una pallina è fuori o dentro, ma si affida alla vista di giudici di linea e di sedia. L’unico modo per Sinner di evitare l’errore sarebbe stato fermarsi durante lo scambio e chiedere all’arbitra di scendere per controllare il segno lasciato dalla pallina sulla terra rossa, come si fa spesso nei tornei che si giocano su questa superficie. In questo caso avrebbe fatto bene, e la giudice di sedia gli avrebbe dovuto assegnare il punto. Se però Sinner avesse valutato male, e la palla fosse stata dentro, fermarsi gli avrebbe automaticamente fatto perdere il punto: per questo i tennisti spesso scelgono di non rischiare e giocare comunque.

Quanto accaduto a Monte Carlo è una situazione che dall’anno prossimo non si vedrà più a questi livelli, perché dal 2025 tutti i principali tornei su terra rossa adotteranno l’occhio di falco, una tecnologia che permette di valutare elettronicamente dove rimbalza la pallina con un margine di errore bassissimo: lo fanno già da diversi anni i tornei sul cemento. La decisione era già stata presa dall’ATP, l’associazione del tennis professionistico maschile, e non deriva dal punto discusso tra Sinner e Tsitsipas, come alcuni media italiani avevano fatto capire negli ultimi giorni.

Dall’anno prossimo, insomma, anche sulla terra sarà la tecnologia a stabilire se la pallina è dentro o è fuori. È una scelta che ridurrà il margine di errore ma non lo azzererà del tutto, perché il sistema dell’occhio di falco è molto affidabile e accurato ma non infallibile. Fino a questo momento i tornei su terra avevano resistito al cambiamento per ragioni pratiche, dal momento che è l’unica superficie in cui si distingue chiaramente il rimbalzo lasciato dalla pallina, ma anche culturali, in uno sport molto tradizionalista come il tennis.

Il tennista danese Holger Rune controlla con l’arbitro il segno lasciato da una pallina sulla terra rossa (Alex Pantling/Getty Images)

Occhio di falco deriva dall’inglese Hawk-Eye, il principale sistema di visione elettronica utilizzato oggi in oltre venti sport nel mondo. Nel tennis serve a disegnare nella maniera più realistica possibile, e praticamente in tempo reale, la traiettoria della pallina. Per stabilire se è dentro o fuori, non utilizza l’immagine catturata da una telecamera al momento in cui la pallina atterra, ma vengono “triangolate” (cioè messe insieme) le informazioni di dieci o dodici telecamere. Le telecamere, posizionate in modo da coprire tutto il campo, riescono a tracciare il movimento della pallina a 340 fotogrammi al secondo e a trasmetterlo a un computer, che in base a questi dati fa immediatamente una proiezione in 3D del punto in cui la pallina sta per cadere.

Il margine di errore di questo sistema elettronico oggi è abbastanza limitato: tra i 2,2 millimetri e i 3,6 millimetri. Sono assai meno, in ogni caso, del margine di errore di un occhio umano. Uno studio del 2008 aveva stimato che i giudici di linea sbagliassero l’8,2 per cento delle decisioni quando la pallina cadeva in un’area lontana al massimo 10 centimetri dalla linea (questo significa mediamente circa quattro errori per set, quasi tutti evitabili con la tecnologia).

(Mark Kolbe/Getty Images)

Hawk-Eye è il nome dato alla tecnologia dall’azienda che la sviluppa, la Hawk-Eye Innovations, nata nel 2001 e acquistata dalla multinazionale giapponese Sony nel 2011. Oggi molti degli sport più popolari utilizzano il sistema Hawk-Eye, motivo per il quale la tecnologia stessa ha preso comunemente il nome di occhio di falco (un po’ come la Coca-Cola, dove la bevanda ha preso il nome dall’azienda). Fu utilizzata per la prima volta in assoluto nell’agosto 2001 nel cricket, mentre nel tennis debuttò nel 2003 agli Australian Open, uno dei quattro tornei del Grande Slam, i più importanti della stagione.

In entrambi i casi, l’occhio di falco non fu utilizzato per aiutare arbitri e giudici di linea, cioè come moviola in campo, ma solamente a scopo televisivo, per mostrare agli spettatori dove fosse caduta la pallina (in base alla ricostruzione 3D). È quello che accade ancora oggi nei principali tornei su terra rossa, nei quali le telecamere Hawk-Eye sono disponibili per il pubblico che guarda la partita in tv, ma gli organizzatori dei tornei scelgono di non usarle nel gioco per stabilire se la pallina sia dentro o fuori (anche se come detto diversi lo faranno dal 2025): per questo pochi secondi dopo il servizio di Tsitsipas contro Sinner tutti sapevano che quella pallina era fuori.

Nel 2005 Hawk-Eye passò i test della ITF, la Federazione Internazionale Tennis, e nel 2006 venne introdotto in un importante torneo di tennis, gli US Open, un altro degli Slam come supporto per l’arbitro. Per accelerarne l’approvazione furono decisivi i quarti di finale giocati tra le due forti tenniste statunitensi Jennifer Capriati e Serena Williams agli US Open del 2004. In quella partita Williams venne penalizzata da diverse decisioni dei giudici, che valutarono male la caduta della pallina in almeno quattro occasioni: gli errori furono particolarmente evidenti perché per le televisioni era già attivo l’occhio di falco, e quindi tutti gli spettatori se ne accorsero subito.

(AP Photo/Asanka Brendon Ratnayake)

Negli ultimi anni ha cominciato a essere usato l’Hawk-Eye Live, cioè un sistema che, subito dopo aver elaborato le immagini delle telecamere, dice ad alto volume «Out!» quando la pallina è fuori, sostituendosi del tutto ai giudici di linea: anche nella voce, visto che solitamente sono loro a urlare quando una palla è fuori. La tecnologia è stata prima sperimentata al torneo Next Gen (quello riservato agli otto migliori giovani giocatori dell’anno), poi è stata adottata in alcuni campi degli US Open nel 2020 e infine su tutti i campi degli Australian Open 2021, che diventò il primo torneo del Grande Slam senza alcun giudice di linea (oggi nemmeno agli US Open ci sono più).

La soluzione nacque dall’esigenza di avere meno persone possibili su un campo da tennis nel periodo della pandemia da Covid-19, per limitare i contagi, ma poi gli organizzatori videro che funzionava e decisero di mantenerla: oggi in tutti i principali tornei (maschili e femminili) giocati sul cemento non ci sono più i giudici di linea e c’è l’occhio di falco automatico. In tornei giocati sull’erba come Wimbledon, il più prestigioso in assoluto, insieme a qualche altro, non è ancora così: per il momento resiste il vecchio meccanismo delle “chiamate” a disposizione dei giocatori. Per i primi anni infatti anche sul cemento l’occhio di falco non sostituiva il lavoro dei giudici di linea, ma veniva usato solo come strumento a disposizione dei giocatori, che potevano contestare la decisione arbitrale e chiedere una revisione con l’aiuto della tecnologia.

Il sistema funziona così: durante uno scambio, quando un tennista (o una tennista) non è convinto di una chiamata, può interrompere il gioco e dire all’arbitro di vedere l’immagine elaborata dalle dodici telecamere. Se Hawk-Eye gli dà ragione, il giudice di sedia gli assegna il punto (in caso di pallina tirata fuori dall’avversario) o lo fa ripetere (in caso di pallina tirata dentro dal giocatore, ma giudicata fuori dal giudice). In questo meccanismo, ogni giocatore può richiedere tre revisioni per ogni set, ma se la revisione gli dà ragione, quella non viene conteggiata (e quindi gli rimane a disposizione lo stesso numero di revisioni che aveva prima). Il problema è che un tennista deve essere piuttosto sicuro di quello che ha visto, per arrivare a interrompere uno scambio: perché se sbaglia perde il punto.

Una giudice di linea a Wimbledon (Julian Finney/Getty Images)

Quella di Hawk-Eye non è l’unica moviola in tempo reale esistente, anche se è quella ampiamente più usata (non solo nel tennis). La prima tecnologia a essere approvata per la terra fu quella sviluppata dalla Foxtenn. A differenza dell’occhio di falco, che fa delle proiezioni, Foxtenn valuta il cosiddetto real bounce, il rimbalzo reale, grazie all’impiego di quaranta telecamere che filmano 2.500 frame al secondo. Per il momento, comunque, la utilizzano pochissimi tornei, per le difficoltà di inserirsi in un mercato dominato da Hawk-Eye e anche, a livello pratico, di installare 40 telecamere in ogni campo (al Roland Garros, il torneo del Grande Slam che si gioca sulla terra, ne servirebbero 800, visto il numero di campi).

L’azienda Hawk-Eye ha detto alla televisione statunitense CNBC che l’attrezzatura per un campo da tennis costa circa 100mila euro (ma per certi campi sono sufficienti 40mila euro), e che ci vogliono solitamente tre giorni per installarla e calibrarla. Lo si fa tirando più volte sulle linee le palline, con una racchetta o una macchina spara-palline. Uno dei motivi per cui i tornei su terra rossa hanno ritardato l’utilizzo della tecnologia è che la superficie è più mutevole, si modifica in base alle condizioni atmosferiche e al passaggio dei giocatori. Questo aumenta leggermente il margine di errore, e soprattutto rende necessaria una ricalibrazione più frequente. Nei tornei sul cemento, questa viene solamente fatta all’inizio, mentre sulla terra potrebbe dover essere aggiustata anche tra una partita e l’altra, in un’operazione che richiederebbe circa mezz’ora.

Problemi nella calibrazione degli strumenti capitano, ma sono in generale abbastanza rari. È successo in modo abbastanza clamoroso in una recente partita del torneo di Miami tra la russa Daria Kasatkina e la romena Sorana Cirstea:

Come detto, però, i campi dei principali tornei su terra hanno già l’occhio di falco per le televisioni e la tecnologia è già stata approvata dall’ITF. Se gli organizzatori scelgono di non usarlo, quindi, è soprattutto per ragioni legate alla tradizione, e perché sulla terra è in ogni caso più difficile sbagliare. Oggi in una partita su terra il giocatore può interrompere lo scambio e chiedere al giudice di sedia di scendere dal “seggiolone” per verificare sulla terra il segno lasciato dalla pallina. 

In uno sport molto conservatore e legato alle sue usanze, molti spettatori (e anche alcuni giocatori) apprezzano il rituale dell’arbitro che scende in campo e guarda il segno, le discussioni con i giocatori e le giocatrici che non sono d’accordo. In un recente articolo su Ultimo Uomo, Emanuele Atturo ha descritto questi momenti come «l’ultimo anello di congiunzione tra il tennis professionistico e quello da circolo». È lo stesso motivo per il quale Wimbledon, il più importante (ma anche il più tradizionalista) torneo di tennis al mondo, ha aspettato fino a oggi per adottare l’occhio di falco in tempo reale (lo farà, come detto, dal 2025), mantenendo il sistema “a chiamata”.

Il tennista serbo Novak Djokovic, numero 1 al mondo, discute con una giudice di sedia su una chiamata dubbia (Clive Brunskill/Getty Images)

Quello che è successo nel dibattito pubblico italiano dopo la partita tra Tsitsipas e Sinner, comunque, è una cosa abbastanza inedita. Se le discussioni tra giocatori e arbitri sono sempre esistite, il tennis è uno sport in cui tradizionalmente chi protesta con i giudici non è ben visto, e l’accettazione delle decisioni arbitrali fa parte del modo di stare in campo. Per questo i più tradizionalisti si oppongono all’utilizzo della tecnologia: secondo loro un errore di chiamata fa parte del gioco.

Come ha scritto Ultimo Uomo, però, questa cosa sta cambiando, e non solo perché la tecnologia sempre più avanzata si è dimostrata più “giusta” dell’occhio umano, ma anche perché molti tennisti e tenniste della nuova generazione hanno dimostrato di non essere più disposti ad accettare errori di valutazione evitabili. Quando, dall’anno prossimo, l’occhio di falco sarà usato sulla terra, bisognerà capire se tennisti, giudici e tifosi si fideranno della tecnologia, accettando la decisione del computer anche quando il segno visibile sulla terra lascerà intendere altro.