Alcova, il Salone nel Salone
Dal 2018 espone design d'avanguardia in ex macelli, ospedali militari in disuso e laboratori di panettoni chiusi: oggi è tra gli eventi più attesi della fiera del mobile di Milano
di Arianna Cavallo
Il 16 aprile è iniziata la 62esima edizione del Salone del Mobile di Milano, una delle esposizioni più rilevanti al mondo per il settore dell’arredamento e del design: proseguirà fino al 21 aprile e radunerà 1950 espositori da 35 paesi. In concomitanza con la fiera, che dal 2011 è allestita nel polo extraurbano di Rho, ogni anno proliferano in città gli eventi del Fuorisalone, nato negli anni Ottanta quando i marchi di design indipendenti cominciarono ad aprire degli showroom improvvisati in città. Oggi il Fuorisalone è cresciuto in maniera incontrollata: aggrega eventi e iniziative disparate, affollatissime e spesso prese in giro dai milanesi per la loro pretesa di creatività, buona per Instagram ma con poca sostanza.
Tra questi due eventi – quello più per addetti ai lavori e quello più promozionale e festereccio – se n’è affermato dal 2018 un terzo che, pur facendo parte del Fuorisalone è diventato quasi una cosa a sé, e per molti, almeno a Milano, è quello da non perdere. Si chiama Alcova e unisce una selezione ben definita – di progetti e prodotti all’avanguardia, di ricerca sulla sostenibilità ambientale e con proposte alternative alla produzione industriale – con un lavoro di riscoperta urbana, scegliendo luoghi espositivi affascinanti, decadenti, spesso in disuso da decenni e riaperti per l’occasione.
Quest’anno per la prima volta Alcova si terrà fuori da Milano, in una casa modernista e in una villa settecentesca a Varedo, in Brianza (raggiungibile da Milano in 20 minuti con il passante ferroviario), ma in passato era stata ospitata nell’ex macello comunale, in un ospedale militare abbandonato e nel laboratorio di panettoni in disuso dell’azienda Cova (da cui il nome), nel quartiere allora in riqualificazione di NoLo, nel nord della città.
Sono luoghi abbandonati che affascinano chi vive a Milano, perché magari non li conosce o ne ha sentito vagamente parlare, e che coglie l’occasione per scoprirli di persona. Sono spazi monumentali ma con le loro nicchie, tra stanze senza soffitti, muri scrostati, terreni dissestati e la vegetazione che prova a mangiarsi tutto, ricoprendo i pavimenti, spuntando dalle piastrelle rotte o pendendo da travi a vista.
«Per noi la ricerca del luogo è molto importante, la prima l’abbiamo fatta insieme camminando per le vie di NoLo, che stava ancora nascendo, e abbiamo visto dietro le crepe di un cancello l’ex panettonificio» racconta Joseph Grima, architetto e curatore dello studio Space Caviar, che ha fondato Alcova insieme a Valentina Ciuffi, consulente creativa, curatrice e fondatrice di Studio Vedèt. Ciuffi aggiunge che «io e Joseph saremmo andati 12 volte a trovare il signore della piccola pasticceria di viale Monza che possedeva questo luogo per convincerlo».
Grima e Ciuffi si conoscevano da anni e avevano una conoscenza approfondita del Salone e del Fuorisalone: lei ne aveva scritto più volte da giornalista e lui ci aveva curato un evento. Ciuffi ricorda che «a inizio Duemila o poco prima, il Fuorisalone era fatto di design indipendente, da persone che da sole aprivano un garage di via Tortona» ma quello spirito più «vicino alla ricerca stava un po’ svanendo».
Così nel 2017 inviarono una mail ai loro contatti «diversi ma intrecciati» invitandoli in un posto che rispecchiasse l’idea del Fuorisalone di «unire la città nell’esporre in spazi e architetture inaspettate». Così nacque Alcova: «per radunare il design indipendente di ricerca che ci interessava», dice sempre Ciuffi.
In poco tempo l’ex laboratorio di panettoni venne messo in sicurezza ma le piante selvatiche, le buche per terra, i pavimenti dissestati restarono e la struttura fu mantenuta a cielo aperto. Fu una sfida anche per gli espositori, quasi una trentina tra gallerie e collettivi sperimentali. Quell’anno, quando ci si provava a raccapezzare nel caotico programma del Fuorisalone, il nome di Alcova era quello che chi ne sapeva consigliava agli amici come il posto dove andare. La rete di contatti di Ciuffi e Grima e il passaparola richiamarono sull’evento un interesse che proseguì anche a Salone finito: chi ci era andato lo raccontava, incuriosendo chi non era riuscito a passare.
Un po’ di foto dalle edizioni passate di Alcova
L’anno dopo Alcova si tenne nello stesso luogo con l’aggiunta di uno spazio nella vicina via Venini. I progetti proposti erano incentrati sulla sostenibilità e su come produrre oggetti versatili e di lunga durata, con nuovi materiali – tessuti fatti con piante di banana, corde fatte con capelli umani e un pigmento ottenuto dall’inquinamento atmosferico – e processi produttivi alternativi. La curatela si dimostrò all’altezza e la fama di Alcova si consolidò. Il modello organizzativo da allora è rimasto lo stesso: i progetti sono selezionati da Ciuffi e Grima con l’aiuto dei loro collaboratori tra le tante proposte che ricevono. Alcova si sostiene economicamente con gli affitti pagati dagli espositori, che coprono anche le spese per la messa in sicurezza degli edifici e per la comunicazione.
A causa dell’epidemia da coronavirus, nel 2020 il Salone non si tenne e nel 2021 venne spostato a settembre. Alcova trovò una nuova sede: l’ex ospedale militare di Baggio, vicino alla fermata della metropolitana di Inganni, che era inutilizzato da 15 anni ed era tornato parzialmente in uso per le vaccinazioni contro il Covid. La sede era imponente, con 20 ettari tra interni ed esterni e un viale alberato che portava a tre edifici allestitivi. Attirò circa 60mila visitatori e nel 2021 Alcova si tenne di nuovo qui: era ormai una realtà consolidata e da laboratorio sperimentale di nicchia era diventato una «fiera off giocosa e indipendente, amante del rischio». In quell’edizione, infatti, c’erano 12 installazioni all’aperto che richiamavano l’idea di un parco giochi surrealista e poi negli spazi, diventati quattro, una raccolta di urne cinerarie realizzate apposta, monoliti di marmo, faretti sospesi, una stanza allestita come una nave immaginaria che trasportava tessuti e profumata da 230 chili di curcuma dispersi in quello spazio.
Nel 2023 Alcova cambiò di nuovo sede e si spostò nell’ex macello di Porta Vittoria, costruito tra il 1912 e il 1914 e dismesso tra il 1995 e il 2005, noto a Milano per essere stato utilizzato dagli attivisti del centro sociale di Macao. I progetti esposti erano più di 70 e attirarono circa 100mila persone, molte non riuscirono nemmeno a entrare, imbottigliate nelle lunghe code, inaspettate anche per gli organizzatori.
Nel dicembre del 2023 Alcova è stata riproposta a Miami, in Florida, tra i tanti eventi della Miami Beach Art Basel, una delle più importanti fiere internazionali di arte moderna e contemporanea. La formula è stata la stessa: anziché al Convention Center, la sede istituzionale con tutti i padiglioni, Alcova si è tenuta al Gold Dust Motel, uno dei classici motel statunitensi con patio e piscina che si vedono nei film.
Intanto Alcova è diventato anche uno spazio fisico, con uno showroom in via Padova dove espone alcuni dei prodotti più interessanti che ha ospitato in questi anni, che sono venduti anche nel suo negozio online. «È una piattaforma e-commerce da cui tratteniamo una percentuale sulle vendite – spiega Ciuffi – ma è anche un’operazione curatoriale» che sostiene in modo concreto i designer e i marchi che ruotano attorno ad Alcova. Quest’anno il negozio avrà anche uno spazio fisico, alla fine del percorso di Villa Bagatti Valsecchi, la residenza estiva settecentesca di una famiglia aristocratica milanese, che ospita questa edizione di Alcova insieme a Villa Borsani, una casa modernista costruita vicino all’atelier di mobili della famiglia Borsani a Varedo.
La scelta di sostituire edifici post-industriali abbandonati con due ville in Brianza è stata criticata da alcuni, come un segno del fatto che Alcova avrebbe abbandonato il proprio spirito originario. Ciuffi ha spiegato che l’idea di spostarsi a Villa Borsani c’era da tempo: il nipote di Osvaldo Borsani – noto designer e architetto, fondatore della ditta Tecno – è loro amico e li invitava da anni. Grima aggiunge che «per una realtà come Alcova è importante dimostrare di saper andare oltre una categoria definita di spazi», in più le persone ormai si «fidano e sanno che se chiediamo di spostarsi ne vale la pena: questo ci permette di essere più avventurosi».
La vera natura di Alcova, infatti, non è commerciale e nemmeno espositiva, ma visionaria: l’ispirazione sono i tantissimi progetti di architetti radicali degli anni Sessanta, come l’avanguardia britannica Archigram o l’artista olandese Constant Nieuwenhuys con la sua New Babylon. Alcova, insomma, è un gruppo di lavoro temporaneo dove ognuno, riassume Grima, «crea qualcosa che da solo non avrebbe potuto fare e questa è la massima espressione dell’architettura».