La notevole alleanza informale che ha difeso Israele dall’attacco iraniano
Vi hanno partecipato, con vari ruoli, alleati storici di Israele come gli Stati Uniti, ma anche Giordania e Arabia Saudita: tutti uniti con l'obiettivo di contrastare l'Iran
La ragione principale per cui Israele è riuscito a intercettare la stragrande maggioranza dei droni e dei missili lanciati dall’Iran nella notte tra sabato e domenica, e ridurre al minimo i danni dell’attacco iraniano, è che ha ricevuto ampia assistenza sia dai suoi alleati tradizionali, come gli Stati Uniti e il Regno Unito, sia da alleati per molti versi inaspettati, come la Giordania e l’Arabia Saudita.
Secondo fonti israeliane, l’Iran ha lanciato contro Israele 170 droni suicidi, 120 missili balistici e circa 30 missili da crociera. È un attacco potenzialmente enorme: basti pensare che il 24 febbraio del 2022 il grosso attacco missilistico con cui la Russia iniziò l’invasione dell’Ucraina aveva comportato il lancio di 160-200 missili, per colpire un paese che è 20 volte più grande di Israele. A differenza di quello russo, l’attacco iraniano era stato però ampiamente annunciato, e il suo scopo principale non era di provocare la massima distruzione, ma di inviare un messaggio politico: compiere una ritorsione per l’omicidio di Mohammad Reza Zahedi, importante generale delle Guardie rivoluzionarie, forza militare iraniana molto influente e potente.
Nonostante questo, l’attacco di sabato notte avrebbe comunque potuto provocare grossi danni se l’alleanza informale anti iraniana che è intervenuta in difesa di Israele non fosse stata così efficace. In particolare, gli aerei da guerra statunitensi, britannici e giordani hanno avuto un ruolo importante nell’abbattimento dei droni, che sono stati quasi tutti distrutti nello spazio aereo della Giordania, prima che arrivassero in Israele. Il grosso dei missili, invece, è stato intercettato dai sofisticati sistemi di difesa aerea israeliani.
Anche l’Arabia Saudita, paese con cui Israele non ha nemmeno relazioni diplomatiche ufficiali, ha avuto un ruolo nella risposta all’attacco iraniano: secondo il Wall Street Journal ha condiviso con gli Stati Uniti e con Israele informazioni di intelligence che sono poi state fondamentali nella preparazione all’attacco. Altri ipotizzano che abbia anche ospitato sistemi di difesa antiaerea statunitensi, che hanno contribuito all’abbattimento dei mezzi iraniani, ma non ci sono informazioni confermate in merito.
Ha contribuito a rendere efficaci le operazioni di intercettazione anche il fatto che, sempre secondo il Wall Street Journal, per circa la metà dei missili balistici lanciati dall’Iran è fallito il lancio oppure sono caduti da soli prima di raggiungere l’obiettivo.
La formazione di questa alleanza è un obiettivo a cui gli Stati Uniti lavorano da anni. Soprattutto perché, mentre il sostegno degli alleati occidentali come Stati Uniti e Regno Unito (anche la Francia ha contribuito all’abbattimento di qualche drone) si può dare per scontato, non vale lo stesso per paesi come la Giordania e l’Arabia Saudita.
Il punto principale di questa alleanza è che, più che essere a favore di Israele, è contro l’Iran. Come ha detto al Wall Street Journal Steven Cook, un esperto del centro studi Council on Foreign Relations, i governi arabi nella regione possono odiare il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ma odiano ancora di più il governo dell’Iran.
Lo scopo principale dei paesi arabi sunniti che sabato notte hanno difeso Israele non era tanto quello di evitare danni alle infrastrutture israeliane, quanto di contrastare le capacità offensive dell’Iran nella regione, e di dimostrare che gli attacchi esterni dell’Iran, paese sciita, possono essere annullati dall’intervento dei paesi arabi sunniti (sciismo e sunnismo sono i due principali orientamenti dell’Islam). L’Arabia Saudita, in particolare, è il principale rivale regionale dell’Iran, mentre la Giordania si sente da tempo minacciata dalla presenza di gruppi filo iraniani in Iraq e Siria.
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Gli Stati Uniti cercano da tempo di favorire una maggiore integrazione tra i sistemi di difesa israeliani e quelli dei paesi arabi in chiave anti iraniana, e le azioni di sabato notte mostrano che i loro sforzi hanno avuto successo.
Sono state importanti soprattutto due cose: anzitutto la “distensione politica” portata dai cosiddetti “accordi di Abramo”, cioè quegli accordi con cui a partire dal 2020 quattro paesi arabi (Emirati Arabi Uniti, Marocco, Bahrein e Sudan) normalizzarono i propri rapporti con Israele. L’Arabia Saudita non l’aveva ancora fatto, ma prima che cominciasse la guerra a Gaza erano in corso negoziati promettenti.
In secondo luogo, gli Stati Uniti lavoravano da anni per fare avvicinare Israele e i paesi arabi della regione anche dal punto di vista della cooperazione militare. Nel 2022 il dipartimento della Difesa spostò la gestione dei rapporti militari con Israele dal Comando europeo al Comando centrale, noto come Centcom, che include anche gli altri paesi del Medio Oriente. Con questi termini (“Comando europeo”, “Centcom”) si intendono le diverse divisioni geografiche tramite le quali le forze armate americane si dividono le competenze militari. Il Comando europeo si occupa degli affari europei, il Centcom si occupa di Medio Oriente, Asia centrale e Asia meridionale (secondo una datata concezione per cui quest’area sarebbe il “centro” della mappa geografica).
Inserendo la gestione dei rapporti militari con Israele nel Centcom – e quindi facendo in modo che gli stessi ufficiali che si occupavano di Medio Oriente cominciassero a occuparsi anche di Israele – gli Stati Uniti volevano favorire l’integrazione militare di Israele con il resto dei paesi della regione, cosa che sabato notte ha dato i suoi risultati.
Ora uno dei problemi è capire cosa succederà se quello che finora è stato un botta e risposta tra due paesi rivali (Israele ha ucciso un generale iraniano, l’Iran ha risposto con un ampio, coreografato e tutto sommato inconcludente lancio di droni e missili) si trasformasse in un conflitto più ampio che coinvolge tutta la regione. Quello di sabato è stato il primo attacco diretto dell’Iran contro Israele, e potrebbe provocare ampie conseguenze in tutta la regione.
Anche per questo, esattamente come gli Stati Uniti, ora anche i paesi arabi stanno cercando di evitare un aumento del livello dello scontro e della ritorsione, per evitare di essere trascinati in una guerra regionale in cui si troverebbero in una posizione estremamente scomoda.
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La partecipazione a questa alleanza informale, inoltre, potrebbe creare problemi ai governi arabi che vi partecipano, soprattutto in questo periodo di guerra nella Striscia di Gaza.
In particolare in Giordania, dove un quinto della popolazione è palestinese (2,3 milioni di persone), dall’inizio della guerra moltissime persone protestano contro il governo perché non starebbe facendo abbastanza per la causa palestinese. In questo contesto, la notizia che la Giordania ha contribuito ad abbattere i droni iraniani diretti contro Israele non è stata presa bene. Le autorità giordane hanno detto di aver abbattuto i droni iraniani non per difendere Israele, ma per preservare il proprio spazio aereo. Nonostante questo, sui social media hanno cominciato a circolare fotomontaggi che mostrano Abdallah II, il re giordano, con indosso la divisa dell’esercito israeliano.