Il governo si lamenta molto degli effetti del Superbonus, ma fa poco per limitarli
Le misure per prevenire il suo enorme impatto sui conti pubblici non sono così drastiche, e in parlamento i partiti della maggioranza vanno in direzione opposta
Se ne parla ormai da diverso tempo in questi termini, ma l’impatto del Superbonus e degli altri bonus edilizi sui conti pubblici continua a essere profondo e preoccupante per il governo. Martedì il sottosegretario all’Economia Federico Freni ha comunicato che il totale dei crediti connessi a queste agevolazioni fiscali per la ristrutturazione degli immobili privati, dal 15 ottobre 2020 al 4 aprile 2024, è di «circa 219 miliardi», di cui 160,3 miliardi per il Superbonus, e 58,7 miliardi per tutti gli altri bonus. Si tratta nel complesso di una cifra enormemente maggiore rispetto a quella inizialmente stimata dalla Ragioneria generale dello Stato, l’organismo che ha il compito di vigilare sul bilancio pubblico.
Anche per tentare di mitigare questi effetti catastrofici del Superbonus, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha giustificato la pubblicazione di un Documento di economia e finanza (DEF) molto prudente nella previsione delle spese per il prossimo anno (il DEF ha questa funzione, principalmente). Oltre che prudente, però, il DEF è anche reticente, nel senso che nel documento non c’è alcuna indicazione su come il governo intenda trovare entro l’autunno una ventina di miliardi necessari per rifinanziare alcune importanti agevolazioni fiscali introdotte per il 2024, ma che scadranno a fine dicembre se non verranno rinnovate con risorse nuove.
Di fronte a questo atteggiamento ambiguo del governo, Repubblica ha parlato del Superbonus come di un alibi scelto dalla destra per legittimare un DEF che non dà certezze sul futuro prossimo. È una lettura simile a quella che da mesi danno anche Il Fatto Quotidiano e molti parlamentari di opposizione, soprattutto quelli del Movimento 5 Stelle. In realtà, sul piano strettamente finanziario, è difficile sostenere che si tratti di un alibi, cioè di una scusa ingannevolmente agitata dal governo.
Il Superbonus è il grande piano di agevolazioni fiscali introdotto nel 2020 per rimborsare (e anzi dare qualcosa in più oltre al rimborso) le spese delle ristrutturazioni edilizie che migliorano l’efficienza energetica degli immobili. La sua storia, così come quella degli altri bonus edilizi (per esempio quello per il rifacimento delle facciate dei palazzi nel centro delle città), è la storia di misure approvate senza che ci sia stata una ponderata previsione del loro impatto finanziario, che si è rivelato in breve tempo molto più alto rispetto alle stime iniziali.
Nel 2020 la Ragioneria prevedeva che nel loro insieme i vari bonus sarebbero costati al massimo 71 miliardi in tre anni. Il 23 maggio del 2023, riferendo alla Camera sugli effetti di queste misure sul bilancio pubblico, i dirigenti tecnici del ministero dell’Economia e il capo della Ragioneria Biagio Mazzotta aggiornarono il conto valutando in 116 miliardi il costo totale dei bonus edilizi: il solo Superbonus valeva 67 miliardi e gli altri bonus, 49 miliardi. Meno di un anno dopo, la spesa totale aggiornata è quasi raddoppiata: 219 miliardi, appunto, ovvero quasi 150 miliardi in più rispetto alle previsioni iniziali. Per avere un termine di paragone, la legge di bilancio del dicembre scorso ha stanziato per tutto il 2024 un totale di circa 28 miliardi, che serviranno a finanziare tutte le misure previste dal governo per l’anno in corso.
Tutto questo ha prodotto grossi squilibri nel bilancio statale. Per quanto riguarda il deficit, cioè il disavanzo tra entrate e uscite nel bilancio del singolo anno, le stime del governo nel corso del 2023 sono state costantemente riviste in senso peggiorativo: ad aprile dello scorso anno il ministero dell’Economia aveva previsto per il 2023 un deficit del 4,5 per cento del PIL (il prodotto interno lordo), poi a novembre stimò un deficit del 5,3 per cento, e invece si è arrivati, secondo le recenti stime dell’ISTAT (l’Istituto nazionale di statistica) al 7,2 per cento del PIL. Significa, nel complesso, un maggiore disavanzo di quasi 55 miliardi. Di conseguenza, anche il debito pubblico ne risente: anziché iniziare a scendere a partire da quest’anno come previsto nel settembre scorso dal governo, le stime inserite nel DEF dal ministro Giorgetti prevedono invece che il debito salirà fino al 2026.
Sul piano finanziario, dunque, è indubbio che il Superbonus non sia semplicemente un alibi, e che anzi i suoi effetti sul bilancio dello Stato limitano fortemente le possibilità d’azione di questo governo. Il punto, semmai, sta nel fatto che il governo di Giorgia Meloni, da quando è entrato in carica oltre un anno e mezzo fa, denuncia con toni accorati quanto sia stato lesivo il Superbonus ma allo stesso tempo non ha preso misure drastiche per limitarne l’impatto.
L’ambiguità della destra sul Superbonus era evidente già prima della nascita del governo di Meloni. Introdotto nel maggio del 2020 dal secondo governo di Giuseppe Conte, quello con Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, il Superbonus è da allora rimasta una misura cara al Movimento che la rivendica ancora oggi. Dopo essersi rivelata di difficile attuazione, il Superbonus iniziò a essere uno strumento di successo quando il governo successivo, quello guidato da Mario Draghi, ne corresse alcune storture. Col passare del tempo, però, la contrarietà di Draghi e del suo ministro dell’Economia Daniele Franco a questa misura divenne sempre più esplicita, e portò all’approvazione di una quindicina di provvedimenti ideati proprio per limitare gli abusi e le distorsioni del Superbonus.
Ma per tutto il 2021 e buona parte del 2022 Draghi e Franco si trovarono a fronteggiare le resistenze e le contrarietà di quasi tutti i partiti, schierati compatti a difesa del Superbonus. Non solo il M5S, ma anche Lega e Forza Italia, che erano parte della maggioranza di governo. Fratelli d’Italia, l’unico partito che stava all’opposizione, contestava le critiche di Draghi al Superbonus. La stessa Meloni elogiava la misura con toni non diversi da quelli adottati dal M5S, e ancora in campagna elettorale, poco prima del voto che l’avrebbe poi portata a diventare presidente del Consiglio, si diceva pronta a «tutelare i diritti del Superbonus».
#Pronti a tutelare i diritti del superbonus e a migliorare le agevolazioni edilizie.
Sempre dalla parte delle imprese e dei cittadini onesti che si danno da fare per far crescere e migliorare l’Italia.Ecco le proposte di @FratellidItalia ⤵️ pic.twitter.com/wDAjKADHnu
— Giorgia Meloni (@GiorgiaMeloni) September 17, 2022
Ci sono poi analoghe contraddizioni all’interno della Lega. Il ministro dell’Economia, il leghista Giorgetti, è uno dei più loquaci quando si tratta di criticare il Superbonus, è arrivato persino a dire che quando ci pensa gli viene il mal di pancia. Tuttavia la Lega ha sempre difeso il Superbonus, e ha complicato la vita a Draghi quando voleva provare a limitarlo.
C’è un esempio particolarmente efficace che spiega questa contraddizione: per giustificare uno dei suoi provvedimenti correttivi sul Superbonus, nel febbraio scorso Giorgetti citò un discorso fatto da Draghi per denunciare gli errori commessi da chi aveva congegnato il funzionamento della cessione dei crediti alla base del Superbonus. «Io lo sottoscrivo dalla prima all’ultima parola», disse Giorgetti. Quel discorso Draghi lo pronunciò nell’aula del Senato il 20 luglio del 2022: subito dopo la Lega, cioè il partito di Giorgetti, decise di togliere la fiducia al governo di Draghi, contribuendo a farlo cadere.
Non è una novità che i politici abbiano posizioni contraddittorie a seconda delle convenienze tattiche del momento. Il ministro dell’Economia di Draghi, Daniele Franco, nell’estate del 2022 stava definendo un progetto per introdurre un tetto annuale di spesa per il Superbonus a partire dal 2023: sarebbe stato un intervento decisivo per limitare l’impatto finanziario della misura e scongiurare il rischio di ulteriori squilibri nel bilancio dello Stato.
Il governo di Meloni ha deciso di non seguire quell’ipotesi, che andava ancora perfezionata. Ma ai tanti annunci di provvedimenti per correggere le storture ed eliminare gli abusi in maniera più circostanziata da parte di Meloni e Giorgetti sono seguiti interventi piuttosto parziali, come per esempio quello del novembre del 2022 contenuto nel decreto cosiddetto “Aiuti-quater”, e soprattutto quello del febbraio del 2023 contenuto nel decreto “Cessioni”, più determinato ma ancora lontano dall’essere risolutivo.
Questa discrepanza tra l’enfasi dei toni usati e la limitatezza delle misure adottate è legata a motivi politici, ovviamente, che sono gli stessi che spiegano la timidezza delle opposizioni di centrosinistra nel criticare il governo su questo aspetto. Il Superbonus è una misura fortemente difesa da tutto il comparto dell’edilizia, che conta circa 2 milioni di imprese iscritte alle Camere di commercio, e genera enormi giri d’affari. È difficile per un governo, e ancor più per un governo di destra che si dice intenzionato a tutelare gli interessi dei settori produttivi, inimicarsi costruttori, artigiani, agenti immobiliari, tutti i protagonisti dell’economia che ruota intorno all’immobiliare.
Tra i partiti di maggioranza, quello che più convintamente si oppone a superare il Superbonus è Forza Italia, che da mesi fa una battaglia per prorogare la misura (peraltro mettendo in una posizione molto scomoda proprio Giorgetti). Ma le iniziative più temerarie di Forza Italia vengono portate avanti col tacito assenso, o a volte con l’aperto sostegno, di esponenti della Lega e di Fratelli d’Italia. Nel corso dell’esame dell’ultima legge di Bilancio al Senato, l’insistenza di Forza Italia sul tema è stata resa possibile solo in accordo con uno dei principali responsabili delle questioni economiche del partito di Meloni, e cioè Guido Liris.
Grazie a questo lavoro parlamentare, alla fine Giorgetti ha deciso di concedere una norma che, pur non accogliendo tutte le richieste di Forza Italia, comprendeva però delle rinnovate proroghe e delle nuove agevolazioni che andavano in direzione contraria rispetto agli annunci fatte per mesi dal governo. Il decreto, approvato a fine dicembre, è stato poi convertito in legge dal parlamento a febbraio, con ulteriori agevolazioni. In particolare, sono state introdotte misure a favore delle famiglie a basso reddito e di chi ha effettuato lavori che sono andati oltre la scadenza prevista del 2023, e che non hanno comportato un effettivo miglioramento delle prestazioni energetiche dell’immobile (cioè anche per quei lavori che hanno contraddetto palesemente lo spirito iniziale del Superbonus).
Il 26 marzo scorso Giorgetti ha fatto approvare dal Consiglio dei ministri una misura che non era stata anticipata e discussa coi colleghi di governo nei giorni precedenti, per introdurre ulteriori importanti restrizioni al Superbonus. Forza Italia ha subito annunciato la sua intenzione di limitare la portata del provvedimento durante l’esame in parlamento, e ha iniziato a muoversi in questa direzione. Ma, ancora una volta, anche i dirigenti di Fratelli d’Italia hanno condiviso le perplessità dei colleghi di Forza Italia. Sia l’aquilano Guido Liris, sia il presidente dell’Abruzzo Marco Marsilio, pure lui di Fratelli d’Italia, hanno chiesto che le restrizioni non si applichino alle aree terremotate del Centro Italia, dove sono ancora in corso i lavori di ricostruzione che beneficiano delle agevolazioni del Superbonus.
Allo stesso modo sono intervenuti altri due importanti esponenti del partito di Meloni, ribadendo lo stesso concetto: il presidente delle Marche Francesco Acquaroli e il senatore Guido Castelli, commissario straordinario del governo alla ricostruzione del Centro Italia.