Le discusse divise della nazionale femminile statunitense di atletica
Uno dei completi presentati per le Olimpiadi di Parigi ha un taglio particolarmente succinto all'inguine, che non è piaciuto a molte
La scorsa settimana l’azienda di abbigliamento sportivo Nike ha presentato in anteprima le nuove divise delle nazionali maschile e femminile statunitensi di atletica per le Olimpiadi di Parigi. Il completo femminile mostrato, uno dei diversi che saranno a disposizione delle atlete, è un body unico che ricorda una specie di costume da bagno, con un taglio particolarmente succinto all’inguine, che ha attirato varie critiche.
Diverse sportive infatti li hanno considerati un esempio dei doppi standard di genere esistenti tra uomini e donne in molte discipline: tra questi ci sono anche le regole sull’abbigliamento nello sport, che nella maggior parte dei casi prevedono criteri diversi per le femmine, le cui divise sono spesso aderenti e succinte, e per i maschi, che invece indossano completi larghi e comodi.
Sulla pagina Instagram della rivista di running e atletica Citius Mag, che ha pubblicato per prima la foto, diverse persone hanno criticato la scelta di un taglio così stereotipato: «Spero che l’USATF (l’associazione di atletica leggera degli Stati Uniti) paghi anche per le cerette», ha scritto un’utente, mentre un’altra ha ironizzato sul fatto che il completo dovesse per forza essere stato disegnato da un uomo.
La comica e influencer statunitense Laura Green, che pubblica vari contenuti dedicati al mondo della corsa e più in generale dello sport, ha invece pubblicato un video sul suo profilo Instagram in cui immaginava che, insieme alla divisa, Nike avrebbe potuto inviare alle atlete una serie di prodotti cosmetici, come lucidalabbra e mascara.
John Hoke, il responsabile dell’innovazione di Nike, ha detto che il body da donna e i pantaloncini e la maglietta da uomo rientrano in una serie di opzioni che l’azienda ha messo a disposizione delle atlete e degli atleti olimpici, che potranno scegliere tra diversi completi in base alle loro esigenze.
In effetti, durante un evento organizzato da Nike giovedì scorso a Parigi, la velocista statunitense Sha’Carri Richardson aveva indossato una versione alternativa del completo, composta da un pantaloncino e da una canotta: il body unico sarà quindi indossato soltanto dalle atlete che ne faranno richiesta.
La giornalista di moda Vanessa Friedman ha scritto sul New York Times che, nonostante le buone intenzioni e la decisione di realizzare completi diversi, scegliendo di mostrare in anteprima quelle due versioni delle divise Nike ha comunque rafforzato «un’iniquità di lunga data nello sport».
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Storicamente l’abbigliamento sportivo femminile si è sviluppato in due modi molto diversi: in sport come il basket e il calcio ha imitato l’abbigliamento maschile, mentre in altri è stato disegnato apposta per distinguersi ed essere esplicitamente “femminile”, inteso in senso tradizionale, come nel caso delle gonne nel tennis o i bikini nella corsa, nel beach handball o nel beach volley. In entrambi i casi, ha scritto sempre Friedman, «erano essenzialmente fatti su misura per gli uomini: letteralmente, nel senso che o non si adattavano correttamente ai corpi femminili (come le canottiere da basket così ampie da far vedere il reggiseno, ndr), o erano pensati per compiacere lo sguardo maschile».
Questo secondo approccio all’abbigliamento sportivo femminile ha due ragioni storiche: la prima è che quando furono introdotte le competizioni femminili di alcuni sport che a lungo erano stati solo maschili, caratterizzare le atlete con un abbigliamento smaccatamente femminile era un modo per placare le critiche degli scettici. La seconda è che sempre in quegli anni era un modo per far guardare le competizioni femminili anche agli spettatori, in prevalenza maschi, che le ritenevano di più basso livello rispetto a quelle maschili.
La discussione sul doppio standard di genere nell’abbigliamento sportivo aveva già assunto una certa rilevanza nel 2021, quando le giocatrici della squadra di pallamano da spiaggia (beach handball) della Norvegia erano state multate dalla commissione disciplinare della Federazione europea di pallamano (Ehf) perché durante una partita dei campionati europei avevano indossato dei pantaloncini e non un bikini, cioè l’uniforme prevista dal regolamento.
Nell’estate dello scorso anno, durante i Mondiali femminili di calcio, diverse nazionali avevano invece deciso di non utilizzare pantaloncini bianchi per attenuare almeno in parte un’ansia molto diffusa tra le atlete: quella derivata dal fatto che durante partite o gare possano vedersi macchie di sangue mestruale. Questa preoccupazione, così come quelle di sentirsi scomode o eccessivamente scoperte, ha un impatto sui risultati sportivi ma è stata a lungo trascurata dai regolamenti delle federazioni e da chi si occupa di disegnare le divise.
Sempre la scorsa estate, per la prima volta il campionato europeo di hockey aveva permesso alle atlete di scegliere se giocare con i pantaloncini o la gonna-pantalone, oltre alla gonna tradizionale. Anche nell’atletica negli ultimi anni si sono cominciati a vedere più pantaloncini e leggings lunghi in sostituzione alle più tradizionali mutande.