Quando in Jugoslavia dominava la cultura pop messicana
Non volendo né quella sovietica né quella americana, negli anni Cinquanta Tito importò film e musica da un paese neutrale, originando lo “Yu-Mex”
Agli inizi degli anni Cinquanta la Jugoslavia era l’unico paese socialista europeo a non avere rapporti con l’Unione Sovietica: nel 1948 era stato espulso dal Cominform (l’organizzazione che, tra il 1947 e il 1956, riunì i partiti comunisti d’Europa) per via dei sempre più accesi contrasti tra il leader jugoslavo Josip Broz, detto “Tito”, e il dittatore sovietico Iosif Stalin, dovuti soprattutto alle pretese territoriali di quest’ultimo nell’area dei Balcani.
Il cosiddetto “scisma sovietico-jugoslavo” ebbe delle conseguenze concrete non soltanto sul piano delle alleanze internazionali, ma anche sull’industria dell’intrattenimento. Inizialmente i cambiamenti riguardarono soprattutto il cinema: dopo l’espulsione dal Cominform i film sovietici non furono più trasmessi all’interno del paese, e la particolare dottrina politica di Tito, fondata sul rifiuto della divisione del mondo in due blocchi (quello occidentale e quello sovietico), vietava l’importazione delle grandi e costose produzioni di Hollywood.
Dato che la Jugoslavia non aveva ancora sviluppato una propria industria cinematografica, le autorità del tempo decisero di importare film da un paese sostanzialmente neutrale: il Messico, governato in maniera autoritaria dal Partito Rivoluzionario Istituzionale, che per oltre settant’anni applicò politiche nazionaliste influenzate sia dal liberismo sia dal socialismo, mantenendo buone relazioni diplomatiche sia con gli Stati Uniti sia con l’Unione Sovietica.
I film messicani del tempo erano poco costosi, e le loro trame erano particolarmente apprezzate da Tito, anche perché erano spesso incentrate sulla fine della dittatura del generale Porfirio Díaz. Venivano quindi considerate abbastanza “rivoluzionarie” per un paese che aveva costruito una mitologia attorno alla lotta della resistenza partigiana jugoslava per la liberazione dall’occupazione nazista.
La grossa importazione di produzioni messicane degli anni Cinquanta ha dato origine ad alcune specificità culturali presenti ancora oggi: per esempio, uno dei film più conosciuti tra le persone che crebbero nella Jugoslavia unita è Un día de vida (1950), diretto dal regista messicano Emilio Fernández.
Il fenomeno della grossa diffusione che la cultura pop del Messico ebbe in Jugoslavia agli inizi degli anni Cinquanta viene oggi definito Yu-Mex: in quegli anni alcuni simboli associati tipicamente all’immaginario messicano, come il sombrero e il poncho, divennero piuttosto popolari anche tra i giovani jugoslavi, che subirono il fascino dello stile di vita degli attori che vedevano al cinema e lo imitarono.
Come ha spiegato lo scrittore sloveno Miha Mazzini, anche se inizialmente lo Yu-Mex aveva a che fare soprattutto con il cinema, oggi il termine viene utilizzato per descrivere il peculiare tipo di musica che cominciò a diffondersi in Jugoslavia in quegli anni, quando decine di musicisti locali cominciarono a indossare sombreri e a suonare il repertorio tipico della tradizione messicana.
I gruppi che andavano per la maggiore in quegli anni replicavano l’estetica dei mariachi, le tipiche band messicane composte da violini, trombe, vihuela e guitarrón (due strumenti a corda tipici della tradizione folkloristica messicana, simili a chitarre). A volte cantavano in spagnolo, altre in serbo-croato, ma in tutti i casi i testi raccontavano storie d’amore o di criminalità ambientate in Messico.
Parlando dell’eredità dello Yu-Mex, Mazzini ha scritto che ancora oggi, quando gli capita di visitare i mercatini dell’usato dei paesi della ex Jugoslavia, sulle bancarelle continua a trovare molti dischi di «serbi, montenegrini, croati e macedoni vestiti con finti costumi messicani che cantano in spagnolo o nella loro lingua parlando del Messico, un bellissimo paese dove, senza dubbio, non sono mai stati». Ha anche stilato una lista di musicisti e dei gruppi che, in quel periodo, diventarono piuttosto famosi in patria, come Ljubomir Milić e i Paloma, Ana Milosavljević, Trio Tividi e Manjifiko.
Nel 2012 Mazzini ha raccontato il fenomeno dello Yu-Mex nel suo romanzo Paloma Negra, ambientato nella Jugoslavia degli anni Cinquanta e che nella copertina raffigura il suonatore di violino di una band mariachi. Dopo la pubblicazione di Paloma Negra, Mazzini ha diretto YuMex – Yugoslav Mexico, un documentario dedicato interamente all’esperienza dello Yu-Mex.