Guida ai ristoranti preferiti da politici e parlamentari
Anche per via del celebre detto, la dimensione mangereccia della politica ha sempre suscitato curiosità, dalle buvette di Camera e Senato in giù
Se è vero, come diceva decenni fa un vecchio dirigente della Democrazia Cristiana, che l’attività parlamentare è «ozio senza riposo, fatica senza lavoro», è anche vero che molta parte di questo affaccendarsi un po’ inconcludente che caratterizza molte giornate di deputati e senatori, a Roma, ha a che fare col cibo. Infatti è spesso a tavola, durante pranzi o cene di lavoro che si risolvono in lunghe chiacchierate, che vengono definite e disfatte le intese politiche; e mangiando i parlamentari discutono, si confrontano, un po’ come succede per molte altre professioni.
Nel racconto politico, la cucina esercita da sempre un certo fascino e suscita spesso un interesse morboso, come se davvero nel vedere ministri, leader di partito o faccendieri seduti intorno a un tavolo si trovasse conferma del luogo comune che «è tutto un magna magna». Non è un caso che molto spesso la cronaca politica cerca in maniera quasi spasmodica di raccontare i menù degli incontri istituzionali fin nei dettagli, oppure di esaltare il piatto o la ricetta che hanno accompagnato una discussione tra politici in cui si è trovato un certo accordo.
Nel giugno del 1997, nella casa romana di Gianni Letta, storico collaboratore di Silvio Berlusconi, l’allora segretario del Partito Democratico della Sinistra (PDS) Massimo D’Alema, insieme a Berlusconi stesso, al capo dei Popolari Franco Marini e a quello di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini, trovò un accordo sulle riforme costituzionali da avviare. Siccome si racconta che la cena si concluse con una crostata preparata dalla moglie di Letta, quell’accordo venne più tardi indicato dall’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga come «il patto della crostata». La formula fu subito adottata dai giornali ed ebbe col tempo una tale fortuna – è citata anche tra i neologismi sul vocabolario della Treccani – che negli anni è poi diventato abituale descrivere gli incontri dei politici riferendosi al menù relativo: in ordine sparso, il «patto della frittata», il «patto della pajata», il «patto della carbonara», il «patto dell’arancino», e molti altri.
Ma al di là di questi pranzi e cene più o meno memorabili, i parlamentari consumano per lo più, come tutti, pasti piuttosto banali durante le giornate di lavoro che trascorrono a Roma, mangiando in ristoranti e trattorie quasi sempre al centro della città, nelle piazzette e nei vicoli che congiungono la Camera e il Senato, o negli immediati dintorni. Alcuni sono fissi, e la loro fama resiste al cambio delle maggioranze e dei governi; altri invece conoscono una fortuna più estemporanea proprio perché connessi per un motivo o per l’altro a una particolare stagione politica, e poi magari vengono un po’ trascurati subito dopo.
Ovviamente, però, i ristoranti e i bar più frequentati a pranzo, o comunque nelle ore centrali della giornata, sono quelli interni alle camere. Entrambe hanno infatti dei ristoranti riservati ai parlamentari, ai loro collaboratori e ai giornalisti iscritti alla stampa parlamentare.
Al Senato il ristorante è in un salone molto ampio ed elegante, a cui si accede dal cortile degli aranci, un piccolo e grazioso giardinetto che mette in comunicazione Palazzo Madama, dove si trova l’aula del Senato, con Palazzo Carpegna, dove hanno sede gli uffici dei gruppi parlamentari e le aule delle commissioni. I due palazzi sono collegati attraverso un corridoio sopraelevato. È possibile usufruire di una tariffa forfettaria: con dodici euro, ci si può riempire il piatto come si preferisce con pietanze sia fredde sia calde cucinate al momento.
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Alla Camera il ristorante è invece allo stesso piano dell’aula, e ci si arriva attraversando il corridoio che sta dall’altra parte del cortile interno rispetto al Transatlantico, che è il grande atrio dove stazionano cronisti e deputati nelle pause di lavoro dell’assemblea. In quel ristorante si paga a piatto, per lo più, a seconda di quello che si mangia, e i prezzi sono abbastanza modici: un primo sta di solito tra i 7 e i 10 euro, un secondo tra gli 8 e i 12, ma col pesce si arriva anche a 15 o 16, un contorno costa circa 5 euro. La particolarità è semmai che le tariffe sono bizzarre, per essere un ristorante, nel senso che un piatto è indicato nel menù a un costo di 8,67 euro, oppure 6,73: questi prezzi al centesimo sono dovuti al fatto che a partire dal 2007 il servizio di cucina e ristorazione è stato esternalizzato, e le ditte che partecipano agli appalti per la gestione del ristorante interno puntano sul ribasso dei prezzi, facendosi competizione anche sui decimali.
Sia la Camera sia il Senato, poi, hanno la buvette, cioè eleganti bar che si trovano, in entrambi i casi, vicino all’aula, e sono quelli spesso utilizzati in massa dai parlamentari quando devono mangiare velocemente tra un impegno e l’altro. Alla Camera le proposte sono sempre le stesse: panini, tramezzini, una piadina che ha una buona reputazione tra gli avventori abituali, ma che è una piadina, fritti e poco altro. Al Senato il servizio è più ricercato: ogni giorno c’è un menù con un paio di primi e altrettanti secondi e contorni cucinati al momento tra cui si può scegliere, ma i piatti vanno consumati in piedi, appoggiandosi a tavoloni alti senza sedie.
Da anni, nella competizione goliardica tra deputati e senatori, questi ultimi rivendicano con qualche ragione la migliore qualità della ristorazione di Palazzo Madama. Anche per smentire questo luogo comune, il deputato di Fratelli d’Italia Paolo Trancassini si è impegnato per migliorare la qualità del servizio e della cucina di Montecitorio. Nell’ottobre del 2022 Trancassini è stato infatti eletto questore insieme a due suoi colleghi: è la carica assegnata ai deputati responsabili della buona amministrazione della Camera. Devono anche supervisionare che le norme vengano applicate correttamente e che le spese siano gestite in maniera oculata.
Trancassini aveva annunciato che, tra le cose su cui si sarebbe dato da fare, ci sarebbe stato proprio un miglioramento della qualità culinaria, e soprattutto una maggiore valorizzazione dei prodotti italiani con la creazione di specifici “menù tricolori”, nel rispetto della linea del suo partito.
Trancassini può rivendicare una certa competenza in materia, visto che la sua famiglia gestisce da quasi un secolo “La Campana”, uno storico ristorante al centro di Roma, che aprì addirittura nel 1518 e che, trovandosi a pochi passi dalla Camera, è molto frequentato proprio dai parlamentari di Fratelli d’Italia. Trancassini dice di avere i documenti che certificano la longevità del ristorante, anche se al momento, secondo il Guinness dei primati, il ristorante più antico del mondo sarebbe Botín a Madrid, che venne aperto solo nel 1725.
Non ci sono però solo i ristoranti interni. Anzi, specialmente di sera o quando le giornate prevedono programmi di lavori meno intensi, i parlamentari preferiscono andare in uno dei tantissimi locali presenti nelle vie della cosiddetta “cittadella politica” del centro di Roma. Ognuno ha i suoi preferiti, e c’è chi tiene anche dei conti aperti coi ristoratori di fiducia, saldati poi a fine mese.
Negli anni Ottanta “Da Fortunato al Pantheon”, in un vicolo che immette sulla piazza della Rotonda con il famosissimo monumento, era possibile trovare sia i dirigenti della Democrazia Cristiana, e su tutti Francesco Cossiga, sia i comunisti, i quali però, a seconda delle correnti a cui appartenevano, frequentavano anche “La Carbonara” a Campo de’ Fiori; il socialista Bettino Craxi preferiva mangiare alla pizzeria “Fiammetta”, a ridosso del Senato, oppure alla “Hostaria dell’Orso”, un locale che negli anni Ottanta era molto mondano; i parlamentari di Forza Italia li si incontrava spesso a cena al ristorante “Tre scalini” di Piazza Navona, anche se era molto raro che con loro ci fosse anche Silvio Berlusconi, che preferiva organizzare pranzi e cene alla sua residenza di Palazzo Grazioli, un po’ perché preferiva la riservatezza e un po’ perché era notoriamente refrattario alla cucina romanesca.
In tempi più recenti, i renziani avevano inizialmente scelto come luogo di ritrovo per gli aperitivi il “Bar del Fico”, ma anche il giapponese “Hamasei” in via della Mercede o alcuni dei locali che affacciano su piazza di Pietra, davanti a Montecitorio, tuttora molto frequentati da esponenti del Partito Democratico. Col passare degli anni, dopo aver lasciato il PD, Matteo Renzi ha sviluppato una predilezione per “Casa Bleve”, vicino al Senato.
L’ex leader del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio aveva a cuore “La Base”, un ristorante su via Cavour, un po’ fuori dall’epicentro della politica. Ma il locale che più di tutti è rimasto legato al governo che veniva chiamato “gialloverde”, formato da Lega e Movimento 5 Stelle nel 2018, è forse “Maxelà”, un ristorante specializzato in carne che è tuttora tra i preferiti dei parlamentari vicini a Salvini ma molto in voga anche tra esponenti di altri partiti. Lì nei pressi, anche i ristoranti e le trattorie che affacciano sulla piccola piazza delle Coppelle sono state molto frequentate dai parlamentari grillini, e sono ancora luoghi dove la sera capita di incontrare parlamentari di diversi partiti. Così come il ristorante “La Margherita” o “Grano” (quest’ultimo molto gettonato soprattutto tra i parlamentari del PD), a metà strada tra la Camera e il Senato.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni apprezza la rinomata carbonara di “Pipero”, in corso Vittorio Emanuele II, un ristorante con una stella Michelin dove Meloni va solo nelle occasioni importanti e dove, tra l’altro, ha organizzato un pranzo istituzionale con Pedro Sánchez, nell’aprile del 2023, in occasione della visita in Italia del primo ministro spagnolo. Invece di recente Matteo Salvini ha scoperto, apprezzandola molto, la cucina di pesce della pescheria “Il mare di Terracina”, in zona Portuense, un locale assai distante dalla mondanità politica e dal luccicore del centro storico, e aperto fino a notte inoltrata.