Perché molte persone musulmane vorrebbero che Maometto fosse chiamato Muhammad
Il nome del profeta dell'Islam nei secoli è stato traslitterato in molte lingue, ma questo processo è stato influenzato da radicati pregiudizi negativi
In italiano il fondatore dell’Islam viene chiamato normalmente “Maometto” e non, con un adattamento dall’arabo, “Muhammad”. Per molte persone musulmane, però, questa scelta dipende da una visione denigratoria e offensiva del profeta dell’Islam: e sembrano suggerirlo anche le ricostruzioni filologiche di come, nel corso dei secoli, si sia arrivati alla versione italiana “Maometto”. Da un lato dunque c’è una lunga tradizione italiana che utilizza la forma “Maometto”, compresa da tutti e divenuta anche la voce di riferimento nei dizionari, senza che questa abbia più un valore negativo per le persone che la usano. Dall’altro c’è una forma più fedele alla lingua araba, che alcuni musulmani rivendicano rifiutando una traslitterazione che ritengono riflettere, storicamente, pregiudizi negativi nei confronti della loro religione.
Della questione si è parlato negli anni anche in Spagna e in Francia, paesi con numerose e attive comunità musulmane, dove all’italiano “Maometto” corrispondono rispettivamente “Mahoma” e “Mahomet”. Sul quotidiano Le Monde Fatima Bent, dell’associazione femminista e antirazzista Lallab, aveva denunciato un «paternalismo e una mancanza di rispetto» verso la figura sacra dell’Islam e aveva spiegato che “Mahomet” «è una forma di offesa: perché voler decidere per noi il nome del nostro profeta?».
Muhammad è considerato il fondatore della religione islamica e, per i credenti musulmani, la persona che ha concluso il ciclo della rivelazione iniziata da Adamo: è il messaggero di Allah e colui che ha rivelato il Corano, ma l’ortodossia islamica insiste sul carattere esclusivamente umano della sua persona. Secondo le fonti principali sulla sua vita, Muhammad nacque a La Mecca intorno al 570, rimase orfano quando era bambino, crebbe in condizioni modeste fino al matrimonio con una ricca vedova. A quarant’anni (intorno al 610 circa) iniziò a predicare un nuovo messaggio monoteistico che gli era stato rivelato, basato sull’esistenza di un unico Dio creatore onnipotente, sulla conduzione di una vita casta, sull’osservanza di alcuni precetti, sull’aiuto verso il prossimo soprattutto se indigente, sul giudizio universale e sulla retribuzione in bene e in male delle azioni umane.
Grazie alla sua predicazione Muhammad riuscì a formare a La Mecca una piccola comunità di fedeli che via via crebbe e si espanse. Il profeta, che dai musulmani è considerato un esempio da seguire, morì nel 632 a Medina dopo una breve malattia lasciando la sua comunità senza capo designato, ma con una cerchia dei suoi più validi seguaci che si impegnarono a continuarne l’opera.
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L’esperto francese di Islam Olivier Hanne ha spiegato che il cronista persiano del X secolo al-Tabari dice che «i nomi con cui il profeta aveva l’abitudine di riferirsi a se stesso erano “Muhammad”, “Ahmad” e “Al-Aqib”». “Muhammad” designa l’uomo “degno di lode”; “Ahmad” ha un significato molto vicino al precedente e si ritrova nel Corano, sura 61, versetto 6. “Al-Aqib” vuole invece dire “l’ultimo” con riferimento, appunto, all’ultimo dei profeti. Di questi tre nomi propri, solo il primo, cioè Muhammad, è sopravvissuto nel tempo per designare il fondatore dell’Islam. Presente nelle moschee, nelle preghiere, negli ornamenti domestici e trasmesso tra credenti, il nome “Muhammad” è tra i più sacri per le persone musulmane.
Marco Lauri, docente a contratto di Letteratura araba, Filologia araba e Islamistica presso l’Università di Macerata e altre università, spiega che in arabo «esiste una forma standard con una pronuncia canonica che è “Muhammad”», ma aggiunge anche che «non abbiamo dei documenti che ci dicano con assoluta certezza che questa forma fosse usata nella sua pronuncia standard dal profeta e dalla sua cerchia alla Mecca al suo tempo». Anche nei paesi di lingua araba e nel mondo islamico, dunque, e fin dai tempi antichi, esiste una certa variabilità del nome del profeta che viene sistematicamente e ordinariamente adattato: «Nelle lingue dell’Africa occidentale “Muhammad” diventa “Mammadu”, ad esempio», ma altrove diventa “Mohammad”, “Mohammed” o “Mahmoud”, traslitterazioni che attestano la molteplicità dei dialetti parlati nel mondo musulmano e le variazioni delle pronunce.
Claudio Lo Jacono, autorevole storico, islamista e arabista italiano, sostiene che sia normale che in altre lingue ci siano forme adattate del nome del profeta dell’Islam, proprio poiché tale variabilità si ritrova nelle stesse lingue dei popoli musulmani. Per lo stesso motivo, anche le forme distorte delle lingue neolatine avrebbero una loro validità.
Secondo Miloud Gharrafi, professore di lingua araba all’Università di Lione, la distorsione in contesti cristiani del nome del profeta risale al Medioevo e più precisamente alle prime traduzioni latine del Corano, dove “Muhammad” è stato trascritto “Mahumet”. Questa forma è attestata ad esempio nella prima traduzione del Corano in latino, commissionata dall’abate di Cluny Pietro il Venerabile all’inizio del 1100 e intitolata “Lex Mahumet pseudoprophete”, cioè “Legge di Maometto il falso profeta”. Il testo rimase, per diversi secoli, una delle principali fonti di informazione sull’Islam disponibile in Occidente.
Lauri spiega che il nome di “Muhammad” si ritrova in greco e in latino già in una varietà di forme: Mahmed, Moammed, Moammet, Machometus, Macometus, Makometus: «Una variabilità di rese che ovviamente tengono conto delle pronunce regionali e di come chi ha scritto ha percepito quella sequenza fonetica». Questa variabilità di forme latine ha poi influito sulle attestazioni in lingua volgare del nome del profeta che «iniziano nel XIII secolo e che si ritrovano in modo più abbondante in epoca rinascimentale».
Lauri dice anche che la versione “Malcometto” è presente anche in una delle versioni del Milione, il resoconto dei viaggi in Asia di Marco Polo fatti tra il 1271 e il 1295 e che Rustichello da Pisa trascrisse sotto dettatura di Marco Polo stesso mentre i due si trovavano nelle carceri di San Giorgio a Genova. “Malcometto” è un nome considerato spregiativo perché facilmente interpretabile come “mal commetto”, cioè «commetto il male». La forma “Malcometto” o varianti simili si trovano in molti altri testi «e in molti di questi testi», dice Lauri, «l’accezione dispregiativa è assolutamente evidente».
Per Lauri, dunque, anche se nell’adattamento di un nome di per sé non c’è nulla di strano o scorretto, la tesi che l’evoluzione del nome in “Maometto” risenta di una potenziale connotazione dispregiativa sembra fondata: «Intanto perché l’adattamento-storpiatura in italiano produce un’assonanza con il suffisso diminutivo, e quindi indirettamente dispregiativo».
E poi perché anche se Maometto è stato utilizzato per secoli, e non sempre con accezione dispregiativa, «quel nome nasce da una tradizione, quella cristiana medievale, che generalmente vede l’Islam come un inganno, un’eresia, una religione falsa o addirittura come una forma di idolatria, che dunque considera negativamente il profeta, come già scriveva Dante che aveva collocato “Maometto” nell’inferno in quanto “seminatore di scandalo e scisma”». In altri testi medievali il profeta dell’Islam viene presentato come un impostore e come un ingannatore e, conclude Lauri, «c’è infine la derivazione dal nome di “Maometto” di quello di una figura effettivamente demoniaca: Bafometto della tradizione medievale e rinascimentale».
Il nome “Maometto” ha insomma un’evoluzione fonetica che in parte riflette queste accezioni, «anche quando viene usato da autori che invece non avevano questa intenzione esplicita». Per Lauri, dunque, «nel momento in cui oggi, in un contesto storico diverso, si propone di usare una forma più vicina a quella araba standard, questa stessa richiesta sembra essere ragionevole».