Il Parlamento europeo ha approvato regole più severe per i richiedenti asilo
Dopo anni di negoziati ha votato a favore della riforma del cosiddetto “regolamento di Dublino”, ma perché entri in vigore servirà ancora un voto del Consiglio dell’Unione Europea
Mercoledì pomeriggio il Parlamento europeo ha approvato il Nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo, un importante insieme di riforme pensate per modificare in parte il cosiddetto “regolamento di Dublino”, la principale norma europea che regole la gestione di migranti e richiedenti asilo.
È la più importante ed estesa riforma degli ultimi anni in materia di immigrazione nell’Unione Europea, frutto di un lungo negoziato durato quattro anni e su cui lo stesso Parlamento e i governi dell’Unione avevano trovato un accordo di massima lo scorso dicembre. L’approvazione delle riforme è stata celebrata dai partiti di centrodestra e da alcuni di centrosinistra ma criticata fortemente sia da quelli di sinistra, che da quelli di estrema destra di paesi come l’Ungheria e la Francia, che considerano alcune misure adottate ancora troppo moderate e altre svantaggiose per i loro paesi. Prima di entrare ufficialmente in vigore dovrà ora essere votata dal Consiglio dell’Unione Europea, l’organo in cui siedono i rappresentanti dei governi dei 27 paesi membri, la cui decisione è attesa entro la fine di aprile.
In sintesi, il patto prevede norme sull’accoglienza più severe soprattutto per le persone migranti che arrivano in Europa dai paesi considerati “sicuri” (“sicuri” secondo criteri piuttosto controversi, stabiliti dagli stessi paesi d’accoglienza): sono le persone che già oggi hanno meno possibilità che la loro richiesta di protezione internazionale sia approvata. In caso di approvazione definitiva, il nuovo patto prevede misure che renderanno più facile espellere questi migranti e rimandarli nei loro paesi d’origine.
Il testo introduce anche un meccanismo limitato di trasferimento dei richiedenti asilo dai paesi di arrivo (quindi principalmente i paesi dell’Europa meridionale, tra cui l’Italia) a quelli interni. La riforma prevede che quando un paese dichiarerà di essere “sotto pressione” gli altri stati membri dovranno scegliere se accettare un certo numero di migranti, pagare una quota a un fondo comune dell’Unione Europea o fornire supporto operativo, inviando al paese personale o fornendo attrezzature tecniche.
Negli ultimi anni il regolamento di Dublino era stato al centro di numerose controversie tra paesi europei: è una norma in vigore dal 1997, secondo cui il primo paese in cui una persona migrante arriva è anche quello che si occupa di esaminare la sua richiesta di asilo e dell’accoglienza. La maggior parte dei governi concordava sulla necessità di cambiare le regole, ma per anni non erano riusciti ad accordarsi sul modo in cui farlo. Per esempio paesi come Italia e Grecia, cioè i principali stati d’ingresso dei richiedenti asilo che arrivano in Europa via mare, chiedevano da tempo l’eliminazione della regola che li rendeva i soli responsabili della registrazione dei migranti all’arrivo, o almeno l’introduzione di meccanismi obbligatori di “redistribuzione” delle persone migranti di modo da non doversi occupare di tutte le richieste di protezione internazionale. Altri paesi, come quelli dell’Europa orientale molto più ostili all’immigrazione, si opponevano invece a qualsiasi meccanismo che costringesse loro ad accogliere più persone migranti.
Il Nuovo Patto si basa su dieci proposte di legge, fra cui le più importanti sono le seguenti.
Il Patto introduce una modifica piuttosto importante nei percorsi di richiesta di asilo, stabilendone due possibili e rendendo più veloce il percorso di espulsione: la procedura tradizionale, che di solito richiede diversi mesi per essere completata, o una procedura accelerata che avviene alla frontiera e che dovrebbe durare al massimo 12 settimane, durante le quali le persone migranti dovrebbero essere tenute in strutture apposite. I richiedenti asilo non possono scegliere quale dei due percorsi seguire, ma vengono divisi in base al loro profilo, stilato attraverso un nuovo e uniforme regolamento di screening: il testo prevede che questa “procedura di frontiera” venga usata principalmente per i richiedenti asilo che per qualche motivo vengono considerati un “pericolo” per i paesi dell’Unione, per coloro che provengono dai paesi considerati “sicuri” e per chi proviene da paesi che, anche per altri motivi, hanno un tasso molto basso (sotto il 20 per cento) di domande d’asilo accolte.
Se la loro richiesta verrà rifiutata, come è molto probabile in questi casi, i migranti dovranno essere espulsi verso il loro paese d’origine o un cosiddetto “paese terzo”, fra cui ci sono anche quelli da cui spesso partono per raggiungere i paesi europei: Tunisia, Libia, Turchia.
Diverse organizzazioni non governative che si occupano di diritti delle persone migranti hanno criticato la riforma anche perché durante le 12 settimane i richiedenti asilo saranno considerati legalmente non presenti sul territorio dell’Unione, nonostante fisicamente lo siano, e questo potrebbe aumentare ulteriormente il rischio che venga loro negato l’accesso a diritti e servizi. In più, valutare una richiesta d’asilo è un procedimento difficile e complesso e che difficilmente può essere completato in maniera accurata in così poco tempo.
La seconda importante riforma contenuta nel Patto riguarda l’istituzione del meccanismo di solidarietà “obbligatoria” fra i paesi di arrivo e i paesi interni dell’Unione. In alcuni particolari casi questi ultimi dovranno infatti decidere se accettare un certo numero di persone migranti, fornire assistenza operativa al paese di arrivo che si trova in difficoltà o versare 20mila euro per ogni richiedente che si rifiutano di accogliere in un fondo comune dell’Unione Europea. I soldi versati in questo fondo non verranno solo redistribuiti fra i paesi di frontiera, più esposti ai flussi migratori, ma potranno essere utilizzati per finanziare «azioni nei paesi terzi o in relazione ad essi che hanno un impatto diretto sui flussi migratori verso l’UE», ossia paesi, come la Libia, da cui i migranti partono per raggiungere l’Europa. Negli ultimi anni l’Unione Europea ha stretto o promosso accordi con questi paesi in modo che le autorità locali li trattengano con la forza sul proprio territorio, molto spesso in condizioni disumane.
I paesi che si rifiuteranno di accogliere richiedenti asilo o versare dei contributi potrebbero incorrere in una procedura di infrazione, uno strumento molto comune usato dalla Commissione Europea, l’organo che nell’Unione Europea detiene il potere esecutivo, per far rispettare le regole agli stati membri.