Il governo e i rincari dei carburanti, di nuovo
Parlando alla Camera, il ministro Urso ha fatto capire che non interverrà per ridurre le accise e abbassare così i prezzi, che sono tornati a salire per l'aumento del prezzo del petrolio
Da fine gennaio i prezzi dei carburanti sono tornati a salire: mentre nella settimana del 15 gennaio la benzina costava mediamente 1,77 euro al litro e il gasolio 1,72, dalle ultime rilevazioni i prezzi sono saliti rispettivamente a 1,9 e 1,8 euro. Gli aumenti sono dovuti al rialzo del prezzo del petrolio, quindi della materia prima che serve per produrre i carburanti e che da settimane risente soprattutto della crescente incertezza in Medio Oriente causata dalla guerra tra Israele e Hamas.
I rincari dei carburanti dipendono dunque da situazioni internazionali che poco hanno a che fare con l’operato del governo italiano. In questi giorni è stato comunque oggetto di molte critiche da parte di associazioni di consumatori e dei partiti all’opposizione per il fatto che non stia facendo niente quantomeno per attenuarli, questi rincari, intervenendo sulla parte su cui avrebbe effettivamente potere: quella delle imposte sui carburanti, come IVA e accise, che rappresentano oltre la metà del prezzo finale che i consumatori pagano alla pompa di benzina.
Il governo ha però fatto capire che attualmente non intende farlo. E questo non dipende solo dal fatto che ha già pochi soldi a disposizione per le misure che vuole introdurre, ma anche dal fatto che da tempo ridurre il costo dei carburanti non sembra più una priorità per i partiti che lo sostengono – Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia – nonostante quando erano all’opposizione si fossero sempre molto esposti sulla riduzione delle accise.
A gennaio dello scorso anno il governo finì in un’altra polemica simile perché aveva deciso di non rifinanziare uno sconto sulle accise che era stato introdotto dal governo di Mario Draghi, per attenuare i rincari sui carburanti dovuti alla guerra in Ucraina. Il prezzo dei carburanti salì istantaneamente, ma la presidente del Consiglio Giorgia Meloni difese comunque quella decisione: disse che non c’erano le risorse per rifinanziare lo sconto, e verso chi l’accusava di incoerenza rispetto alle sue posizioni del passato disse che «si fanno i conti con la realtà con la quale ci si misura».
E la realtà è che, nonostante se ne parli da anni, ridurre le accise è molto costoso, perché garantiscono allo Stato un gettito elevato e a cui è difficile rinunciare: per esempio gli sconti previsti dal governo di Draghi erano di 30,5 centesimi per ogni litro di carburante (poco più di un terzo di tutte le accise), e costarono circa un miliardo al mese. L’Italia peraltro è il paese europeo con le più alte imposte sul gasolio, e il secondo per quelle sulla benzina: secondo l’ultimo monitoraggio del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica l’IVA e le accise ammontano complessivamente al 56,4 per cento sul prezzo della benzina e al 52,4 su quello del gasolio.
La riduzione delle accise sui carburanti è una misura considerata iniqua da gran parte degli economisti ed esperti: riduce le tasse per tutti, a prescindere dal reddito, e lo fa su un bene il cui consumo dovrebbe oltretutto essere disincentivato, perché i combustibili fossili sono tra i principali responsabili delle emissioni inquinanti e quindi del riscaldamento globale.
Come avvenne lo scorso anno, i partiti di opposizione stanno comunque criticando fortemente il governo, perché su questo è molto attaccabile e per convenienza politica. Talvolta lo fanno andando contro alcune loro priorità, come la decarbonizzazione dell’economia, condivise da gran parte del centrosinistra: il Partito Democratico parla dell’«ennesima promessa tradita dal governo Meloni», il Movimento 5 Stelle di una promessa andata in fumo «come i risparmi delle famiglie» e anche esponenti di Italia Viva e Azione pongono all’attenzione il fatto che il taglio delle imposte sui carburanti è stato per lungo tempo un tema elettorale per i partiti di destra.
Durante il question time di mercoledì alla Camera dei Deputati, un momento previsto settimanalmente in cui ai parlamentari è concesso fare domande dirette ai ministri del governo su questioni concordate, la deputata di Italia Viva Maria Chiara Gadda ha chiesto al ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso se sono previsti interventi imminenti per ridurre i prezzi dei carburanti: Urso non ha risposto direttamente alla domanda, ma ha detto che i prezzi di queste settimane non sono gli stessi del 2022, quando fu introdotto lo sconto delle accise dal governo di Draghi. Tra le righe ha fatto capire che il governo non ritiene gli aumenti recenti tali da giustificare un intervento di riduzione delle accise come quello che fu previsto allora.
Martedì il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, nella conferenza stampa con cui ha presentato il Documento di economia e finanza (DEF), ha detto che il prezzo della benzina «non dipende dalle decisioni del governo» e che non sono previsti interventi aggiuntivi oltre a quelli già in essere.
«Esiste già una disposizione che in relazione a modifiche dei prezzi fa scattare un adeguamento. Se si verificano le circostanze previste partirà», ha detto Giorgetti, che ha fatto riferimento a un meccanismo automatico introdotto dal governo a marzo dello scorso anno. Non si è mai ancora attivato e prevede che a fronte dell’aumento del prezzo oltre una determinata soglia i maggiori introiti raccolti dallo Stato attraverso l’IVA – che è una percentuale sul valore del prodotto, quindi il gettito fiscale aumenta se aumenta il prezzo – saranno investiti per abbassare le accise sui carburanti stessi.
Il governo aveva anche tentato di intervenire qualitativamente sul prezzo della benzina, con misure che non prevedevano l’impiego di risorse economiche. Per esempio a marzo dello scorso anno aveva introdotto alcune misure per aumentare la concorrenza e la trasparenza tra i distributori di carburante, tentando di limitare una presunta speculazione dei benzinai, che secondo il governo facevano salire i prezzi alla pompa applicando margini di guadagno troppo generosi e ingiustificati.
Nonostante l’assenza di evidenze chiare che ci fosse effettivamente una speculazione, dallo scorso agosto e per alcuni mesi i benzinai sono stati obbligati a esporre il prezzo medio dei carburanti su cartelli posizionati accanto al prezzo di vendita che proponevano: i gestori dei distributori sulle autostrade dovevano esporre il prezzo medio nazionale, mentre tutti gli altri quello regionale, sulla base dei dati forniti ogni giorno dal ministero delle Imprese e del Made in Italy.
Questa misura non ha mai davvero funzionato e anzi ha portato a molta confusione tra i benzinai, che hanno fatto ricorso al TAR (tribunale amministrativo regionale), che ha infine annullato la norma. La decisione è stata poi confermata dal Consiglio di Stato, il tribunale amministrativo di secondo grado.
Durante il question time Urso ha poi detto che a breve presenterà insieme al ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica un ampio progetto di riforma del sistema di distribuzione dei carburanti, di cui ha anticipato in modo piuttosto vago e sintetico tre tipi di interventi: la regolamentazione più puntuale del sistema con cui sono concesse le autorizzazioni a chi esegue la distribuzione; alcune misure per evitare situazioni di abuso nel rapporto tra le grandi aziende energetiche e i piccoli distributori; la riduzione dei distributori di benzina sul territorio, chiudendo quelli inefficienti e favorendo la riconversione verso i sistemi elettrici. Sono comunque interventi strutturali, che probabilmente avranno una lunga discussione parlamentare e che in ogni caso difficilmente daranno una risposta immediata ai rincari di queste settimane.
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