Chi vende le armi a Israele
I primi due paesi esportatori sono gli Stati Uniti, che assicurano a Israele una sorta di "diritto di prelazione" sulle ultime tecnologie belliche prodotte, e la Germania, soprattutto per ragioni storiche: il terzo è l'Italia
Nelle ultime settimane e negli ultimi mesi sono aumentate le pressioni di parte dell’opinione pubblica su diversi governi di paesi occidentali affinché interrompano le forniture di armi a Israele in relazione all’invasione israeliana della Striscia di Gaza. I maggiori paesi esportatori, Stati Uniti e Germania, si sono rifiutati finora di soddisfare queste richieste. In una votazione che si è tenuta il 5 aprile al Consiglio per i diritti umani dell’ONU, organo delle Nazioni Unite che si occupa della difesa dei diritti umani, i rappresentanti statunitensi e tedeschi hanno votato contro a una risoluzione che chiedeva l’interruzione della vendita di armi a Israele: la risoluzione è passata lo stesso ma molto probabilmente non avrà effetti concreti, visto che non è vincolante per i paesi coinvolti.
Secondo i dati del SIPRI (Istituto per le ricerche sulla pace di Stoccolma), istituto indipendente di ricerca su conflitti e controllo delle armi, nell’ultimo decennio oltre il 95 per cento delle armi acquistate da Israele è arrivato da Stati Uniti e Germania e la percentuale è salita al 98 per cento negli ultimi cinque anni. L’Italia è il terzo paese esportatore, anche se la sua quota è relativamente piccola se confrontata con i primi due paesi: vale lo 0,9 per cento degli acquisti di Israele nel settore fra il 2019 e il 2023.
Secondo un articolo di Altreconomia che cita dati ISTAT, nel 2023 l’Italia avrebbe venduto armi a Israele per un valore di 13,7 milioni di euro, con un incremento nell’ultimo trimestre, quando la guerra contro Hamas era già in corso. Gli altri paesi che forniscono armi a Israele in quantità rilevante (ma inferiore all’Italia) sono Regno Unito e Australia: il governo australiano ha però annunciato di non aver venduto armi a Israele dall’inizio della guerra a Gaza. Anche Spagna, Belgio, Paesi Bassi, Giappone e Canada hanno annunciato di aver sospeso le vendite.
Il principale fornitore di armi ad Israele sono gli Stati Uniti, che fin dalla nascita dello stato di Israele, nel 1948, hanno contribuito a finanziare l’esercito israeliano e il settore industriale bellico del paese. Attualmente forniscono armi per un valore di 3,8 miliardi di dollari ogni anno (3,5 miliardi di euro), in base all’ultimo accordo decennale firmato nel 2016 che stanziava 38 miliardi di dollari (35 miliardi di euro) in aiuti militari, di cui 5 (4,6 in euro) destinati alla difesa missilistica. Israele poi usa i fondi che riceve dagli Stati Uniti per acquistare armamenti dalle industrie statunitensi.
La lunga relazione fra i due paesi prevede che Israele possa contare sul cosiddetto “vantaggio militare qualitativo”: dal 1973 gli Stati Uniti si impegnano a fornire al governo israeliano armi di qualità migliore rispetto ad altri paesi del Medio Oriente suoi alleati. Nella pratica questo accordo significa che Israele ha una sorta di diritto di prelazione sulle ultime tecnologie belliche prodotte da aziende statunitensi. L’accordo è stato sfruttato ad esempio per richiedere una fornitura di 50 jet F-35 Joint Strike Fighter, considerati i più tecnologicamente avanzati mai costruiti.
Dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre, il Senato americano ha approvato lo stanziamento di ulteriori 14 miliardi di dollari di aiuti (12,9 miliardi di euro), che comprendono fondi per il sistema antimissilistico “Iron Dome”: la legge però non è ancora stata approvata alla Camera, controllata dai Repubblicani.
Secondo il SIPRI negli ultimi cinque anni è arrivato dagli Stati Uniti il 68 per cento delle armi acquistate da Israele. La Germania contribuisce per il 30 per cento, per un valore di circa 300 milioni di euro nel 2023, un incremento di circa dieci volte rispetto al 2022, frutto di licenze di esportazione concesse per lo più dopo gli attacchi del 7 ottobre. Le vendite riguardano principalmente componenti per la difesa aerea e per le comunicazioni.
Per queste vendite di armi la Germania è stata accusata dal Nicaragua di stare aiutando Israele a «compiere un genocidio» contro i palestinesi nella Striscia di Gaza: il procedimento è attualmente in esame alla Corte internazionale di giustizia, il più importante tribunale dell’ONU. Il Nicaragua ha citato la Germania, e non gli Stati Uniti, perché questi ultimi non riconoscono la Corte internazionale di giustizia dell’ONU e dunque non possono essere processati. La Germania si è difesa presso la Corte sostenendo che dall’inizio della guerra le vendite di armi a Israele hanno riguardato quasi esclusivamente equipaggiamento militare e armi difensive, non letali. Ha inoltre evidenziato di percepire come un dovere storico, dopo la Shoah, sostenere lo stato di Israele, pur rimanendo nel rispetto del diritto internazionale.
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L’Italia invece esporta verso Israele elicotteri da combattimento e artiglieria navale, ma anche fucili, munizioni, bombe, siluri, razzi, e altre apparecchiature da guerra. In Italia l’esportazione, l’importazione e il transito di armi sono subordinate a un’autorizzazione da parte del governo, che quindi raccoglie il valore del materiale bellico esportato in una relazione ufficiale: l’ultima è relativa al 2022 e indica esportazioni verso Israele pari a 9 milioni di euro, inferiori alle importazioni dallo stesso paese (12 milioni). L’Italia esporta armi verso la Turchia per 598 milioni di euro, verso gli Stati Uniti per 532, verso la Germania per 407.