Le proteste delle università italiane contro il bando di cooperazione con Israele aumentano
Dopo Torino e la Scuola Normale Superiore si pronuncerà il senato accademico dell'università di Bari, e ci sono iniziative anche in altri atenei
Nelle università italiane stanno aumentando le richieste di vietare la partecipazione a un bando di collaborazione in scadenza il 10 aprile con università e istituti di ricerca israeliani. Lo scorso marzo aveva preso posizione il senato accademico dell’università di Torino, poi quello della Scuola Normale Superiore e ora una richiesta simile è stata presentata anche dai docenti, dai dottorandi e dagli assegnisti degli atenei di Firenze, Bari e Pisa. Proteste degli studenti e delle studentesse in questo senso ci sono state anche a Napoli, Bologna e Roma.
Il bando è stato pubblicato all’interno di un accordo fatto tra Italia e Israele: tra il ministero dell’Innovazione, Scienza e Tecnologia (MOST) per la parte israeliana, e la direzione generale per la promozione del “sistema paese” del ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale (MAECI) per la parte italiana, cioè la direzione che si occupa di promuovere all’estero l’economia, la cultura e la scienza italiane. Il bando vuole finanziare progetti di ricerca tra i due paesi in tre settori in particolare: tecnologia del suolo, dell’acqua e ottica di precisione. Scadrà domani, mercoledì 10 aprile.
A fine febbraio al ministro degli Esteri Antonio Tajani era stata inviata una lettera per sospendere qualsiasi bando di cooperazione. Fino a oggi la lettera è stata firmata da quasi 2.500 docenti, ricercatori e personale tecnico amministrativo di varie università. La loro richiesta è stata motivata dal rischio di finanziare, attraverso il bando stesso, la ricerca in tecnologia cosiddetta dual use, cioè a scopo civile e anche militare, e dalla volontà «di non essere complici delle gravi violazioni in atto» nella Striscia di Gaza da parte di Israele. Secondo chi protesta, la cooperazione scientifica consisterebbe in una collaborazione utilizzabile da Israele a scopi bellici e militari, anche nell’offensiva in corso ormai da diversi mesi nella Striscia di Gaza.
A metà marzo il senato accademico dell’università di Torino aveva approvato una mozione che vietava la partecipazione al bando MAECI, accogliendo in parte le richieste fatte da alcuni collettivi e associazioni studentesche che in realtà chiedevano di sospendere tutti i 9 accordi di collaborazione in corso tra l’università di Torino e le università israeliane. A fine marzo, sottolineando la necessità di ispirare le attività di ricerca e insegnamento al rispetto dell’articolo 11 della Costituzione che «ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali», il senato accademico della Scuola Normale Superiore aveva approvato una mozione simile a quella di Torino e nella quale chiedeva di riconsiderare il bando.
Negli ultimi giorni circa duecento docenti, dottorandi e assegnisti dell’università di Firenze e una trentina del dipartimento di Scienze politiche dell’università di Pisa hanno sottoscritto un appello per chiedere ai propri rappresentanti di non aderire allo stesso bando. Oggi a Bari, dove a seguito delle proteste dei collettivi studenteschi il rettore ha annunciato le sue dimissioni dal comitato scientifico della Fondazione Med-Or, legata alla società produttrice di armi Leonardo Spa, è prevista una seduta straordinaria del senato accademico per discutere di quell’accordo.
Nel frattempo, lunedì mattina, il rettorato della Federico II di Napoli è stato occupato da studenti e studentesse per protestare contro gli accordi con Israele. In un comunicato, i collettivi hanno definito il bando MAECI come «il punto di non ritorno della complicità dell’accademia con il criminale progetto di Netanyahu di cancellazione del popolo palestinese». Nelle scorse settimane c’erano state proteste simili alla Sapienza di Roma e all’università di Bologna. Per martedì 9 aprile è previsto uno sciopero nazionale degli universitari, per chiedere che gli atenei non presentino la propria candidatura al bando e che quest’ultimo venga ritirato. Sono in programma diverse iniziative in almeno 25 atenei sparsi in tutta Italia.