Il relitto di una nave sta facendo litigare Cina e Filippine
Dal 1999 la Sierra Madre è ferma vicino alle isole Spratly, nel mar Cinese Meridionale, e la sua presenza è diventata nel tempo un caso internazionale che ha finito per coinvolgere anche gli Stati Uniti
Da decenni Cina e Filippine litigano per il relitto di una nave fermo nel mezzo del mar Cinese Meridionale, al largo dell’isola filippina di Palawan e a più di 1.200 chilometri dalle coste cinesi. La nave è di proprietà della Marina filippina, ma la Cina sostiene che non possa rimanere lì e debba essere rimossa. Negli ultimi mesi il confronto è diventato più acceso e intenso e ha coinvolto anche gli Stati Uniti, legati alle Filippine da un trattato di reciproca difesa che si applicherebbe anche in caso di attacchi stranieri contro le imbarcazioni filippine.
La nave in questione è la Sierra Madre, un’imbarcazione da guerra costruita per la Marina statunitense durante la Seconda guerra mondiale e poi donata alla Marina filippina nel 1976. Dal 1999 è ferma vicino al Second Thomas Shoal, un atollo nell’arcipelago delle isole Spratly, e viene usata dal governo delle Filippine per reclamare la propria sovranità su quel tratto di mare. Le isole Spratly sono un arcipelago composto da oltre cento piccole isole che si trovano in una zona ricca di risorse naturali, tra cui il petrolio e il gas naturale, e in una posizione strategica per le rotte militari e commerciali. Per questo le isole sono rivendicate da Cina, Taiwan e Vietnam, e in parte anche da Malesia, Filippine e Brunei.
Dopo 25 anni di stazionamento, oggi la Sierra Madre è un relitto: la struttura è arrugginita e fatiscente e non può spostarsi senza essere trainata. È ancora però a tutti gli effetti un mezzo dell’esercito filippino, e a bordo vivono alcuni militari che hanno bisogno di ricevere regolarmente rifornimenti di cibo, acqua, carburante e altri beni primari. La Cina sostiene che la presenza della Sierra Madre in quel tratto di mare sia illegittima, e da tempo chiede che venga rimossa: tra le altre cose le imbarcazioni della Guardia Costiera cinese cercano di ostacolare le operazioni di rifornimento verso la Sierra Madre, per esempio attaccando le navi filippine con dei cannoni ad acqua. È successo molte volte, per esempio ad agosto, ottobre e dicembre del 2023 e anche lo scorso marzo.
Da circa un anno le Filippine hanno iniziato a invitare i giornalisti a bordo delle imbarcazioni che portano rifornimenti alla Sierra Madre per dimostrare come la Cina stia tentando di bloccarle.
Lo scorso novembre, per esempio, una giornalista del New York Times ha accompagnato l’esercito filippino in una di queste operazioni, salendo prima a bordo di una nave della Guardia Costiera e poi di un gommone. La giornalista, Camille Elemia, ha raccontato che non appena si erano indirizzate verso la Sierra Madre le navi filippine erano state circondate da almeno 15 imbarcazioni cinesi, che avevano minacciato di urtarle e di deviarne la rotta. Dopo diverse ore di scontri le navi filippine, ancora circondate da quelle cinesi, erano riuscite ad avvicinarsi alla Sierra Madre. Nel tentativo di evitare i blocchi causati dalla Cina, a gennaio le Filippine hanno paracadutato alcuni rifornimenti direttamente sulla nave.
La questione della Sierra Madre coinvolge anche gli Stati Uniti, alleati delle Filippine e interessati soprattutto a contenere l’influenza della Cina nella regione asiatica. Nel 1951 gli Stati Uniti firmarono un trattato di mutua difesa con le Filippine, che prevede il reciproco intervento nel caso in cui uno dei due paesi venga attaccato. L’accordo si applicherebbe anche in caso di eventuali attacchi contro la Sierra Madre: «La Cina sta sottovalutando il pericolo di una escalation», ha detto al Financial Times un funzionario statunitense rimasto anonimo.
Gli Stati Uniti stanno quindi cercando di convincere la Cina e gli altri paesi della regione a distendere i rapporti reciproci: secondo il Financial Times, questa settimana il presidente statunitense Joe Biden avrebbe intenzione di discutere della questione durante un incontro con il primo ministro giapponese Fumio Kishida e il presidente filippino Ferdinand Marcos Jr.
A fine marzo Marcos ha detto che il suo governo ha intenzione di rispondere agli attacchi «illegali, coercitivi, aggressivi e pericolosi» compiuti dalla Guardia Costiera cinese contro le navi che portano rifornimenti alla Sierra Madre. Marcos non ha specificato quali misure saranno adottate, ma ha assicurato che saranno proporzionali e ragionevoli: «Non cerchiamo il conflitto con nessuno stato, e ancora meno con quelli che dicono di essere nostri amici, ma non saremo intimiditi e costretti al silenzio, alla sottomissione o alla subordinazione», ha scritto su Facebook. Pochi giorni dopo Jonathan Malaya, portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale delle Filippine, ha confermato che il governo intende continuare a rifornire la Sierra Madre nonostante i tentativi della Cina di interferire con le operazioni.
La situazione nella regione è da tempo molto complicata. La Cina sostiene che quasi tutti i territori del mar Cinese Meridionale facciano parte da duemila anni del territorio cinese, mentre i paesi che si oppongono alle richieste cinesi – tra cui le Filippine – sostengono che l’interesse della Cina si sia manifestato solo a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, e sia in ogni caso illegittimo.
Nel 2016 la Corte permanente di arbitrato, un tribunale internazionale con sede all’Aia, nei Paesi Bassi, ha stabilito che le rivendicazioni della Cina non sono sostenute da basi legali. La causa era stata intentata proprio dalle Filippine nel 2013, quando la Marina cinese aveva preso il controllo di Scarborough Shoal, un atollo in gran parte sommerso che si trova in mezzo a una zona molto ricca per la pesca al largo dell’isola filippina di Luzon. La Cina però non ha mai rispettato la sentenza, e dal 2016 a oggi ha continuato a rivendicare la propria sovranità su praticamente tutto il mar Cinese Meridionale, scontrandosi spesso con gli altri paesi della zona.
In particolare la Cina sostiene di avere diritto a controllare le acque che si trovano all’interno della “linea dei nove tratti”, che passa a ridosso delle coste di tutti i paesi che si affacciano sul mar Cinese Meridionale. È una violazione del diritto internazionale, secondo cui ciascun paese ha diritto a 12 miglia nautiche (circa 22 chilometri) di coste di «mare territoriale», dove ha piena sovranità, e ha alcuni diritti di sfruttamento esclusivi, tra cui la pesca e l’estrazione di materie prime, sulle 200 miglia nautiche (370 chilometri) a partire dalle sue coste. Le rivendicazioni della Cina, invece, si estendono per oltre 700 miglia nautiche dalle sue coste.
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Inoltre i dettagli delle rivendicazioni sono ben poco chiari: la Cina si è sempre tenuta volutamente vaga su quali siano le sue esatte pretese sul mar Cinese Meridionale, in maniera tale da poterle modificare a seconda dell’occasione. Non si sa, quindi, se la Cina lo ritenga come un proprio «mare territoriale», o se invece rivendichi soltanto diritti di pesca o di estrazione di materie prime.
Per rafforzare la propria presenza sul territorio, da anni la Cina sta costruendo delle isole artificiali nella zona circostante alle isole Spratly. Nel 2022 John Aquilino, un ammiraglio della Marina statunitense, disse che la Cina aveva completamente militarizzato almeno tre delle isole costruite nella zona, costruendo per esempio dei sistemi di difesa missilistici e installando armi e apparecchiature da guerra.