Il governo deve trovare 20 miliardi entro settembre, ma non dice come
Sono i soldi che servono per confermare alcune importanti misure fiscali di quest'anno: nel DEF approvato oggi non c'è scritto dove prenderli senza fare debito
Martedì il Consiglio dei ministri ha approvato il Documento di economia e finanza (DEF), il principale documento con cui ad aprile ogni anno il governo definisce le stime ufficiali sull’andamento dell’economia del paese. In attesa che la versione integrale del DEF venga pubblicata, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che ne è il responsabile, ha illustrato il documento in una conferenza stampa alla fine del Consiglio dei ministri.
Il DEF di quest’anno è un po’ anomalo. Stando a quanto ha spiegato Giorgetti, infatti, contiene solo le previsioni tendenziali dell’economia italiana: senza includere, cioè, l’effetto che le misure che il governo vuole introdurre o rinnovare o modificare possono produrre sulla crescita del PIL (il prodotto interno lordo) o sull’evoluzione del debito pubblico. In questo modo, peraltro, il governo ha deciso per ora di non prendere impegni vincolanti in vista del 2025, e soprattutto non ha indicato come intenda trovare i soldi per rifinanziare le misure che scadranno alla fine del 2024.
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Con la scorsa legge di bilancio, cioè il provvedimento con cui si decide come utilizzare i soldi pubblici nell’anno successivo, il governo aveva introdotto alcune misure costose e di grande impatto elettorale ma che avevano validità solo per il 2024. Nel complesso sono quasi 20 miliardi di euro che dovrebbero finanziare varie agevolazioni fiscali e soprattutto due misure che da sole hanno assorbito i tre quarti della spesa: circa 11 erano stati destinati al taglio del cuneo fiscale (per ridurre le imposte e i contributi del 7 per cento per i redditi sotto i 25mila euro e del 6 per cento per quelli tra i 25 e i 35mila) e poco più di 4 miliardi erano stati utilizzati per la riforma dell’IRPEF (l’imposta sui redditi per le persone fisiche), con un taglio di due punti percentuali dell’imposta sui redditi tra i 25 e i 28mila euro. Due provvedimenti che, secondo la Banca d’Italia, producono un aumento del reddito famigliare medio di circa 600 euro nel 2024.
La pubblicazione del DEF era molto attesa proprio per trovare una risposta a questa domanda: come si troveranno i soldi per rifinanziare queste misure nel 2025 senza fare aumentare il deficit e il debito, cioè senza generare uno squilibrio nel bilancio dello Stato? Inserendo però solo i dati del tendenziale, il governo non ha risposto e Giorgetti, nel rispondere a questa stessa domanda (come il governo intenda rinnovare il taglio del cuneo e gli altri sgravi fiscali) è stato evasivo: «Per quanto riguarda la decontribuzione, quando si farà la legge di bilancio e il programma strutturale a settembre sicuramente si troveranno le forme, perché questa è la priorità numero uno, per confermarla». In breve ha detto che si vedrà tra qualche mese.
Questo atteggiamento attendista si spiega, secondo Giorgetti, con la modifica delle regole europee sulla politica fiscale e finanziaria che gli Stati membri devono rispettare. Da quest’anno è infatti entrato in vigore il nuovo Patto di stabilità e crescita: ma solo in estate, tra giugno e luglio, saranno pubblicate le linee guida che indicheranno in dettaglio come applicare le nuove regole, che di fatto definiranno per ciascun paese dell’Unione una sorta di traccia da seguire per tenere in ordine i conti pubblici. A quel punto, entro il 20 settembre, il governo dovrà pubblicare il suo nuovo programma strutturale di economia e finanza.
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Questo giustificherebbe la scelta di non inserire stime programmatiche, ma solo tendenziali, nel DEF, così come è accaduto nella storia recente altre tre volte ma sempre in circostanze particolari. Nell’aprile del 2013 con il governo tecnico di Mario Monti e nell’aprile del 2018 con il governo di centrosinistra di Paolo Gentiloni vennero pubblicati dei DEF che si limitavano a indicare gli andamenti tendenziali della finanza pubblica, perché in entrambi casi si trattava di governi dimissionari in carica solo per lo svolgimento degli affari correnti e che attendevano che i nuovi governi entrassero in carica.
E lo stesso avvenne nel settembre del 2022 con la NADEF (cioè la Nota di aggiornamento al DEF con cui a settembre si riformulano e si correggono le previsioni contenute nel DEF) del governo di Mario Draghi, che pubblicò una NADEF parziale poi aggiornata dal nuovo governo nel frattempo entrato in carica, quello di Giorgia Meloni.
La decisione di Giorgetti è stata del resto concordata con la Commissione Europea, che ha concesso una deroga analoga anche ad altri paesi, secondo alcuni suoi funzionari che seguono la materia. Sicuramente l’applicazione delle regole europee avrà un impatto non marginale nella definizione dei provvedimenti economici futuri. Per esempio sappiamo già che la Commissione Europea e il Consiglio Europeo apriranno una procedura d’infrazione per disavanzo eccessivo nei confronti dell’Italia, così come avverrà per una decina di altri paesi che, come il nostro, avranno un tasso di deficit superiore al 3 per cento del PIL. Il deficit è il disavanzo annuale nel bilancio dello Stato: se in un Paese supera il 3 per cento del PIL – il che per l’Italia significa chiudere il conto annuale in passivo di oltre 60 miliardi – il nuovo Patto di stabilità impone a quel paese di ridurre dello 0,5 per cento all’anno la spesa pubblica netta, cioè quella che non tiene conto del pagamento degli interessi sul debito pubblico e di altre voci di spesa straordinarie.
L’Italia dovrà adottare questo piano di riduzione della spesa, che verrà definito a seguito di un’analisi sulla sostenibilità del debito pubblico e che vincolerà almeno in parte le politiche economiche del paese per i prossimi anni. Succederà perché nel DEF, per quanto è possibile capire dalle poche anticipazioni diffuse dal ministero dell’Economia, si prevede che il deficit nel 2024 sarà del 4,3 per cento del PIL, confermando dunque la previsione programmatica che il governo aveva inserito nella NADEF a settembre 2023. Peggiorano invece le stime per gli anni seguenti: per il 2025 il rapporto deficit/PIL secondo il governo sarà il 3,7 per cento (nella NADEF era il 3,6) e nel 2026 il 3 per cento (nella NADEF era il 2,9). Il deficit dovrebbe poi calare significativamente nel 2027, quando secondo le stime del governo sarà il 2,2 per cento del PIL.
A influire sul peggioramento del quadro finanziario c’è anche una crescita del PIL inferiore alle attese: nel DEF si parla di un +1 per cento nel 2024 e di un +1,2 nel 2025, in entrambi i casi uno 0,2 per cento in meno rispetto alla crescita programmatica prevista nella NADEF di settembre. È una notizia negativa, anche se indica previsioni del governo meno fosche di quelle diffuse a febbraio dalla Commissione Europea.
Tutto ciò si riflette poi anche sul debito pubblico. Nella NADEF il governo aveva previsto che il 2023 si sarebbe chiuso con un debito pubblico del 140,2 per cento del PIL, e che da lì in poi ci sarebbe stata una lieve ma costante discesa, fino a raggiungere il 139,6 per cento nel 2026. L’ISTAT, cioè l’Istituto nazionale di statistica, a marzo aveva però diffuso cifre più rassicuranti: per una sorta di effetto indiretto sui conti pubblici dell’inflazione, cioè l’aumento dei prezzi, il debito del 2023 era stato rivisto al ribasso, al 137,3 per cento del PIL. Si sperava che questo rendesse ancora più marcato il percorso di riduzione del debito negli anni futuri. Il DEF invece prevede che il 2024 si chiuderà con un rialzo del debito di mezzo punto percentuale sul PIL rispetto alle stime dell’ISTAT per il 2023 (quindi al 137,8 per cento), e che questa tendenza proseguirà anche nel 2025 (138,9 per cento) e 2026 (139,8 per cento), per poi scendere solo nel 2027 (139,6 per cento).
Le previsioni non sono molto rassicuranti e non tengono conto, come dicevamo, della necessità che ha il governo di reperire entro settembre una ventina di miliardi per confermare le misure attuate per il solo 2024. Queste risorse ulteriori si potranno trovare o facendo tagli alla spesa pubblica, o rendendo molto più efficiente il recupero dell’evasione fiscale, oppure introducendo nuove tasse (oppure riducendo i tagli alle tasse, che è la stessa cosa). È molto probabile a questo punto che Giorgetti e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni non chiariranno questo aspetto prima delle elezioni europee previste per l’inizio di giugno, e del resto farlo prima non converrebbe da un punto di vista elettorale.
In ogni caso, se nessuna di queste ipotesi si verificasse, il governo non avrebbe altra alternativa che fare ulteriore debito: ma il quadro finanziario delineato dal DEF e l’entrata in vigore delle nuove regole europee rendono questa ipotesi poco praticabile per il governo.