Negli Stati Uniti le donne ebree ortodosse protestano per ottenere il divorzio
Quello religioso, diverso da quello civile, che può essere concesso solo dal marito e senza il quale restano isolate nelle loro comunità: alcune di loro hanno organizzato uno sciopero del sesso
Le donne di alcune comunità ebraiche ortodosse dello stato di New York, negli Stati Uniti, stanno protestando contro le norme tradizionali che regolano il divorzio. Si tratta di regole religiose che attribuiscono molto potere al marito, e che in molti casi non permettono alle donne di terminare una relazione, anche dopo aver ottenuto il divorzio civile.
La protesta è iniziata da diverse settimane per sostenere una donna di 29 anni, Malky Berkowitz. La famiglia di Berkowitz vive a Kiryas Joel, una comunità tradizionalista di circa 38 mila abitanti abitata quasi esclusivamente da ebrei ortodossi, a un’ottantina di chilometri da New York. Da quattro anni Berkowitz sta cercando di convincere il marito a concederle il divorzio religioso: finora, però, le sue richieste non hanno avuto successo, e lei è costretta a continuare a vivere con lui.
Comunità come quella di Kiryas Joel sono in tutto soggette alla legge statunitense. Al tempo stesso però accolgono persone che seguono rigidamente gli usi dettati dalla legge ebraica ortodossa, e che vivono separati dal resto della popolazione. Si tratta, comunque, di una minoranza dentro alle comunità ebraiche statunitensi, che vivono in modo più laico e non sono fisicamente separate dal resto della popolazione.
Secondo Adina Sash, una donna ebrea ortodossa di Brooklyn che è la principale organizzatrice e portavoce della protesta per il divorzio, quello di Berkowitz non è un caso isolato. «Solo nell’ultimo anno abbiamo protestato per garantire il divorzio religioso a diciotto donne», ha detto. Questa protesta, ha chiarito, è diretta a sostenere «tutte le donne ortodosse, ovunque vivano», e a denunciare un problema che è «sistemico».
Secondo la legge ebraica, un matrimonio religioso può essere sciolto solo quando il marito consegna a sua moglie un documento, chiamato get, che di fatto è una specie di permesso che attesta che la donna è libera dall’autorità del marito e può incontrare e sposare altri uomini. Se questo non avviene, per la comunità la coppia rimane legalmente sposata, anche se il divorzio è già stato riconosciuto da un tribunale civile.
Quando una coppia di ebrei ortodossi si sposa, celebra il rito civile oltre a quello religioso. Ma a causa delle loro convinzioni religiose, per le donne il divorzio civile non è abbastanza per ritenere davvero sciolta l’unione matrimoniale. Ottenere il get è importante perché è prescritto dalle autorità religiose e perché, banalmente, fa parte dei doveri che le donne ortodosse sentono di dover rispettare.
Inoltre, il divorzio religioso è per loro essenziale per essere delle donne libere e non ostracizzate all’interno delle comunità in cui vivono.
Una donna che vuole divorziare, ma non riesce a ottenere il get, non è indipendente, non può risposarsi e non può avere figli con un’altra persona. Le donne in questa situazione rimangono bloccate all’interno di un matrimonio religioso che non possono abbandonare: nella tradizione ebraica sono chiamate agunot, cioè letteralmente mogli «in catene».
È una pratica che può facilmente portare ad abusi: può capitare che un uomo sfrutti il get come arma di ricatto nei confronti della moglie, chiedendo per esempio in cambio una somma di denaro, la custodia dei figli, o anche per imporre alla moglie di non avere rapporti con altri uomini.
È un problema comune a molte comunità ortodosse. In Israele è stata creata una associazione, Yad La’isha, che si occupa di sostenere le donne che si trovano in questa situazione (e che secondo la stessa organizzazione in tutto il mondo sarebbero più di 2.400 ogni anno). Nel Regno unito, non concedere il get è considerato reato.
Ma negli Stati Uniti, dove secondo il Pew Research Center vivono 5,8 milioni di ebrei ortodossi e dove alle comunità religiose viene garantita una grande autonomia, il problema è più complicato: le autorità civili non si interessano molto al problema (visto che, dal punto di vista dello stato, il divorzio è avvenuto, e la donna è libera di lasciare il marito) e le autorità religiose, esclusivamente composte da uomini, raramente decidono di intervenire.
Così, spesso, le donne che vogliono divorziare devono organizzarsi e inventarsi dei metodi per persuadere il marito a concedere il get. Spesso si tratta di metodi di pressione pacifici, ma non sempre: nel 2015 a New York due uomini, Mendel Epstein e Binyamin Stimler, vennero condannati per avere organizzato un gruppo che sequestrava e picchiava i mariti recalcitranti, con lo scopo di convincerli ad acconsentire al divorzio religioso.
Adina Sash ha spiegato che, per sostenere Malky Berkowitz, le attiviste hanno organizzato proteste in diverse comunità ortodosse attorno a New York. Hanno anche iniziato uno «sciopero del sesso», rifiutando di avere rapporti con i propri mariti fino a quando Berkowitz non otterrà il divorzio.
La tradizione ebraica proibisce i rapporti durante le mestruazioni. Alla fine del ciclo, le donne ortodosse devono immergersi in un mikvah, un bagno rituale, prima di avere un rapporto col proprio marito. Sash ha invitato le donne ad astenersi dal mikvah, sfruttando le regole di purificazione per rifiutare il sesso coniugale; oppure a rifiutare i rapporti sessuali durante il riposo tradizionale del sabato, considerati particolarmente importanti.
Sash ha spiegato come, per la natura stessa dell’iniziativa, sia difficile avere cifre precise su quante donne partecipino allo sciopero. Secondo lei, questa strategia serve per dare visibilità alla protesta, ma è anche un modo per fare pressione sugli uomini della comunità, e convincerli a loro volta a sostenere attivamente Berkowitz e le altre agunot.
L’idea di sfruttare il sesso come mezzo di protesta ha attirato sulle attiviste molte critiche. Hershel Schachter, un importante leader religioso ortodosso statunitense, in una lettera ha detto che «suggerire una tattica di questo tipo è una ricetta per il disastro». Sash ha anche spiegato di essere regolarmente vittima di minacce e intimidazioni.
Il diritto al divorzio, per Sash, è parte di una questione più ampia, che riguarda il ruolo delle donne all’interno della loro comunità. Anche se le regole variano, di solito le donne ebree ortodosse sono soggette a molte restrizioni: devono vestirsi in modo casto (per esempio, evitando gonne che scoprano le ginocchia), rasarsi la testa e indossare delle parrucche in pubblico. I matrimoni di solito vengono combinati dalle famiglie quando gli sposi sono appena maggiorenni e non si conoscono.
Sash sostiene che anche se le regole non cambieranno, usare il sesso come mezzo di protesta serve a introdurre una discussione sul consenso e sul rapporto sessuale vissuto come obbligo: «Si tratta di un modo per permettere alle donne di riaffermare il controllo sul proprio corpo. È anche un modo di dire ai nostri leader che le donne non stanno più al loro gioco».