Tra un Padrino e l’altro, Coppola fece “La conversazione”
Cinquant'anni fa, tra due dei più grandi film della storia del cinema, uscì il thriller con Gene Hackman diventato di culto
Agli inizi degli anni Settanta Francis Ford Coppola era probabilmente il massimo rappresentante di quella corrente di rinnovamento del cinema statunitense nota come Nuova Hollywood, animata da registi che cominciavano a ottenere fiducia dalle case di produzione, potendo contare su un maggiore controllo creativo sulle loro opere. La fama spropositata che Coppola aveva raggiunto in quel periodo derivava quasi interamente da Il padrino, il film più famoso di quella stagione e uno dei più celebrati della storia del cinema, che ottenne un successo senza precedenti.
Anche grazie al successo ottenuto da Il padrino, la casa di produzione Paramount permise a Coppola di lavorare a un film che voleva realizzare da una decina d’anni, ma che non era mai riuscito a fare per via della mancanza di fondi. Nella sua idea iniziale avrebbe dovuto essere una sorta di tributo ai fasti del cinema italiano d’autore, e in particolare a Blow–Up, film del 1966 diretto da Michelangelo Antonioni e liberamente ispirato al racconto Le bave del diavolo dello scrittore argentino Julio Cortázar. Raccontava la storia di un fotografo di moda londinese, Thomas, che crede di scoprire le prove di un omicidio ingrandendo una foto scattata per caso a due amanti in un parco.
Il risultato fu La conversazione, che uscì al cinema il 7 aprile del 1974, cinquant’anni fa, e che ai tempi, per una coincidenza temporale piuttosto particolare, fu definito un film in qualche modo “profetico”. Anticipò infatti di pochi mesi il cosiddetto scandalo del Watergate, partito dalla scoperta di una serie di intercettazioni che il Partito Repubblicano statunitense effettuò attraverso alcuni suoi uomini all’interno della sede del Partito Democratico, e che portò alle dimissioni del presidente Richard Nixon.
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Anche La conversazione raccontava una storia di spionaggio: quella di Harry Caul (Gene Hackman), un agente specializzato in sorveglianza e intercettazioni e caratterizzato da una certa fissazione per il concetto di riservatezza, al punto di non fare conoscere a nessuno il suo numero di telefono e il suo indirizzo di casa. All’inizio del film Caul viene presentato come un personaggio misantropo, schivo e ossessionato dalla protezione della sua sfera personale.
Le cose cambiano quando il direttore di una grossa azienda (chiamato semplicemente “Il direttore” e interpretato da uno degli attori feticcio di Coppola, Robert Duvall, il Tom Hagen di Il padrino) lo incarica di intercettare la conversazione tra Ann (Cindy Williams), sua moglie, e Mark (Frederic Forrest), il suo amante. Ascoltando una conversazione tra i due, Caul intuisce che qualcuno sta organizzando un piano per ucciderli. Buona parte del film è incentrato proprio sul dilemma morale di Caul, che deve decidere se considerare ciò che ha sentito come parte del suo lavoro o derogare a questo principio e avvisare la coppia della minaccia.
Anche se la critica dell’epoca insistette moltissimo sul parallelismo con il Watergate, Coppola spiegò in più occasioni che si trattava di una semplice coincidenza, anche perché scrisse la sceneggiatura del film verso la metà degli anni Sessanta, prima che Richard Nixon iniziasse il suo primo mandato come presidente degli Stati Uniti.
Al di là di tutte le speculazioni del caso, La conversazione ottenne un successo di critica enorme, dovuto anche alla grande qualità del comparto tecnico che Coppola coinvolse nella produzione, e in particolare al montaggio di Walter Murch e Richard Chew, considerato avveniristico e praticamente perfetto dalla maggior parte degli addetti ai lavori.
Il film inoltre consolidò ulteriormente la fama di Hackman come uno degli attori più prolifici e interessanti della Hollywood di quegli anni. Negli anni Sessanta, all’inizio della sua carriera, Hackman aveva dato l’idea di poter essere soprattutto due cose: il cattivo, non particolarmente bello, cinico e senza morale; oppure l’uomo qualunque, quello che potrebbe sedersi accanto in aereo o su un bus senza farsi notare granché. Nel decennio successivo invece fece vedere di poter fare davvero di tutto.
Se già nel 1971, tre anni prima dell’uscita di La conversazione, Hackman aveva vinto l’Oscar come miglior attore protagonista per la sua interpretazione di Il braccio violento della legge, il ruolo che Coppola decise di fargli interpretare diede ulteriore risalto alle sue dote attoriali, permettendogli di interpretare un archetipo che non aveva ancora esplorato, ossia quello di un uomo diffidente, paranoico e dai confini morali piuttosto fragili.
La critica accolse La conversazione in modo entusiasta: il critico cinematografico Roger Ebert scrisse per esempio che «il film funziona su un livello morale, ma anche come thriller teso e intelligente», che sembrava provenire «da un altro tempo e luogo rispetto ai thriller di oggi, che sono spesso ingenui». Anche le recensioni scritte negli anni successivi sottolinearono l’importanza di La conversazione e la sua capacità di rappresentare in maniera credibile l’America nixoniana. Su Slate per esempio Jonathan Kirshner ha scritto che il personaggio di Caul è l’allegoria perfetta di Nixon, perché «diffidente nel dire la verità, socialmente imbarazzante, autoisolato, incline all’ossessione e disfunzionalmente paranoico, viene distrutto dalle sue stesse registrazioni».
La conversazione simboleggia al meglio lo status che Coppola riuscì a raggiungere nell’industria di Hollywood di quegli anni, dato che la sua uscita coincise con il picco massimo della sua carriera come regista: nel 1971 aveva diretto quello che viene considerato ancora oggi il gangster movie più influente di tutti i tempi, e appena tre anni dopo, praticamente in contemporanea a un film di enorme successo di critica come La conversazione, uscì al cinema con Il padrino – parte II, il sequel del film, che venne giudicato alla pari se non addirittura superiore al primo capitolo.