A sei mesi dall’inizio della guerra Israele è sempre più isolato
E senza un piano preciso su come porre fine ai combattimenti, che stanno provocando enormi sofferenze ai palestinesi e non stanno raggiungendo gli obiettivi
A sei mesi dal 7 ottobre del 2023, il giorno del brutale attacco con cui i miliziani di Hamas massacrarono circa 1.200 israeliani, quasi tutti civili, e a sei mesi dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza, Israele è sempre più isolato, e la sua guerra contro Hamas è sempre più contestata.
Quella di questi sei mesi è la più lunga guerra dai tempi della guerra che coincise con la fondazione di Israele, ma nonostante l’enorme numero di morti palestinesi e l’eccezionale livello di distruzione della Striscia di Gaza, Israele non ha raggiunto nessuno dei suoi due obiettivi, cioè quello di distruggere Hamas e di riportare a casa tutti gli ostaggi, oltre 250, rapiti dal gruppo il 7 ottobre.
In questi sei mesi Israele ha ottenuto alcuni risultati. L’esercito sostiene di avere ucciso 9mila miliziani di Hamas (anche se sull’attendibilità di queste cifre c’è qualche dubbio avanzato dalla stessa stampa israeliana) e 113 capi militari del gruppo. Sostiene inoltre di aver distrutto una parte consistente dei tunnel che Hamas aveva scavato sotto la Striscia di Gaza.
Ma Israele non ha catturato o ucciso nessuno dei principali capi militari di Hamas presenti a Gaza, come Yahya Sinwar, il più importante leader di Hamas nella Striscia. Non ha nemmeno eliminato del tutto le capacità operative del gruppo, che continua a contrattaccare, sebbene in maniere piuttosto ridotte, e ad avere una presenza nella Striscia, sebbene clandestina.
Israele non ha nemmeno riportato indietro tutti gli ostaggi: si ritiene che a Gaza ci siano ancora circa 130 israeliani, di cui 99 potrebbero essere ancora vivi (gli altri potrebbero essere stati uccisi da Hamas, o dai bombardamenti stessi dell’esercito israeliano).
Soprattutto, in questi sei mesi di guerra Israele ha ucciso più di 33mila palestinesi, secondo il ministero della Sanità di Gaza (cioè Hamas), che nelle guerre passate si è sempre dimostrato affidabile. Secondo l’ONU, un terzo di questi morti sono minori. Oltre ai morti, si stima che ci siano 75mila palestinesi feriti e che un milione di persone sia alla fame. I soldati israeliani uccisi dall’inizio della guerra sono circa 250.
In queste circostanze, il governo di estrema destra del primo ministro Benjamin Netanyahu (che formalmente è un governo di unità nazionale, ma è ancora dominato dalle forze estremiste, come prima della guerra) sembra andare avanti senza un vero progetto, né su come far finire la guerra né su cosa accadrà in seguito ai rapporti tra israeliani e palestinesi.
Netanyahu ha detto in molte occasioni che la guerra proseguirà fino alla distruzione di Hamas e alla vittoria totale di Israele, ma non è mai davvero stato in grado di presentare un piano concreto per raggiungere questi obiettivi. Sia dentro sia fuori Israele molti cominciano a pensare anzi che Netanyahu stia volutamente prolungando la guerra per ragioni di convenienza politica interna.
«Sembra che anche i suoi sostenitori più decisi stiano iniziando a capire che la vittoria totale è soltanto uno slogan […] e che il primo ministro in realtà sta cercando di condurre una guerra perpetua, che gli consenta di posporre la ricerca delle responsabilità per il terribile fallimento del 7 ottobre, e forse che gli consenta di ritardare i suoi processi penali», ha scritto in questi giorni il quotidiano Haaretz. Netanyahu fin da prima della guerra era indagato per vari reati, tra cui corruzione.
La maggioranza della popolazione israeliana continua a sostenere la guerra, ma la popolarità del governo di Netanyahu è ormai bassissima, come dimostrano le manifestazioni frequenti e molto partecipate organizzate contro di lui.
Davanti alla pervicacia del governo nel proseguire una guerra senza chiari obiettivi e senza un piano concreto, e soprattutto davanti all’enorme livello di sofferenza inflitto alla popolazione palestinese, Israele si trova sempre più isolato a livello internazionale, anche tra gli alleati più stretti. Alcuni paesi, come il Regno Unito, stanno cominciando a mettere in discussione gli aiuti economici e militari concessi finora, e le relazioni con gli Stati Uniti, che sono di gran lunga l’alleato più importante, sono al loro punto più basso da almeno 30 anni.
L’isolamento si vede alla Corte internazionale di giustizia, che sta portando avanti un procedimento contro Israele per genocidio (che richiederà anni per concludersi) e all’ONU, dove di recente sono passati vari voti contro Israele, compreso uno al Consiglio di Sicurezza che ha chiesto un cessate il fuoco immediato e al quale gli Stati Uniti non si sono opposti.
Nonostante tutto, non è ancora chiaro come la guerra potrebbe terminare. I negoziati di pace, che sono ripresi in questi giorni al Cairo, in Egitto, non sembrano promettenti, e Netanyahu ha detto più volte che il suo governo intende andare avanti con l’offensiva nei confronti di Rafah, la città nell’estremo sud della Striscia dove si sono rifugiati 1,3 milioni di palestinesi.