La coppia che rintraccia i responsabili del genocidio ruandese in Francia
Dafroza e Alain Gauthier, con la loro associazione, hanno fatto condannare numerosi autori del genocidio cominciato 30 anni fa
Dafroza e Alain Gauthier vivono a Reims, in Francia, da quasi trent’anni. E da quasi altrettanti dedicano la loro vita alla ricerca di prove e testimonianze per rintracciare e portare in tribunale i responsabili del genocidio commesso in Ruanda e che, dopo il 1994, si sono trasferiti in Francia. Finora Dafroza e Alain Gauthier, con la loro associazione, hanno sostenuto o presentato direttamente trentasei denunce. Sette di queste hanno portato a processi e anche a condanne.
Dafroza Gauthier è nata in Ruanda nel 1954. È un’ingegnera chimica ormai in pensione e si trovava in Francia quando il 6 aprile del 1994 l’aereo che trasportava il presidente del Ruanda Juvénal Habyarimana, e il presidente del Burundi Cyprien Ntaryamira, entrambi di etnia hutu, fu colpito da due razzi a Kigali, la capitale del paese. Non si salvò nessuno e poche ore dopo ebbe inizio il genocidio nei confronti della minoranza dei tutsi, ritenuta responsabile dell’attentato (anche se non si è mai saputo davvero chi fu il responsabile).
Nel giro di 100 giorni, dal 7 aprile alla metà di luglio del 1994, fu ucciso quasi un milione di persone, compresi gli hutu considerati “moderati”, che durante il genocidio nascondevano i tutsi o si rifiutarono di partecipare al massacro. Ci furono centinaia di migliaia di stupri e decine di migliaia di bambini arruolati come soldati.
«Quando tornavo a Butare dove sono nata», ha raccontato in un’intervista di qualche tempo fa Dafroza Gauthier «c’era l’odore dei fiori che profumava l’aria. E tanta gioia. Per strada trovavo parenti, amici, vicini di casa, ci abbracciavamo ogni dieci metri per salutarci. Oggi invece posso attraversare la città senza fermarmi nemmeno una volta». La madre di Dafroza Gauthier fu uccisa l’8 aprile del 1994, il giorno dopo l’inizio dei massacri, e nei giorni successivi morì anche il resto della sua famiglia.
Alain Gauthier, marito di Dafroza ed ex preside di una scuola, è nato nel dipartimento dell’Ardèche nel 1947. Negli anni Settanta, da giovane studente di teologia e intenzionato a farsi prete, decise di andare in Ruanda a lavorare come insegnante all’interno di una missione. Lì incontrò Dafroza per la prima volta, ritrovandola qualche anno dopo in Francia dove lei era nel frattempo scappata per sottrarsi agli scontri iniziati subito dopo l’indipendenza del suo paese dal Belgio, nel 1962, e durante i quali la maggior parte dei tutsi fu costretta, nel migliore dei casi, all’esilio. Il padre di Dafroza venne ucciso nel 1963, proprio nel contesto di queste violenze. Quando Dafroza e Alain Gauthier si ritrovarono in Francia si sposarono, ma il genocidio cambiò le vite di entrambi.
Tutto iniziò nel 2001, quando Dafroza e Alain Gauthier parteciparono a Bruxelles al processo contro quattro ruandesi accusati di crimini contro l’umanità per i massacri del 1994. Qui i due incontrarono i membri di un’associazione che si occupava della ricerca dei fuggitivi ruandesi residenti in Belgio e decisero di fare altrettanto in Francia. Nel 2001 fondarono il Collectif des parties civiles pour le Rwanda (CPCR) con l’obiettivo, come si spiega nel sito, di portare davanti alla giustizia francese le persone sospettate di aver partecipato al genocidio e «che spesso hanno trovato un’accoglienza eccessivamente compiacente sul suolo francese».
Anche se il Ruanda non è mai stato una colonia francese, il ruolo della Francia nel genocidio in Ruanda è da tempo argomento di controversie e al centro di rapporti diplomatici complicati tra i due paesi. Il Ruanda per anni ha accusato le truppe francesi di aver preso parte al massacro dei tutsi poiché all’epoca il loro governo aveva strettissimi legami con il regime a guida hutu di Habyarimana e aveva fornito armi alle milizie che poi si erano rese responsabili del genocidio.
Nel 2021, al termine di due anni di ricerche, i membri della Commissione Duclert (dal nome dello storico francese che l’ha presieduta, Vincent Duclert) hanno pubblicato un voluminoso rapporto sul ruolo della Francia in Ruanda tra il 1990 e il 1994. Nel rapporto si dice che la Francia aveva avuto nel genocidio «una responsabilità politica, istituzionale e morale», si parla di «disfunzioni profonde nel processo di valutazione della situazione e nell’attuazione di misure di contrasto» e si dice che l’Operazione “Turquoise”, la missione francese a mandato ONU avviata nel giugno del 1994 con l’obiettivo di fermare le violenze in atto nel paese, «si dimostrò incapace di porre un limite ai massacri in corso».
Questa settimana anche il presidente francese Emmanuel Macron ha detto per la prima volta che la Francia «avrebbe potuto» porre fine il genocidio, ma che non ha avuto la volontà di farlo.
Le difficoltà della Francia ad ammettere il proprio ruolo nel genocidio hanno contribuito a ritardare il lavoro investigativo e il percorso giudiziario contro i responsabili del genocidio stesso che nel frattempo si erano rifugiati su suolo francese a causa dei legami tra la Francia e il regime di Habyarimana. «Il lavoro investigativo» ha detto Alain Gauthier «è iniziato davvero solo nel 2011, diciassette anni dopo i fatti» e quando la loro attività proseguiva già da dieci anni in modo indipendente. Dal 2001, infatti, Dafroza e Alain Gauthier, senza alcuna competenza legale e investendo i loro soldi, cominciarono a raccogliere testimonianze sulla presenza in Francia di cittadini ruandesi coinvolti nel genocidio e ad andare in Ruanda per ascoltare i sopravvissuti e cercare prove utili ad avviare un caso giudiziario in Francia. Le ricerche spesso iniziano con una segnalazione.
Tra i sospettati che hanno scoperto ci sono dei medici, un prete, persone legate dell’ex regime del presidente Habyarimana, funzionari di alto rango, ex politici o soldati. In Francia erano diventati membri rispettati della società, si erano rifatti una vita e in diversi casi avevano ottenuto la nazionalità francese.
Grazie all’impegno del CPCR e dei loro avvocati, Dafroza e Alain Gauthier hanno presentato trentasei denunce contro esuli ruandesi residenti in Francia e sospettati di essere coinvolti nel genocidio. Il processo più recente si è svolto contro un ginecologo, Sosthène Munyemana, che lo scorso dicembre è stato condannato da un tribunale di Parigi a 24 anni di carcere. Munyemana è stato dichiarato colpevole di genocidio, crimini contro l’umanità e partecipazione a una cospirazione. L’uomo era arrivato in Francia nel settembre del 1994, dove poi aveva vissuto e lavorato come medico fino al recente pensionamento. La denuncia contro di lui era stata presentata per la prima volta nel 1995, ma il sistema giudiziario francese non vi aveva dato seguito. Dafroza e Alain Gauthier avevano dunque contribuito a riattivare il procedimento costituendosi parte civile e presentando una serie di prove che avevano raccolto personalmente in Ruanda.
Sul sito del CPCR c’è l’elenco di tutti i casi e delle denunce presentate. Le più vecchie risalgono alla metà degli anni Novanta, la più recente è dell’agosto del 2023. I processi, alcuni dei quali sono ancora in corso, hanno portato a nove condanne, tre delle quali all’ergastolo. Il processo di appello di Philippe Hategekimana, un ex soldato ruandese condannato all’ergastolo nel giugno del 2023, si svolgerà a partire dal novembre del 2024. Nel frattempo due delle persone coinvolte nei casi scovati da Dafroza e Alain Gauthier sono morte. Laurent Bucyibaruta, vecchio prefetto di Gikongoro in Ruanda e condannato a 20 anni, è morto lo scorso dicembre.
Più passa il tempo, più il lavoro del CPCR si fa complicato: i ricordi dei testimoni sono sempre più deboli, molti scelgono di non parlarne più, la raccolta prove è difficile da realizzare, e poi molti sospettati hanno cambiato identità e nazionalità o sono nel frattempo morti o troppo vecchi per andare a processo.
Dafroza e Alain Gauthier dicono di essere «semplicemente dei cittadini con una coscienza». Riprendendo l’espressione del famoso cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal, ripetono spesso che non li muove «né l’odio né la vendetta», ma il desiderio di restituire alle vittime la loro dignità, come ha spiegato Dafroza Gauthier: «Non denunciamo nessuno senza prove, i nostri casi sono solidi. E la nostra azione non è eroica, ma civica. Per riconciliare una comunità la giustizia deve garantire una degna sepoltura alle vittime, contrastare l’impunità e prevenire il negazionismo». La coppia stima che siano più di un centinaio i sospetti di genocidio che dopo il 1994 si sono rifugiati in Francia.