Il disastro aereo da cui iniziò il genocidio in Ruanda, 30 anni fa
Il 6 aprile 1994 l’aereo che trasportava i presidenti di Ruanda e Burundi fu colpito e abbattuto: da lì, nel giro di 100 giorni, furono uccise 800 mila persone
Il 6 aprile del 1994 l’aereo che trasportava il presidente del Ruanda, Juvénal Habyarimana, e il presidente del Burundi, Cyprien Ntaryamira, entrambi di etnia hutu, fu colpito da due razzi quando era in fase di atterraggio a Kigali. Non si salvò nessuno. Quell’attentato diede inizio, poche ore dopo, al genocidio del Ruanda e ai massacri sanguinosi e indiscriminati portati avanti dalla maggioranza della popolazione hutu nei confronti della minoranza dei tutsi, ritenuta responsabile dell’attentato.
In Ruanda nel giro di 100 giorni, dal 7 aprile alla metà di luglio del 1994, furono uccise almeno 800 mila persone tutsi, ci furono decine di migliaia di stupri e di bambini arruolati come soldati. Furono uccisi anche più di 30 mila hutu cosiddetti moderati, che si rifiutarono di partecipare al massacro o che nascosero e difesero persone tutsi. Le violenze si estesero anche al Burundi, dove le tensioni etniche erano simili.
Prima dell’attentato
Ruanda e Burundi sono due piccole nazioni senza sbocchi sul mare della regione dei Grandi Laghi, nell’Africa centro-orientale. Le loro storie sono molto legate: controllate dai tedeschi fino alla fine della Prima guerra mondiale, diventarono poi una colonia del Belgio che nel 1924 ottenne mandato dalla Società delle Nazioni – l’antenata delle Nazioni Unite – di amministrare i due territori, che vennero chiamati come un’unica entità, il Ruanda-Urundi. La situazione rimase più o meno la stessa dopo il 1945 – quando la Società delle Nazioni fu sostituita dalle Nazioni Unite – e fino all’indipendenza dal Belgio, avvenuta nel 1962, quando Ruanda e Burundi si separarono.
Sia in Burundi che in Ruanda l’etnia prevalente è quella degli hutu, per tradizione agricoltori; poi ci sono i tutsi, allevatori. Questi ultimi, evangelizzati nelle missioni religiose e istruiti, durante l’amministrazione coloniale videro rafforzata la loro posizione e la convinzione di una presunta superiorità sul resto della popolazione, alimentata non solo dall’alleanza con i coloni. Nel 1931 il Belgio aveva tra l’altro imposto una carta d’identità che indicava l’appartenenza etnica.
Contribuirono alle divisioni anche una serie di teorie – in linea con le idee razziste molto in voga all’epoca in Europa – che diffusero l’idea di una distinta origine razziale tra le due etnie: i tutsi vennero descritti dai colonizzatori come i capi naturali, mentre gli hutu come una popolazione destinata “per natura” a restare sottomessa. Questi studi, ovviamente falsi, ebbero un’influenza significativa sulla storia politica locale da lì in poi.
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Dal 1959 al 1962 il Ruanda attraversò un periodo molto travagliato, la cosiddetta «rivoluzione sociale», durante la quale la maggior parte dei tutsi fu costretta all’esilio nelle nazioni vicine o venne uccisa in una serie di scontri etnici che iniziarono subito dopo l’indipendenza. Negli anni Novanta gli esuli tutsi iniziarono ad armarsi e ad organizzarsi nel Fronte Patriottico Ruandese (FPR), sostenuto dall’Uganda, e il regime del presidente Juvénal Habyarimana, al potere dal 1973, iniziò a entrare in crisi: non solo perché Habyarimana aveva introdotto misure molto impopolari a causa della situazione economica in continuo peggioramento, ma anche perché in cambio degli aiuti economici francesi aveva accettato la creazione di altri partiti che si dimostrarono ben presto molto critici nei suoi confronti. A tutto questo va aggiunto che le azioni dell’FPR guidato da Paul Kagame, che dal 2000 è presidente del Ruanda, si fecero sempre più insistenti ed efficaci.
Ad Habyarimana non rimase dunque che cedere e negoziare con l’FPR i cosiddetti Accordi di Arusha. A partire dall’aprile del 1993 iniziò così un processo che aveva come obiettivo la formazione di un governo di unità nazionale che comprendesse l’FPR. Molti leader hutu democratici sostennero il processo di pace, che fu criticato e ostacolato invece dagli estremisti hutu, che nel frattempo si erano rafforzati e organizzati sia in Ruanda che in Burundi.
Dopo l’indipendenza, in Burundi i tutsi erano rimasti al governo per molti anni e solo nel 1993 era stato eletto il primo presidente hutu del paese, Melchior Ndadaye: sia lui che il suo successore, Cyprien Ntaryamira, furono però uccisi nel giro di pochi mesi. Ntaryamira morì insieme al presidente del Ruanda Habyarimana il 6 aprile del 1994 mentre i due erano a bordo di un aereo che stava rientrando da un vertice di capi di Stato in Tanzania e che fu abbattuto da un razzo. L’episodio diede inizio al genocidio ruandese, che si concluse a luglio quando le milizie tutsi riunite nell’FPR, e guidate da Paul Kagame, deposero il governo degli hutu e misero fine al massacro. Kagame divenne il presidente provvisorio del paese, fu eletto nel 2003 e rieletto nel 2010 e nel 2017.
Dalla fine del genocidio Kagame è considerato una specie di “salvatore” del paese, anche se il suo governo è diventato via via più dittatoriale, e oggi il Ruanda è uno dei paesi più autoritari dell’Africa.
Subito dopo
Subito dopo la morte dei presidenti di Ruanda e Burundi la situazione precipitò, ma fin da subito fu chiaro che tutto era stato pianificato da tempo: c’erano liste precise che indicavano chi uccidere e chi no, c’erano magazzini pieni di armi e gli estremisti hutu sembravano solo in attesa di un ordine.
La gran parte della popolazione adulta hutu (circa l’85 per cento del paese, mentre i tutsi erano il 15 per cento) partecipò o assistette ai massacri, che avvennero casa per casa. I genocidari si organizzarono anche in gruppi, per cacciare uno a uno i tutsi che si nascondevano, o che si erano barricati nelle proprie abitazioni.
Dopo l’abbattimento dell’aereo, in Ruanda, il principale movimento hutu accusò dell’attentato il leader politico tutsi Paul Kagame, ma secondo altri – e secondo lo stesso FPR – ad attentare alla vita dei presidenti furono gli stessi movimenti hutu, critici con le aperture di Habyarimana verso la minoranza tutsi. Le successive inchieste non sono arrivate ad alcuna conclusione: alcune sostengono la prima tesi e altre la seconda. Il risultato è che ancora oggi non è chiaro come andarono le cose.
Al centro delle critiche e delle cose poco chiare che accaddero durante i massacri del 1994 non c’è solo la questione dell’aereo: ci sono anche l’atteggiamento disinteressato della comunità internazionale, l’inazione dell’ONU, così come le condotte collaborative di alcuni paesi occidentali verso una delle parti coinvolte, come la Francia verso gli hutu.