Ci dobbiamo fidare del successo in borsa di Truth Social?
Il social network di Donald Trump è rimasto a lungo poco conosciuto, ma il fortunato debutto in borsa sta cambiando le cose: c'entra molto la popolarità dell'ex presidente
Martedì scorso Trump Media & Technology Group, l’azienda dell’ex presidente statunitense Donald Trump che gestisce il social network Truth Social, ha debuttato sui mercati finanziari. L’operazione è stato un successo: le azioni hanno raggiunto un valore massimo di 79,38 dollari l’una, portando la valutazione dell’azienda a quasi 10 miliardi di dollari. Alla fine della prima giornata le azioni avevano un valore di circa 58 dollari, e Trump Media di 8 miliardi: una cifra enorme per una compagnia poco conosciuta, e che anzi nell’ultimo anno si era fatta notare soprattutto a causa dei suoi problemi economici.
Secondo molti analisti, esperti sia di finanza che di politica, il recente successo di Trump Media è dovuto non tanto all’azienda in sé ma alla ritrovata popolarità di Trump, che quasi sicuramente sarà il candidato del Partito Repubblicano alle elezioni presidenziali del prossimo novembre e che secondo diversi sondaggi ha buone possibilità di vincere (anche se tutto potrebbe ancora cambiare, dato che mancano sette mesi).
La quotazione in borsa di Trump Media è stata resa possibile dalla fusione dell’azienda con la SPAC Digital World Acquisition, conclusa a fine marzo dopo anni di negoziati. Una SPAC è una società che raccoglie capitali in borsa per poi fondersi con un’azienda non quotata (quella di Trump, in questo caso), costituendo per quest’ultima un’alternativa alle quotazioni in borsa tradizionali, che sono più lunghe e laboriose. Le azioni di Trump Media sono scambiate in borsa con la sigla DJT, le iniziali di Donald John Trump.
Nei primi giorni di scambi finanziari molte delle azioni di Trump Media sono state acquistate dai sostenitori dell’ex presidente: sono state definite “meme stocks”, azioni “meme” la cui popolarità è legata a fattori indipendenti dalle dinamiche finanziarie. «Esiste un vecchio modo di dire a Wall Street: “non innamorarti mai di un’azione”. In questo caso però molti azionisti si sono innamorati delle azioni, e in generale di Trump», ha spiegato al podcast The Daily del New York Times il giornalista economico Matthew Goldstein.
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Il successo in borsa è stato alimentato anche dalle “vendite allo scoperto” (short selling in inglese), un meccanismo usato spesso dagli investitori per cercare di fare profitti rapidamente. Semplificando, con la vendita allo scoperto un investitore scommette che il valore di un’azione calerà nel prossimo futuro: l’investitore prende quindi in prestito delle azioni della compagnia in questione da un intermediario (un broker) e le rivende a un prezzo alto. Aspetta poi che il loro valore crolli, a quel punto le compra a un prezzo molto più basso e poi le restituisce a chi gliele aveva prestate, ricavando un profitto (il meccanismo è spiegato nel dettaglio qui).
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In sostanza molti investitori hanno cercato di prendere in prestito e rivendere le azioni di Trump Media, sperando che in futuro il loro valore diminuisca e che loro possano guadagnarci qualcosa. Per ora però questo meccanismo sta funzionando in modo anomalo: la domanda per prendere in prestito le azioni di Trump Media e rivenderle allo scoperto è stata talmente alta che i broker hanno iniziato a chiedere interessi altissimi agli investitori, mettendo in dubbio le loro possibilità di guadagno.
La crescita sorprendente del valore delle azioni di Trump Media, e l’uso massiccio del meccanismo dello short selling, sono stati paragonati alla situazione che si creò durante la pandemia di Covid-19 con GameStop, una catena statunitense di videogiochi: a gennaio del 2021 il valore del titolo era cresciuto di più del 1.600 per cento, a causa principalmente di un’operazione organizzata dagli utenti del social network Reddit. La situazione era poi cambiata nel giro di pochi giorni, e il valore era rapidamente calato. Anche il valore delle azioni di Trump Media ha già cominciato a diminuire, pur rimanendo ancora molto alto.
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Trump possiede circa il 60 per cento delle azioni di Trump Media, che equivale all’incirca a 5 miliardi di dollari. La quotazione della società e il conseguente aumento delle risorse economiche di Trump sono stati presentati come una possibile via d’uscita ai vari problemi economici che l’ex presidente sta affrontando nell’ultimo periodo, legati principalmente alle spese legali dei quattro processi in cui è coinvolto. In realtà, i termini della fusione con Digital World Acquisition prevedono che Trump, così come tutti gli altri principali azionisti, non possa vendere le azioni della società per sei mesi: di conseguenza per ora Trump non può convertirle in liquidità, né usarle come garanzia per ottenere prestiti. Il suo patrimonio è quindi cresciuto solo sulla carta.
È possibile però che in futuro gli altri azionisti decidano di derogare ai termini e consentire a Trump di vendere le azioni anche prima della scadenza dei sei mesi. Al momento è considerata un’opzione improbabile, anche perché inevitabilmente l’immissione sul mercato di nuove azioni della società ne farebbe scendere il prezzo, a causa della legge della domanda e dell’offerta, secondo cui più un bene è disponibile più il prezzo scende.