Ci sono delle novità sulla misteriosa “sindrome dell’Avana”
Una nuova inchiesta fatta da giornalisti molto stimati riprende l'ipotesi che la sindrome sia stata provocata da un'arma segreta russa, ma non ha trovato la prova definitiva
di Davide Maria De Luca
Nel corso del fine settimana una nuova inchiesta giornalistica realizzata dal sito The Insider, dal settimanale tedesco Der Spiegel e dal programma televisivo americano 60 Minutes ha cercato di raccogliere nuovi elementi su uno degli episodi più controversi avvenuti nel mondo dell’intelligence degli ultimi anni: la cosiddetta “sindrome dell’Avana”, una misteriosa malattia che sembra aver colpito diplomatici e agenti segreti americani, basati soprattutto a Cuba, e che, secondo alcuni, è stata causata da una misteriosa arma utilizzata dall’intelligence russa.
L’investigazione, durata oltre un anno, ha prodotto una serie di elementi che, sostengono gli autori, forniscono nuovi argomenti a chi sostiene che dietro questi episodi ci sarebbe effettivamente la Russia. Ma, come ammettono gli stessi autori, nessuno ha ancora trovato prove definitive che confermino in maniera assoluta cos’è successo davvero, e il caso continua a suscitare molti scetticismi.
Della sindrome dell’Avana si parla dal 2017, quando furono pubblicate le prime notizie di episodi verificatisi nella capitale cubana l’anno precedente. Ma la nuova indagine giornalistica fa risalire i primi casi al 2014. La sindrome consiste in sostanza in una serie molto ampia di sintomi che si verificano dopo un episodio traumatico. In genere, le vittime descrivono di aver sentito improvvisamente un forte rumore, oppure una significativa pressione all’interno del cranio, a cui sono seguite nausea, vomito e in alcuni casi perdita dei sensi. Mentre alcune vittime sostengono di non aver avuto altri sintomi, molti denunciano conseguenze a lungo termine, in alcuni casi addirittura perdita dell’udito o della vista.
Secondo alcuni, la causa sarebbe un’arma sonora o, più probabilmente, a microonde, in grado di causare effetti non letali. Un tipo di arma e di tecnologia che, in Europa e negli Stati Uniti, non è ancora stato sviluppato, almeno ufficialmente. Per altri invece si tratterebbe di un fenomeno di isteria collettiva anche perché i principali studi eseguiti sulle vittime non hanno mostrato alterazioni visibili nella loro fisiologia. Ma alcuni scienziati sostengono che l’arma potrebbe colpire senza lasciare tracce, se non nei minuti immediatamente successivi all’attacco.
Dopo la rivelazione dei primi attacchi, l’allora presidente Donald Trump accusò apertamente Cuba e utilizzò l’episodio nel corso del sua campagna contro il governo dell’isola, culminata con il ripristino dell’embargo e delle sanzioni abolite dal suo predecessore Barack Obama.
Nel 2021, il Congresso autorizzò la creazione di un fondo per compensare gli impiegati federali che avevano subìto «anomali traumi cerebrali», in aggiunta agli altri indennizzi per disabilità. La misura era apertamente destinata a chi denunciava di aver subìto gli effetti della sindrome (l’acronimo della legge, Helping American Victims Afflicted by Neurological Attacks, è proprio HAVANA).
Fino a oggi tra le 100 e le 200 persone – impiegati del dipartimento di Stato o delle varie agenzie di intelligence americane e canadesi, i loro familiari e in alcuni casi persino i loro animali domestici – sono state indicate come vittime della sindrome dell’Avana da varie fonti. Il governo americano non ha mai comunicato ufficialmente il numero di persone che dicono di aver subìto gli effetti della sindrome.
Episodi di sindrome dell’Avana sono stati denunciati in Cina, India, Georgia, Austria, Russia e nella stessa Washington. Secondo l’investigazione pubblicata in questi giorni, il primo caso risalirebbe al 2014 e si sarebbe verificato a Francoforte, in Germania, mentre altri episodi si sarebbero verificati in Uzbekistan, Vietnam e Regno Unito. L’ultimo caso, secondo l’indagine, risale ad appena un anno fa, durante il vertice della NATO in Lituania.
L’indagine ha richiesto mesi di tempo e ha visto la collaborazione di numerosi giornalisti in paesi diversi, compreso Christo Grozev, uno dei fondatori del sito Bellingcat, diventato famoso per le sue fonti e la sua capacità di ottenere informazioni nella comunità dell’intelligence russa (Grozev e i suoi colleghi di Bellingcat riuscirono per esempio a identificare gli agenti russi responsabili dell’avvelenamento dell’ex ufficiali dei servizi segreti russi Sergei Skripal e di sua figlia, così come quelli del leader dell’opposizione russa Alexei Navalny).
I nuovi elementi scoperti dal lavoro dei giornalisti sono essenzialmente due. Il primo è che grazie all’analisi di un enorme volume di dati su spostamenti, acquisti tramite carte di credito e dati provenienti dai telefoni cellulari, gli autori sono riusciti a identificare la presenza di alcuni agenti dell’intelligence russa non troppo lontano da dove si sono verificati alcuni dei principali casi di sindrome dell’Avana.
Raramente sono riusciti a trovare prove definitive della presenza di un agente nell’esatto momento e luogo dell’attacco, ma diversi elementi fanno sospettare agli autori che questo sia stato possibile. In un caso, ad esempio, sono riusciti a dimostrare che Andrey Averyanov, capo dell’unità 29155 del servizio segreto militare russo (Gru), l’organizzazione già responsabile dell’avvelenamento di Skripal e di altri assassinii e sabotaggi, si trovava insieme al figlio Albert in Uzbekistan nell’ottobre del 2021.
Dai dati in possesso dei giornalisti, risulta che con ogni probabilità la coppia ha lasciato l’Uzbekistan per alcuni giorni prima di tornare nel paese e quindi ripartire per Mosca. In questo lasso di tempo, la moglie di un dipendente dell’ambasciata statunitense di Tbilisi, in Georgia, sostenne di aver subìto un attacco che le causò la sindrome dell’Avana. Uscendo di casa dopo aver sentito un suono fortissimo pulsarle in testa, disse di aver visto un uomo di fronte al suo appartamento, che ha riconosciuto in seguito come Andrey Averyanov.
Il secondo elemento emerso dall’indagine riguarda invece la misteriosa “arma” che sarebbe stata utilizzata negli attacchi. Dai documenti scoperti nell’inchiesta è emerso che nel 2017 un ufficiale legato all’unità 29155, il colonnello Ivan Terentiev, ha venduto al ministero della Difesa russo la proprietà intellettuale sulle ricerche scientifiche e sulle invenzioni che aveva realizzato negli anni precedenti. Una delle ricerche i cui diritti sono stati acquistati dal ministero riguardava «potenziali capacità in armamenti acustici non letali utilizzabili in attività di combattimento in contesti urbani».
Il pagamento, però, appare minimo per lo sviluppo di un’arma che le menti più brillanti di Stati Uniti ed Europa non riescono nemmeno a immaginare: l’equivalente di 1.700 dollari. Gli autori spiegano questa discrepanza con il fatto che il pagamento sarebbe stato solo simbolico. Il vero premio sarebbe arrivato due anni dopo, con la promozione di Terentiev a una ricca posizione governativa.
Gli autori dell’indagine non sostengono di aver trovato le prove definitive che spiegano il fenomeno, ma scrivono che «l’intera vicenda porta i segni di un’operazione di guerra ibrida russa». Se in futuro sarà dimostrata la connessione, proseguono, bisognerà riconoscere che si è trattato di una delle più grandi vittorie strategiche ottenute dal presidente russo Vladimir Putin.
Negli anni diversi scienziati hanno liquidato l’intera vicenda come un caso di isteria collettiva, mentre le principali agenzie di intelligence americane hanno concluso che nessun avversario degli Stati Uniti è in possesso di un’arma in grado di causare la sindrome dell’Avana. La comunità delle persone che sostengono di essere state colpite dalla sindrome respinge queste tesi e insiste sull’idea dell’arma segreta e della campagna orchestrata da un nemico internazionale. Alcuni dei loro portavoce sono stati intervistati anche nel corso della recente inchiesta.
Greg Edgreen, tenente colonnello delle forze armate americane e coinvolto in una delle prime indagini sul caso, sostiene che la sindrome dell’Avana abbia colpito in modo specifico «il 5-10% per cento dei funzionari di intelligence con le performance più alte». Intervistato da 60 Minutes ha detto: «Se mi sbaglio sulla Russia dietro questi incidenti anomali, tornerò al programma e mi mangerò la cravatta».
Marc Polymeropoulos, uno dei più conosciuti portavoce della comunità, lui stesso un ex funzionario della CIA pluridecorato che sostiene di aver contratto la sindrome a Mosca, dice che c’è uno «schema» negli attacchi a specifici funzionari americani, molto abili e coinvolti in dossier delicati per la Russia, come l’Ucraina o la Georgia. «E io – ha detto a 60 Minutes – da ex agente della CIA non credo alle coincidenze».
Secondo gli autori dell’inchiesta, tra chi sostiene di essere vittima della sindrome si è ormai sviluppato un consenso sul fatto che la CIA e il governo americano starebbero tenendo nascosta di proposito l’intera vicenda. Forse perché se rivelassero tutte le prove che hanno, il pubblico chiederebbe una rappresaglia contro la Russia, che potrebbe portare a un’escalation o addirittura alla guerra. Oppure perché temono che, ammettendo il pericolo che corrono i funzionari, il loro reclutamento diventerebbe molto più difficile.
Le prove scientifiche dell’intera vicenda, però, continuano a essere scarse e una parte significativa della comunità scientifica rimane scettica sull’intera vicenda. I tre principali studi che danno credito all’ipotesi dell’arma a energia sonora, due pubblicati dal Journal of the American Medical Association (JAMA), nel 2018 e nel 2019, e un terzo pubblicato dal National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine, pubblicato nel 2020, sono stati duramente criticati per la loro metodologia e per le loro conclusioni.
Nel 2021 il gruppo di scienziati che consiglia il governo degli Stati Uniti ha affermato che nell’80-90 per cento dei casi di sindrome esaminati c’erano altre spiegazioni più probabili e che l’arma in questione, per quanto non teoricamente impossibile, sembra «molto difficilmente» la causa degli episodi.
Due degli studi più completi effettuati sulle persone che hanno denunciato di aver subito la sindrome, pubblicati sul JAMA lo scorso marzo, non sono riusciti a identificare alcuna differenza nelle risonanze al cervello e negli altri marcatori biologici tra le vittime e il gruppo di controllo.
Le istituzioni americane sono ancora più divise della comunità scientifica. Negli ultimi sette anni, almeno una dozzina di diverse commissioni di indagine sono state istituite per indagare sul fenomeno. Quasi ogni dipartimento e agenzia ha lanciato la sua commissione d’inchiesta, producendo moltissimi dossier e report in contraddizione gli uni con gli altri.
Ma la comunità dell’intelligence statunitense, nel suo complesso, sembra respingere la tesi dell’arma segreta. Nel 2022, la CIA scrisse che la sindrome non è il frutto di «una campagna globale organizzata da una potenza ostile». Nel marzo 2023, un altro rapporto, questa volta firmato dalle sette delle principali agenzie di intelligence americane, è arrivato alla conclusione che «non ci sono prove credibili che un avversario estero abbia un’arma o un insieme di dispositivi» in grado di causare la sindrome.