Il nuovo piano industriale dell’Enel non piace ai lavoratori

È stato annunciato a novembre dal nuovo amministratore delegato ed è stato contestato in diverse manifestazioni da lavoratori e sindacati

Una protesta dei lavoratori Enel in Piazza Plebiscito, Napoli, 8 Marzo (ANSA/CESARE ABBATE)
Una protesta dei lavoratori Enel in Piazza Plebiscito, Napoli, 8 Marzo (ANSA/CESARE ABBATE)
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L’8 marzo scorso i lavoratori dell’Enel, l’ex compagnia statale dell’elettricità ora partecipata dallo Stato al 23,6 per cento, hanno scioperato contro le dismissioni di alcune attività e l’assegnazione ad aziende esterne di lavori che prima erano svolti all’interno dell’azienda. Ci sono state manifestazioni in diverse città d’Italia, alle quali hanno partecipato centinaia di dipendenti preoccupati per il loro posto di lavoro. I lavoratori di Enel in Italia sono 31mila: negli ultimi tempi molti stanno contestando il nuovo piano industriale, che secondo i sindacati confederali Filctem Cgil, Flaei Cisl e Uiltec Uil faciliterà un rallentamento degli investimenti nelle energie rinnovabili nei prossimi tre anni e la vendita di alcune attività per garantire la «sostenibilità finanziaria» dell’azienda. In una nota comune, i sindacati hanno accusato l’Enel di «pensare solo alla finanza, dismettendo parti importanti delle proprie attività […] e peggiorando le condizioni di lavoro ad operai e impiegati».

Tra le misure criticate, l’impatto più evidente sui lavoratori è dato da quelle che cercano di ridurre i costi del personale, per esempio con l’introduzione di due turni di lavoro al posto del turno unico dalle 8 alle 16 e la riduzione da 13 a 9 giorni mensili di smart working, una misura in linea con quella di altre grandi aziende come ad esempio Poste Italiane. I sindacati indicano poi come problematica la dismissione di alcune attività che richiedono un’alta specializzazione, come le manovre in cabina secondaria, vale a dire gli impianti in cui l’energia elettrica viene trasformata da media a bassa tensione: i lavoratori specializzati di questi settori temono di essere licenziati.

Infine c’è «la politica del nuovo management che continua a esternalizzare gli interventi sulla rete», cioè ad affidarli ad aziende esterne, senza preoccuparsi del fatto che sia vecchia e che bisognerebbe investire in energia da fonti rinnovabili. I sindacati dicono che in generale gli investimenti nella cosiddetta transizione energetica, cioè quelli per passare dalle fonti fossili a quelle rinnovabili, sono stati quasi dimezzati rispetto agli anni scorsi e non saranno sufficienti ad aumentare del 55 per cento la produzione di energia da fonti rinnovabili, come prevede il Piano nazionale di resilienza e ripresa (PNRR), finanziato dall’Unione europea per sostenere l’economia dopo la pandemia di Covid. L’azienda però contesta la versione dei sindacati, sostenendo che la metà degli investimenti previsti dal piano, circa 17 miliardi di euro su 35,8, avverrà in Italia, e che il ricorso ad aziende esterne ci sarà solo per incrementi straordinari e temporanei dell’attività.

L’Enel in Italia controlla la produzione e la distribuzione dell’energia elettrica, mentre ha ceduto la sua partecipazione in Terna, la società che gestisce la rete di trasmissione in alta e altissima tensione. Ha centrali elettriche e distribuisce gas ed elettricità in trenta paesi africani, americani ed europei ed è la società più capitalizzata alla Borsa di Milano, con un valore di quasi 63 miliardi di euro. Il cambio di strategia è stato annunciato il 22 novembre del 2023 dal nuovo amministratore delegato Flavio Cattaneo, indicato ad aprile dal governo di Giorgia Meloni. Presentando agli azionisti il «piano strategico 2024-2026», ha spiegato che l’obiettivo è di «trasformare il gruppo in un’organizzazione più snella, flessibile e resiliente, ben posizionata per affrontare le sfide e cogliere le opportunità che possono presentarsi in futuro», aggiungendo che «nei prossimi tre anni adotteremo un approccio più selettivo negli investimenti, per massimizzare la redditività e minimizzare i rischi».

Il nuovo piano industriale prevede una «razionalizzazione dei costi» per compensare l’inflazione e «il maggior costo del capitale», affianca alla sostenibilità ambientale quella «finanziaria» e stabilisce «decisioni di investimento più selettive» nella cosiddetta transizione energetica. Vuol dire che si concentrerà in particolare sugli impianti eolici onshore, cioè costruiti su colline e montagne ventose, e su quelli fotovoltaici, vale a dire alimentati con l’energia solare. Alle fonti rinnovabili al momento sono stati destinati 12,1 miliardi di euro di investimenti, di cui 7,2 miliardi in Europa. Altri 12,2 miliardi saranno investiti in Italia sulle reti, «indispensabili per integrare le fonti rinnovabili e abilitare la transizione energetica». L’azienda ha invece confermato la chiusura, entro il 2027, delle centrali a carbone di Brindisi e Civitavecchia, che uno studio delle ong WWF, Climate Action Network, Health and Environment Alliance e Sandbag ha indicato tra le più inquinanti d’Europa.

Il piano è diventato subito operativo. Il giorno dopo lo sciopero, l’Enel ha annunciato la vendita di parte della rete elettrica della provincia milanese e della val Trompia, nel bresciano, alla A2A, una società energetica controllata dai comuni di Brescia e di Milano. Per gestire la rete lombarda è stata creata una nuova azienda, controllata al 90 per cento da A2A, e per il rimanente 10 per cento da E-Distribuzione, una società dell’Enel che si occupa della rete e appunto della distribuzione.

A2A ha pagato 1,2 miliardi di euro per acquistare 12mila chilometri di cavi elettrici tra media e bassa tensione, 800mila punti di fornitura, 9.500 cabine secondarie e 60 cabine primarie, cioè impianti elettrici che trasformano l’energia elettrica in ingresso ad alta tensione in media tensione. L’energia elettrica viene trasferita attraverso le linee ad alta tensione (tra i 30mila e 150mila V) per ridurre le perdite, ma poi viene utilizzata principalmente in bassa tensione (tipicamente 240 o 400 V), e per farlo sono in genere necessari due passaggi, da alta a media e poi da media a bassa. L’azienda lombarda ha scritto in una nota che l’accordo «consentirà al gruppo di accelerare gli investimenti necessari alla transizione energetica» e di passare da 1,3 a 2,1 milioni di utenti.

Enel ha precisato che la cessione riguarda una piccola porzione di rete relativa ad alcuni comuni della Lombardia, dove la maturità tecnologica raggiunta non rendeva conveniente fare ulteriori investimenti: questi saranno invece fatti al Sud, dove secondo l’azienda ci sarebbe necessità di migliorare l’infrastruttura.

Secondo i sindacati, la multinazionale italiana si starebbe preparando al rinnovo delle concessioni per la distribuzione dell’energia elettrica in Italia, previsto ormai tra pochi anni, rivedendo nel frattempo il proprio modello di business e l’organizzazione del lavoro. Il cosiddetto decreto Bersani del 1999, che ha recepito la direttiva europea sulla liberalizzazione del settore elettrico, stabilì la scadenza delle concessioni al 31 dicembre 2030 e che dopo dovessero essere riassegnate con una gara pubblica. Ora la società E-Distribuzione gestisce 1,15 milioni di chilometri di rete a media e bassa tensione e 32 milioni di contatori del consumo di elettricità. In un comunicato stampa, l’Enel ha spiegato che «le condizioni di mercato e il contesto economico sono significativamente cambiati rispetto al passato», e ha scritto che non ci saranno «riduzioni retributive o di personale, né ora, né in futuro». L’azienda ha comunicato che il piano industriale sarà al contrario accompagnato da un «importante programma di ingressi».

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Sulle contestazioni dei sindacati, Enel ha inviato questa replica: 
Enel sottolinea che sono state le OO.SS., con iniziativa unilaterale, ad abbandonare il tavolo negoziale mentre l’Azienda era, ed è sempre rimasta, aperta all’ascolto.
Il Piano strategico 2024-2026, oltre a prevedere un importante programma di immissioni, riporta l’Italia al centro della strategia di Gruppo, destinando al Paese 17 miliardi di investimenti, la metà di quanto stanziato a livello globale. Gli investimenti sulle reti in Italia, cruciali per la transizione energetica, superano i 12 miliardi, in crescita di quasi il 50% rispetto al triennio precedente.
Il Piano consente all’Azienda di tornare a crescere, pur in un contesto di mercato più difficile rispetto al passato, e di farlo senza riduzioni retributive o di personale: né adesso, né in futuro. Inoltre, queste misure non impattano sulla qualità della vita delle persone, come riscontrabile nell’accordo sullo smart working, che continua a prevedere condizioni tra le migliori nel panorama nazionale.
Per questo Enel è assolutamente fiduciosa che i lavoratori comprendano che le azioni intraprese sono nell’esclusivo interesse delle persone e del futuro del Gruppo.