Nessuno vuole incontrare Kim Jong Un, tranne il primo ministro giapponese
Il dittatore nordcoreano non incontra un leader occidentale da anni, ma il giapponese Fumio Kishida sta provando a organizzare un incontro, per ragioni di politica interna e per una vecchia storia di rapimenti
di Guido Alberto Casanova
Ormai da tempo il primo ministro giapponese Fumio Kishida sta cercando di organizzare un incontro con il dittatore nordcoreano Kim Jong Un. Questo è un fatto piuttosto peculiare, perché i rapporti tra i due paesi sono ostili, e per il fatto che il regime nordcoreano è uno dei più isolati del mondo: Kim Jong Un non incontra un leader occidentale dai tempi degli storici incontri con l’allora presidente americano Donald Trump, tra il 2018 e il 2019. Il primo ministro giapponese, tuttavia, ha alcune ragioni precise, legate ala politica interna e a una vecchia questione di rapimenti, per incontrare Kim Jong Un.
Kishida già un anno fa si era detto disposto a incontrare Kim Jong Un «senza alcuna condizione». Ma le comunicazioni recenti si sono fatte più intense, tanto che questa settimana Kim Yo Jong, la sorella di Kim e sua stretta alleata all’interno del regime, ha detto ai media di stato nordcoreani che tramite canali informali il governo giapponese avrebbe fatto sapere alla Corea del Nord di essere pronto a un incontro «il prima possibile».
Quella del governo giapponese sembra all’apparenza una richiesta strana: i due paesi hanno rapporti tendenzialmente ostili, e non hanno mai stabilito relazioni diplomatiche ufficiali tra loro. Ma il Giappone ha alcuni interessi legati alla Corea del Nord, a partire da una vecchia storia di decenni fa, legata al sequestro di alcuni cittadini giapponesi che furono portati in Corea del Nord: la maggior parte di loro non tornò, o tornò dopo molto tempo.
Tra le altre cose, si era parlato della possibilità di nuovi contatti martedì, giorno in cui era prevista una partita di calcio per le qualificazioni ai Mondiali tra le nazionali maschili dei due paesi. La partita si sarebbe dovuta tenere a Pyongyang ma il governo nordcoreano l’ha disdetta all’ultimo minuto, per ragioni ancora non chiare. La Corea del Nord ha perso a tavolino.
L’interesse giapponese a incontrare il leader nordcoreano può sembrare in contraddizione rispetto al clima di generale ostilità tra la Corea del Nord e i suoi vicini, compreso il Giappone. Il regime di Pyongyang negli ultimi due anni ha perseguito un rapido sviluppo delle proprie capacità spaziali e missilistiche che ha molto preoccupato i paesi vicini.
I due paesi oltretutto condividono una storia molto travagliata, che risale al periodo della dominazione coloniale giapponese sulla penisola coreana tra il 1910 e il 1945. L’ostilità di quel periodo proseguì durante la Guerra Fredda, quando i due paesi appartenevano agli opposti campi guidati rispettivamente da Stati Uniti e Unione Sovietica.
A rendere estremamente difficili i rapporti tra Giappone e Corea del Nord, oltre ai trascorsi storici, è la questione dei cittadini giapponesi sequestrati da agenti nordcoreani. Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80, secondo il governo giapponese 17 persone furono rapite e portate a Pyongyang per insegnare la lingua e la cultura giapponese agli agenti dello spionaggio nordcoreano. Lo stesso regime nordcoreano ha ammesso di aver condotto operazioni di questo genere ma sostiene che non ci siano ormai più ostaggi giapponesi sul suo territorio: cinque furono liberati nel 2002, otto sarebbero morti e quattro, secondo il regime, non sarebbero mai entrati nel paese.
Se la Corea del Nord ritiene che la questione dei giapponesi sequestrati sia ormai chiusa, il Giappone non ha mai accettato questa versione e continua a chiedere informazioni. La vicenda, benché poco conosciuta fuori dal Giappone, solleva invece un enorme interesse all’interno del paese e i sondaggi mostrano che c’è un’attenzione costante negli anni da parte dell’opinione pubblica. In quello più recente circa tre quarti degli intervistati hanno detto di ritenere importante la questione del ritorno dei cittadini sequestrati dalla Corea del Nord.
Anche per questo, negli ultimi mesi i contatti tra Giappone e Corea del Nord sono ripresi. L’occasione è stata il terremoto che ha colpito il Giappone il giorno di Capodanno, e in cui sono morte più di 60 persone. A seguito del terremoto, Kim Jong Un ha mandato al governo giapponese un messaggio di solidarietà. Non è una cosa usuale: per fare un paragone, il regime nordcoreano non aveva mandato messaggi al Giappone nemmeno dopo il catastrofico terremoto del 2011, quello che provocò il disastro nucleare di Fukushima, e in cui morirono quasi 20mila persone.
Per questo il messaggio mandato a gennaio è stato interpretato come un segnale della disponibilità nordcoreana ad aprire un dialogo.
Eppure i colloqui, che evidentemente stanno avvenendo tramite vie non ufficiali, non stanno andando del tutto lisci. Kim Yo Jong martedì ha detto che il Giappone deve impegnarsi concretamente per «un nuovo inizio» e non rimanere «ossessionato col passato» attaccandosi a «questioni che non possono essere risolte». Il riferimento è probabilmente alla questione dei rapimenti, con cui Kishida potrebbe cercare di ottenere qualche consenso presso l’opinione pubblica giapponese.
Questi contatti con la Corea del Nord stanno avvenendo in un contesto in cui la popolarità del primo ministro Kishida è ai minimi storici, vicina al 25 per cento. Dato l’enorme interesse dei giapponesi sulla questione dei rapimenti l’intenzione di Kishida potrebbe essere quella di riconquistare il sostegno popolare compiendo dei passi avanti proprio su questo tema. Per il governo però si tratta di una strategia rischiosa, poiché legarsi alle trattative con un regime imprevedibile come quello nordcoreano è un azzardo. Tanto più che gli spiragli intravisti negli ultimi mesi hanno riacceso le speranze dell’associazione dei parenti delle vittime di sequestro: se queste speranze dovessero essere disilluse pubblicamente, per il governo di Kishida sarebbe un fallimento.