Le violenze contro le minoranze e i migranti in Russia
Sono aumentate dopo l'attentato a Mosca di venerdì scorso compiuto da quattro cittadini del Tagikistan: a essere discriminate sono soprattutto le persone musulmane dell'Asia centrale
Dopo l’attacco terroristico di venerdì al Crocus City Hall di Mosca, in cui sono state uccise almeno 140 persone, in varie parti della Russia ci sono stati episodi di violenza contro migranti e persone straniere, in particolare provenienti dall’Asia centrale. I quattro uomini arrestati dalle autorità russe e ritenuti responsabili dell’attacco, infatti, sono tutti cittadini del Tagikistan, un’ex repubblica sovietica dell’Asia centrale a maggioranza musulmana.
Il regime russo sta compiendo arresti indiscriminati di tagiki e sui social network militanti e leader della destra russa hanno iniziato a chiedere regole più rigide sull’immigrazione proveniente dai paesi dell’Asia centrale. Dall’altra parte sembra che il presidente russo Vladimir Putin voglia cercare di limitare le campagne d’odio per evitare che le tensioni si trasformino in violenze su larga scala. Gli immigrati dall’Asia centrale sono infatti una parte importante dei soldati arruolati e mandati a combattere in Ucraina, e negli ultimi due anni per favorire il reclutamento le autorità avevano reso più semplice per tagiki, uzbeki e kirgizi entrare in Russia e restarci per lavorare. Non esistono dati ufficiali, ma il ricorso dell’esercito a migranti e minoranze etniche, attratte anche da paghe superiori alla media, è descritto come in crescita negli ultimi anni.
In Russia ci sono circa un milione di tagiki e circa 10 milioni di migranti provenienti dai paesi dell’Asia centrale, secondo le cifre del ministero dell’Interno russo. I numeri potrebbero essere anche superiori, considerando i migranti non registrati. Il Tagikistan è uno dei paesi più poveri dell’area, ha dieci milioni di abitanti e la metà del suo PIL (Prodotto interno lordo) viene dalle rimesse delle persone che lavorano all’estero. In Russia i tagiki lavorano principalmente come tassisti, camerieri, rider e operai edili. I tagiki sono di etnia iranica, parlano per lo più una lingua di ceppo persiano: all’interno della federazione russa è di etnia russa il 70 per cento della popolazione, ma ci sono quasi 200 etnie.
Dopo l’attacco di venerdì, rivendicato dall’ISIS tramite la sua agenzia di stampa centrale al Amaq, e l’arresto di una decina di persone per lo più tagike, la reazione della polizia si è concentrata sulla comunità tagika in Russia. Il giornale russo indipendente Mediazona ha scritto che ci sono stati arresti apparentemente immotivati e in alcuni casi i fermati sarebbero stati torturati. A Blagoveshchensk, nell’est della Russia, un bar gestito da persone tagike è stato incendiato, mentre a Kaluga, a 200 chilometri da Mosca, alcune persone tagike sono state aggredite e picchiate da sconosciuti. Gli episodi di violenza, verbale o fisica, avrebbero come frequenti protagonisti autoproclamanti gruppi di vigilantes nazionalisti e di destra.
A questi episodi di violenza si sono aggiunti più numerosi e frequenti episodi di discriminazione e campagne d’odio online. I controlli su persone di religione musulmana provenienti delle repubbliche dell’Asia Centrale si sono intensificati agli aeroporti, con detenzioni preventive in alcuni casi anche molto lunghe.
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Su molti dei popolari canali Telegram che si occupano di guerra in Ucraina e che sostengono le politiche del regime di Putin sono diventate ricorrenti le richieste di politiche più restrittive nei confronti dei migranti, soprattutto quelli provenienti da paesi islamici. Nei giorni seguenti all’attentato il procuratore generale russo Igor Krasnov ha citato l’incremento del 75 per cento dei crimini commessi da migranti nel 2023 e ha detto che è necessario trovare un equilibrio «fra la sicurezza dei cittadini e la necessità economica di ricorrere al lavoro degli stranieri».
In passato, dopo le guerre in Cecenia dei primi anni 2000, la Russia aveva attuato politiche più repressive nei confronti delle minoranze etniche e religiose, aumentando al contempo il controllo centrale sulle altre repubbliche della federazione.
In questi giorni la retorica di Putin ha sottolineato spesso la multietnicità della Federazione Russa, richiamando quella dell’impero russo e poi sovietico. Le esigenze di manodopera e di reclutamento militare spingono il regime a limitare le tensioni etniche, nonostante le pressioni della base dei suoi sostenitori. Il regime russo sta inoltre tentando di spostare le responsabilità dell’attacco verso l’Ucraina e l’Occidente.
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