La Corte Suprema degli Stati Uniti e l’aborto, di nuovo
Il più importante tribunale statunitense ha iniziato a esaminare un caso relativo alle modalità di accesso all'aborto farmacologico: la decisione verrà presa a giugno e potrebbe avere conseguenze anche sulle prossime elezioni presidenziali
Martedì 26 marzo, a quasi due anni dalla decisione di ribaltare la storica sentenza Roe v. Wade che dal 1973 garantiva l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza negli Stati Uniti, la Corte Suprema del paese è tornata a occuparsi di aborto. I giudici si pronunceranno entro il prossimo giugno sulle modalità di accesso al mifepristone, uno dei due farmaci utilizzati per l’aborto farmacologico, e in particolare sulla possibilità di continuare a consentirne la commercializzazione per posta dopo un consulto in telemedicina.
La Corte Suprema potrebbe limitare la possibilità di spedire il mifepristone direttamente alle pazienti e ripristinare l’obbligo di consegna del farmaco di persona. Se venissero imposte queste nuove restrizioni l’accesso all’aborto in tutti gli Stati Uniti ne risentirebbe, anche in quegli stati in cui il diritto è ancora protetto.
I media statunitensi riferiscono che dopo le audizioni di martedì, in cui i giudici hanno ascoltato gli argomenti dei legali che hanno sottoposto il caso, la maggioranza della Corte si sarebbe mostrata «decisamente scettica» su una limitazione all’uso del farmaco, ritenendo che il gruppo di dottori e organizzazioni antiabortiste non avesse mostrato ragioni sufficienti per mettere in dubbio l’approvazione della commercializzazione del medicinale da parte della Food and Drug Administration, l’ente che negli Stati Uniti si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici.
L’aborto può essere praticato per via chirurgica (di solito per aspirazione) o per via farmacologica attraverso l’assunzione di due farmaci: il mifepristone in combinazione con il misoprostolo. I vantaggi della seconda opzione sono diversi: evita l’intervento chirurgico, l’anestesia e l’ospedalizzazione, ma soprattutto è una pratica sicura, come dimostra la più autorevole letteratura scientifica internazionale e come ha affermato l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha inserito mifepristone e misoprostolo nell’elenco dei medicinali essenziali. Nelle linee guida in materia di interruzione volontaria di gravidanza pubblicate nel 2022, l’OMS ha parlato dell’aborto farmacologico definendolo un metodo «sicuro ed efficace» entro le prime 12 settimane, aggiungendo anche che l’aborto farmacologico può essere tranquillamente autogestito dalla gestante al di fuori di una struttura sanitaria.
La Food and Drug Administration aveva approvato l’uso del mifepristone nel 2000 giudicandolo a sua volta «sicuro ed efficace» per interrompere una gravidanza, ma solo fino alla settima settimana. Nel 2016 aveva esteso l’autorizzazione a dieci settimane, a un limite comunque inferiore a quello stabilito dall’OMS. Cinque anni dopo, durante la pandemia, aveva revocato una restrizione che imponeva di ottenere questi farmaci di persona e da operatori sanitari certificati, non ritenendolo necessario dal punto di vista medico e rendendo dunque possibile ricevere la pillola abortiva per posta e tramite telemedicina.
Questa decisione aveva ampliato l’accesso all’aborto farmacologico facendolo diventare la procedura più comune negli Stati Uniti per interrompere una gravidanza, soprattutto a partire dal 2022.
Dopo il ribaltamento della Roe v. Wade, il diritto di aborto negli Stati Uniti ha continuato a cambiare e decine di stati governati dai Repubblicani hanno vietato la pratica o introdotto limitazioni molto rilevanti con conseguenze dirette sull’accesso alle cure per circa 25 milioni di donne. In questo contesto, le conseguenze principali sono state un aumento notevole delle migrazioni per aborto, ossia degli spostamenti che le donne che vivono in stati in cui l’aborto è vietato devono fare per potere accedere alla procedura, e un aumento dell’uso della pillola abortiva, che è diventata il principale metodo con cui le donne riescono a interrompere una gravidanza aggirando le restrizioni nel frattempo imposte.
Nel 2023, secondo quanto comunicato dal Guttmacher Institute, un’organizzazione che si occupa di politiche su aborto e salute riproduttiva negli Stati Uniti, l’aborto farmacologico ha rappresentato il 63 per cento del totale delle interruzioni di gravidanza del paese, il 53 per cento nel 2020. E se nel 2020 i fornitori di procedure abortive a distanza erano solo il 7 per cento del totale, nel 2022 sono saliti al 31 per cento.
Diversi studi condotti negli Stati Uniti dimostrano che le ragioni più comuni per richiedere un aborto farmacologico in telemedicina sono l’impossibilità di permettersi cure in una clinica (73,5 per cento), la volontà di privacy (49,3 per cento) e l’eccessiva distanza da una clinica (40,4 per cento). Un ampio gruppo di coloro che hanno avuto accesso negli ultimi mesi a un aborto con queste modalità vive al di sotto del livello di povertà e in un ambiente socialmente vulnerabile. Il costo di una consulenza e per la spedizione dei farmaci è infatti molto più basso rispetto a quello di un viaggio in uno stato che consente ancora l’aborto.
A causa di questa nuova relativa accessibilità all’aborto farmacologico, i gruppi antiscelta (cioè gli antiabortisti, contro il diritto di scelta delle donne di abortire) hanno aumentato le pressioni per chiedere che fosse limitato ulteriormente il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza.
Il caso in esame da oggi alla Corte Suprema è iniziato dopo che l’Alliance for Hippocratic Medicine si era rivolta a un tribunale del Texas sostenendo che la FDA non avesse l’autorità necessaria ad approvare il mifepristone quando l’aveva fatto, nel 2000, né per estenderne successivamente l’utilizzo. L’Alliance for Hippocratic Medicine fa parte di una influente coalizione della destra cristiana, l’Alliance Defending Freedom (ADF), che fin dalla sua fondazione all’inizio degli anni Novanta ha portato avanti numerose cause contro l’aborto (compresa la Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization che ha poi ribaltato la Roe v. Wade), contro i diritti LGBTQ+, l’eutanasia e la libertà religiosa. Nel 2016 l’associazione per i diritti civili Southern Poverty Law Center aveva classificato l’ADF come un “gruppo d’odio”.
Nell’aprile del 2023 il giudice federale Matthew Kacsmaryk, scelto da Donald Trump quando era presidente, aveva dato ragione all’Alliance for Hippocratic Medicine chiedendo alla FDA di sospendere la distribuzione del mifepristone in tutti gli Stati Uniti. La sentenza di Kacsmaryk era stata immediatamente criticata perché il giudice, che già in passato era stato molto attivo nel criticare il diritto all’aborto, aveva tra l’altro utilizzato un linguaggio molto simile a quello dei gruppi antiabortisti, dicendo che il mifepristone faceva «morire di fame un essere umano non ancora nato».
In seguito alla sentenza, il dipartimento di Giustizia aveva presentato ricorso a una Corte d’Appello, che nella sentenza del 12 aprile aveva bloccato, ma solo in parte, la sentenza del giudice del Texas. Aveva stabilito che il farmaco avrebbe potuto continuare a essere venduto, ma aveva approvato alcune delle richieste di Kacsmaryk invalidando di fatto le modifiche apportate dalla FDA nel 2016 e nel 2021: l’estensione del farmaco fino alla decima settimana, la prescrizione a distanza e la spedizione del farmaco per posta.
A quel punto il dipartimento di Giustizia aveva annunciato che avrebbe fatto appello alla Corte Suprema, il più alto organo giudiziario del paese, per richiedere di annullare tutte le limitazioni richieste dalla sentenza del Texas e poi confermate dalla Corte di Appello portando a una loro provvisoria sospensione in attesa di un riesame da parte della Corte Suprema stessa. Lo scorso 13 dicembre la Corte Suprema aveva annunciato che avrebbe ridiscusso il caso e il riesame è cominciato oggi.
Nel frattempo a favore degli antiabortisti si è pronunciata anche la Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti, che ha accusato la FDA di «consentire l’emergere di un’industria nazionale dell’aborto per corrispondenza». Il Guttmacher Institute ha invece sostenuto che «il ripristino di restrizioni obsolete e non necessarie dal punto di vista medico sulla fornitura di mifepristone avrebbe un impatto negativo sulla vita delle persone e ridurrebbe l’accesso all’aborto in tutto il paese».
La decisione della Corte Suprema è considerata la più importante sull’aborto dopo quella sul ribaltamento della Roe v. Wade: non solo perché potrebbe limitare ancora di più l’accesso alla pratica oggi più comune per riuscire ad abortire, ma anche perché se questo accadesse verrebbero messe in discussione l’autorità dell’FDA e la sua terzietà, proprio per via delle ripercussioni che avrebbe sulla credibilità dell’agenzia.
La decisione della Corte potrebbe infine essere presa pochi mesi prima delle elezioni presidenziali del prossimo novembre e potrebbe avere conseguenze dirette sul voto. Vari sondaggi fatti dal 2022 in poi mostrano come il sostegno dell’opinione pubblica al diritto all’aborto sia cresciuto nel tempo e che più di due terzi degli statunitensi siano contrari alla cancellazione della sentenza Roe v. Wade. I sondaggi dicono anche che la tutela dell’accesso all’aborto sarà una questione importante per orientare la scelta del prossimo presidente.