Il country non ce l’ha mai fatta a uscire dagli Stati Uniti
È il genere musicale più americano che esista, attorno al quale si è creato un mercato gigantesco e vario che all'estero però è minuscolo
Nel 1944 la rivista musicale statunitense Billboard iniziò a pubblicare settimanalmente la classifica delle canzoni più ascoltate di un genere che si era diffuso a partire da una ventina d’anni prima in stati americani come Virginia, Kentucky e Tennessee. Si trattava in tutti i casi di canzoni caratterizzate da un predominio di strumenti a corda (soprattutto chitarre, banjo e mandolini) e che raccontavano storie d’amore ambientate in contesti poveri e rurali.
Erano (e per molti versi sono ancora, dato che una grossa parte della produzione è rimasta sostanzialmente invariata) le canzoni tipiche del country, un genere attorno al quale nel tempo si è creato un mercato gigantesco e vario, eppure relativo soltanto a un’area piuttosto circoscritta. Il country è uno dei generi musicali più ascoltati negli Stati Uniti, e da un certo punto di vista è quello più americano di tutti, nel senso che, pur rappresentando una porzione importantissima dell’industria musicale locale, è pressoché irrilevante nel resto del mondo.
Per esempio, lo scorso anno il disco più venduto negli Stati Uniti è stato One Thing at a Time, il terzo disco del cantante country Morgan Wallen, che ha venduto più di 5 milioni di copie negli Stati Uniti. Wallen è famosissimo in patria ed è stato ascoltato anche in altri paesi di lingua inglese, come l’Australia e il Regno Unito, ma a livello globale la sua fama non è neppure lontanamente paragonabile a quella di una popstar con vendite simili.
Nel tempo sono state date molte spiegazioni della scarsa fama che il country ha ottenuto all’estero, che perlopiù insistono sul carattere profondamente “nazionale” del genere, uno di quei fenomeni così legati alla dimensione domestica da risultare poco comprensibile e apprezzabile fuori dai confini, a differenza di altri generi altrettanto americani ma decisamente più trasversali, dal jazz all’hip hop.
Se si vuole trovare un luogo dove nacque la musica country si potrebbe scegliere un magazzino della Taylor-Christian Hat and Glove Company, una azienda di cappelli e guanti di Bristol, città sul confine tra Virginia e Tennessee. Lì, nel 1927, il produttore musicale newyorkese Ralph Peer mise in piedi uno studio di registrazione provvisorio con dell’attrezzatura che si era portato per registrare appositamente quello che definiva “hillbilly sound”, cioè il suono delle zone rurali e povere degli Appalachi e dell’altopiano d’Ozark, le zone montuose degli Stati Uniti centrali tra Missouri, Arkansas, Oklahoma, Kansas, Virginia, Carolina del Nord e del Sud. Peer mise qualche annuncio sui giornali locali, e 19 musicisti sconosciuti arrivarono dai dintorni per registrare altrettante canzoni.
Le registrazioni di Bristol sono state considerate a lungo il momento fondativo della musica country, anche se in realtà oggi si ritiene che incisioni country avvennero già negli anni precedenti. Prima però i musicisti degli Stati Uniti centrali e meridionali si erano dovuti spostare a New York per registrare, e in questo senso la soluzione di Peer di andare direttamente nei posti della nascente musica country fu una piccola rivoluzione.
Tra quelle registrazioni due furono più importanti delle altre: quelle della famiglia Carter della Virginia e quelle di Jimmie Rodgers del Mississippi. A essere radicalmente nuove, in entrambi i casi, erano le tecniche usate per suonare la chitarra, allora ancora rigorosamente acustica.
Maybelle Carter, che insieme alla sorella Sara Dougherty e al cognato Alvin Pleasant formava il trio originale della famiglia Carter, introdusse una tecnica che consisteva nel suonare contemporaneamente l’accompagnamento e la melodia, che nei decenni successivi ebbe una grandissima fortuna e prese il nome di “fingerstyle” o “fingerpicking”. Col pollice della mano destra Carter suonava la linea del basso, e con le altre dita alternava arpeggi, linee melodiche e accordi: questo stile prese il nome di “Carter scratch”. Nel tempo venne ripreso, perfezionato e portato all’estremo – è per esempio alla base dell’originale tecnica di Mark Knopfler dei Dire Straits.
Jimmie Rodgers è addirittura considerato il padre della musica country: di fatto creò le basi del genere, distinguendosi per tratti come gli “yodel” (i vocalizzi tipici della musica germanofona) e la chitarra hawaiana (che si suona con un cilindro di metallo passato sui tasti, producendo un effetto caratteristico), ma la sua influenza andò molto oltre. Rodgers, che morì a 35 anni per le complicazioni di una tubercolosi, definì i temi tipici dei testi della musica country e le caratteristiche armoniche e ritmiche che avrebbero caratterizzato il genere nei decenni successivi. La musica di Rodgers influenzò profondamente anche il blues degli anni Trenta e Quaranta, e la sua carriera svoltò proprio grazie alle registrazioni con Peer a Bristol, nelle quasi incise “T for Texas”, che avrebbe venduto mezzo milione di copie.
Oltre a Bristol, due città importanti per lo sviluppo iniziale del genere furono Johnson City e Knoxville, in Tennessee, dove peraltro si concentrarono i musicisti afroamericani che contribuirono alla fase embrionale del genere, oggi considerato spesso erroneamente esclusivamente bianco. Il più conosciuto è Lead Belly, nato in Louisiana e cresciuto in Texas, che rese famosa la canzone “In The Pines”, rifatta dai Nirvana nella loro famosa “Where Did You Sleep Last Night”.
Nonostante il contributo dato da diversi musicisti afroamericani, e nonostante il fatto che il country derivi dal blues (un genere nato all’interno della comunità afroamericana), nel corso degli anni questa musica ha finito per essere considerata una musica per persone bianche, ed è generalmente associata a una visione del mondo conservatrice.
C’entra anche il particolare momento politico che gli Stati Uniti stavano vivendo nei decenni in cui il country iniziò a consacrarsi, in cui temi come la segregazione razziale e la divisione erano ancora centrali nella vita pubblica. Nel 1876 le leggi “Jim Crow”, che dopo l’abolizione della schiavitù permisero la segregazione razziale negli stati del Sud, istituirono per gli afroamericani lo status di separati ma uguali, e di fatto sancirono nei posti pubblici una rigida separazione tra bianchi e neri, che avevano accesso limitato a ristoranti, alberghi e ospedali.
Il rispetto di questa separazione fu incorporata anche nella logica della case discografiche, che iniziarono a dividere i generi musicali anche sulla base di caratteristiche etniche. In questo contesto il country diventò la musica dei bianchi, mentre altri generi nati nella comunità afroamericana, come per esempio il jazz, furono etichettati come musica per neri.
Il country comunque continua a essere un genere prevalentemente conservatore e bianco anche oggi. Diversi musicisti country famosi, come per esempio Kid Rock, hanno fatto parlare di sé per le loro opinioni reazionarie e per avere appoggiato pubblicamente la candidatura alla presidenza di Donald Trump. Accade anche che musicisti country sconosciuti al grande pubblico facciano successo in modo molto rapido grazie agli apprezzamenti di politici e sostenitori repubblicani.
Per esempio la scorsa estate Oliver Anthony, un cantautore di scarso seguito, aveva ottenuto milioni di ascolti grazie alla pubblicazione di “Rich Men North of Richmond”, una canzone che faceva riferimento a temi molto cari all’estrema destra statunitense: dall’inflazione alle tasse troppo alte, dai presunti abusi del sistema di welfare da parte delle persone obese alla convinzione complottista che il traffico di minori sia particolarmente diffuso tra le élite statunitensi. «Anthony è una voce inviata dal cielo per esprimere la rabbia della classe operaia bianca, oppure è una canzone la cui viralità è stata attentamente pompata dalla destra», aveva scritto sul New Yorker il giornalista Jay Caspian Kang. Lo stesso Anthony si era poi lamentato di come la sua canzone fosse stata strumentalizzata dai Repubblicani.
Da una decina d’anni, però, hanno iniziato ad approcciarsi a questo genere anche musicisti afroamericani e apertamente progressisti, che hanno provato a riproporlo in modi più moderni o contaminandolo con altri generi. Per esempio, il cantante afroamericano Lil Nas X è generalmente riconosciuto come il fondatore della cosiddetta “country trap”. Iniziò nel 2019, pubblicando “Old Town Road”, una canzone che aveva perlopiù degli intenti parodistici e satirici e che in parte ironizzava proprio sulla concezione bianca e conservatrice del country.
Fu un punto di svolta significativo per l’apertura del genere, anche perché Lil Nas X è un musicista afroamericano e un simbolo della comunità LGBTQ+ statunitense: un profilo ben lontano dagli uomini bianchi, barbuti e vestiti da cowboy che animano il genere da quasi un secolo. Dopo Lil Nas X un numero significativo di musicisti neri ha iniziato a dedicarsi al country, riuscendo anche a entrare nelle più importanti classifiche del genere.
“Country trap” di per sé un’espressione singolare, che unisce uno dei generi musicali più vecchi e tradizionali degli Stati Uniti a un altro popolare da pochissimi anni, eppure ubiquo nella musica pop e hip hop contemporanea. A suo modo, è una dimostrazione della potenza della musica country, di quanto sia radicata nella cultura popolare americana, di quanto quelle improvvisate registrazioni in un magazzino del Tennessee fossero destinate a rappresentare un pezzo fondamentale della musica americana ancora quasi un secolo dopo.
Anche altri musicisti e gruppi hanno sperimentato una serie di ibridazioni che hanno aperto nuovi spazi di mercato all’interno del vasto macrogenere della musica country. Alle classiche ballate “guitar lead”, cioè in cui la chitarra è protagonista, hanno iniziato ad affiancarsi proposte musicali molto più insolite. Un esempio tra i tantissimi è quello del gruppo Waxahatchee, tra i più rappresentativi del cosiddetto “alternative-country”, caratterizzato da una proposta musicale più sofisticata.
Anche se il country è ancora un fenomeno quasi interamente statunitense, recentemente ha iniziato a essere un po’ più apprezzato fuori dagli Stati Uniti anche per via del successo ottenuto da Taylor Swift, probabilmente la cantante più famosa al mondo. Anche se nel corso della sua carriera ha evoluto il suo stile fino a diventare a tutti gli effetti pop, Swift ha iniziato a farsi conoscere nel 2007 con un disco di country classico, e ha mantenuto questa influenza in tutta la sua produzione musicale successiva.
– Leggi anche: Come è arrivata Taylor Swift ad avere tutto questo successo
Secondo un recente rapporto della società Luminate, che fornisce i dati sulle vendite della musica a case discografiche, rivenditori e vari addetti ai lavori, nel 2023 gli ascoltatori di country negli Stati Uniti sono aumentati di più del 20%: hanno iniziato ad ascoltare country anche persone che fanno parte di generazioni che qualche anno fa sembravano meno interessate, come per esempio la Gen Z (termine che indica le persone nate tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Dieci del Duemila). C’entra probabilmente il nuovo corso aperto da musicisti come Lil Nas X, e anche il fatto che negli ultimi anni diverse popstar statunitensi di larghissimo seguito hanno deciso di darsi al country, come per esempio Beyoncé.