Chi è responsabile dell’attacco terroristico al teatro di Mosca, in Russia?
Secondo l’intelligence statunitense l’avrebbe organizzato l’ISIS-K, la divisione afghana dell’ISIS, che però non l’ha rivendicato direttamente
Venerdì diversi uomini armati hanno fatto irruzione nella Crocus City Hall, un grande teatro a Mosca, in Russia, e hanno iniziato a sparare, uccidendo oltre 130 persone. Poche ore dopo l’attacco è stato rivendicato dall’ISIS. Non ha precisato quale gruppo nello specifico abbia organizzato ed eseguito l’attacco, ma secondo alcuni funzionari statunitensi informati dall’intelligence sarebbe stato l’ISIS-K, un gruppo terroristico affiliato all’ISIS e attivo principalmente in Afghanistan. Negli ultimi anni l’ISIS-K (o ISKP, o Provincia del Khorasan dello Stato Islamico) si è reso responsabile di diversi attentati, fra cui quello del 2021 all’aeroporto di Kabul, in Afghanistan, dove uccise 170 civili e 13 militari statunitensi, e quello di gennaio del 2024 vicino alla tomba del generale Qassem Suleimani a Kerman, in Iran, dove furono uccise 84 persone.
Negli ultimi due anni l’ISIS-K si è concentrato però anche sulla Russia: l’analista Colin P. Clarke del Soufan Center, una società di consulenza sulla sicurezza statunitense, ha detto al New York Times che per l’ISIS-K il governo di Vladimir Putin ha «le mani sporche di sangue musulmano» in riferimento agli interventi militari russi in Afghanistan, Cecenia e Siria. Se venisse confermato quanto dice l’intelligence statunitense, l’attentato di venerdì non sarebbe il primo dell’ISIS-K contro un obiettivo russo: a settembre del 2022 aveva rivendicato un attentato suicida all’ingresso dell’ambasciata russa a Kabul, dove furono uccise 3 persone e ne furono ferite dieci.
All’inizio di marzo 2024 l’ambasciata statunitense a Mosca aveva raccomandato ai suoi cittadini di evitare i luoghi affollati per i successivi due giorni. Poche ore prima l’intelligence interna russa (FSB) aveva detto di aver «neutralizzato» una cellula dell’ISIS-K che avrebbe pianificato un attacco contro una sinagoga a Mosca.
La Russia sostiene militarmente il regime del presidente Bashar al Assad in Siria dal 2015, quando intervenne in suo favore proprio per combattere lo Stato Islamico. Fra il 1994 e il 2009 in Cecenia, una regione del sud della Russia, vennero combattute due sanguinose guerre fra l’esercito russo e i separatisti ceceni, in maggioranza musulmani che volevano l’indipendenza della regione dalla Russia. Nel 2018 l’ISIS rivendicò una serie di attentati contro le forze di sicurezza in Cecenia, che dalla fine della guerra è governata da una leadership filorussa. In Afghanistan, oltre alla lunga ed estenuante invasione sovietica che si concluse nel 1989, negli ultimi anni la Russia ha rafforzato i suoi legami con il governo dei talebani, che dal 2021 detengono il potere nel paese. I talebani e l’ISIS sono da tempo rivali, e negli ultimi tre anni l’ISIS-K ha avuto un ruolo centrale in questo scontro con violenti attentati: il più eclatante fu all’aeroporto di Kabul, ma ce ne sono stati diversi.
Sul Guardian il giornalista Jason Burke ha scritto che ci possono essere molte ragioni per cui un gruppo terroristico decide di cambiare metodi e concentrarsi sugli attacchi in paesi stranieri, per esempio l’arrivo di un nuovo leader oppure la volontà di distinguersi da altri gruppi rivali. Burke scrive anche che è possibile che l’ISIS-K abbia agito per conto dell’ISIS, come una sorta di “braccio armato”: infatti, sebbene lo Stato Islamico in Siria e Iraq sia di fatto collassato, si sa che l’ISIS-K ha mantenuto un legame economico con l’ISIS, che quindi potrebbe influenzare le azioni del suo affiliato afghano.
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L’ISIS-K è stato fondato nel 2014 da alcune centinaia di talebani pakistani che trovarono rifugio poco al di là del confine, in Afghanistan, dopo essere fuggiti da alcune offensive militari compiute dalle forze di sicurezza pakistane. Il ruolo di leader fu assunto dal pakistano Hafiz Saeed Khan, che era un membro di Tehrik-i-Taliban Pakistan (TTP), cioè i talebani pakistani, e che poi divenne il primo “emiro” dell’ISIS-K.
Nell’ottobre di quell’anno Khan, insieme ad altri importanti membri del suo gruppo, decise di prestare giuramento di fedeltà a Abu Bakr al Baghdadi, allora leader dell’ISIS, in un momento in cui l’ISIS stava emergendo come forza dominante all’interno del mondo jihadista globale. Nel 2015 l’ISIS accettò di riconoscere ufficialmente l’“affiliazione” del gruppo di Khan, che divenne così l’ISIS-K, dove “K” sta per Khorasan, cioè il nome della regione storica che include parti dell’attuale Pakistan, Iran, Afghanistan e Turkmenistan. L’obiettivo dell’ISIS-K era infatti quello di fondare un califfato nell’Asia meridionale e centrale, su cui imporre un’interpretazione estremamente rigida della sharia, la “legge islamica”, così come aveva fatto il gruppo principale in Siria e in Iraq.
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L’iniziale crescita del gruppo fu facilitata dai legami e dalle reti di amicizie che Khan e gli altri membri dell’ISIS-K avevano messo in piedi nel corso degli anni. Diversi importanti esponenti dello Stato Islamico iniziarono inoltre a rifugiarsi in Afghanistan quando, a partire dal 2015, l’ISIS cominciò a perdere terreno sia in Siria che in Iraq. In quel periodo l’organizzazione trasferì diverse centinaia di migliaia di dollari per migliorare la sua rete in Asia Centrale.
Nonostante il reclutamento di nuovi membri, e l’arrivo dei finanziamenti, l’ISIS-K rimase per anni un gruppo di limitato rilievo in Afghanistan, anche a causa degli arresti dei suoi membri e degli attacchi aerei mirati contro la sua leadership compiuti dalla coalizione militare guidata dagli Stati Uniti. Nel giro di pochi anni, i bombardamenti occidentali uccisero cinque capi consecutivi del gruppo, i cosiddetti “emiri”, tra cui Hafiz Saeed Khan. C’era poi un altro fattore che aveva limitato il successo dell’ISIS-K finora: secondo il Center for Strategic and International Studies, think tank di Washington, l’ISIS-K incontrò molta ostilità soprattutto nelle zone in cui i talebani afghani erano più forti, dove i due gruppi si scontrarono apertamente in diverse occasioni.
I motivi della rivalità erano tra le altre cose legati alle differenze ideologiche. Mentre i talebani puntavano alla creazione di un loro emirato all’interno dei confini afghani, l’ISIS-K aveva l’obiettivo di fondare un califfato esteso all’Asia centrale e meridionale; inoltre, per i membri dell’ISIS-K l’interpretazione della sharia da parte dei talebani non era sufficientemente rigida: i primi chiamavano i secondi “apostati” e “cattivi musulmani”, sostenendo che volessero tradire il jihad, la guerra santa.
Dopo essersi molto indebolito – fu cacciato dalle province afghane di Nangarhar e Kunar e costretto a operare per lo più in piccole cellule distribuite sul territorio – l’ISIS-K riuscì a riorganizzarsi. Questa “rinascita” fu aiutata dall’arrivo di un nuovo leader forte e ambizioso, Shahab al Muhajir, e ancora una volta dal flusso di miliziani dall’estero, in particolare da Pakistan, Tagikistan e Uzbekistan, attirati dalla promessa di una nuova campagna terroristica contro i talebani, il governo afghano e gli americani, e dalle defezioni della cosiddetta “Rete Haqqani”, che negli anni precedenti aveva sviluppato molta esperienza nella guerriglia urbana e aveva compiuto diversi attentati assai sofisticati a Kabul.
L’arrivo di nuovi membri fu favorito anche dall’avvio dei negoziati di pace che i talebani avviarono con gli Stati Uniti di Donald Trump, che culminarono con l’accordo firmato nel 2020 che sanciva il ritiro completo delle truppe americane dall’Afghanistan. Nonostante poi non sia andata così, al tempo molti talebani non erano contenti dei negoziati, perché pensavano che i colloqui di pace avrebbero costretto il loro gruppo a fare concessioni all’Occidente in un momento in cui si sentivano forti militarmente. Per questo molti si unirono all’ISIS-K; in realtà il governo dei talebani ha potuto agire in modo abbastanza indisturbato in Afghanistan, dopo la ritirata americana.