Cose che succedono nelle librerie russe di questi tempi
Raccontate da Paolo Nori nel libro "Una notte al Museo Russo", sul suo breve viaggio a San Pietroburgo nell'estate del 2023
La scorsa estate lo scrittore Paolo Nori, grande conoscitore e divulgatore della cultura e della letteratura russa, ha fatto un viaggio a San Pietroburgo per scrivere un libro sul Museo Russo di San Pietroburgo commissionatogli dalla casa editrice Laterza. Il libro è uscito qualche settimana fa, s’intitola Una notte al Museo Russo e oltre che del museo parla delle varie peripezie vissute da Nori per arrivare in Russia e visitarlo e di com’è la vita quotidiana in Russia oggi (tra le altre cose: le sanzioni non hanno avuto grandi conseguenze). Racconta anche le cose che Nori si sente dire quando parla di letteratura e cultura russa da quando è iniziata l’invasione dell’Ucraina, e delle conseguenze della cancellazione di un ciclo di lezioni che avrebbe dovuto tenere sulla vita del romanziere Fëdor Dostoevskij all’Università Bicocca di Milano nel marzo del 2022.
Pubblichiamo un estratto del libro in cui Nori parla della visita in una libreria.
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Come i giornali porno
Ci sono due cose che mi vengono sempre in mente, quando penso al rapporto tra potere politico e scrittori in Russia.
La prima è quello che ha scritto Viktor Šklovskij negli anni venti del Novecento, che i colori della bandiera dell’arte non possono mai riflettere i colori della bandiera che sventola sulla cittadella del potere.
La seconda è una cosa che mi ha detto un mio amico una volta che camminavamo sul Litejnyi prospekt, e che siamo passati davanti alla sede dei servizi, quelli che oggi si chiamano Fsb e che per anni sono stati il Kgb.
Mi ha detto, il mio amico, che c’era stato un ex funzionario, del Kgb, che aveva proposto di fare diventare quel grande edificio un monumento letterario.
Quando gli hanno chiesto come mai lui ha risposto «Come, come mai? Sono passati tutti di qui».
E aveva ragione, i più grandi scrittori di Leningrado nel Novecento, sono passati tutti di lì, e qualcuno da lì non è uscito.
Gli scrittori sono stati, per un paio di secoli, Otto e Novecento, i principali nemici del potere sovietico, temuti, sorvegliati, puniti, arrestati, perseguitati, torturati, uccisi e vietati.
Non si potevano leggere; non si dovevano, leggere.
E i russi, di conseguenza, li leggevano: la seconda volta che sono andato in Russia la mia insegnante di russo mi ha chiesto se avevo letto un romanzo di Trifonov, La casa sul lungofiume (andavo ad abitare nella casa che dà il titolo al romanzo, dietro al Cremlino, dove ha abitato anche la figlia di Stalin), e quando io le ho risposto di no e le ho chiesto se lei l’aveva letto, lei mi ha risposto «Per forza, l’ho letto, era proibito».
I libri proibiti erano i libri da leggere e i russi avevano inventato una pratica, si chiama samizdat: battevano a macchina i libri proibiti, con la carta carbone, e leggevano quelli, quelli erano i libri da leggere, e la censura sovietica non aveva, sulla letteratura, nessun potere, anzi, la censura poteva, in un certo senso, decretare un successo letterario, anche se sottobanco.
La cosa strana che succede adesso, in Russia, è che i libri degli scrittori che sono dichiaratamente contro il potere russo si trovano in tutte le librerie.
I libri di Vladimir Sorokin, Boris Akunin, Dmitrij Bukov l’anno scorso si trovavano senza problemi, nelle librerie russe (anche i classici ucraini, si trovavano).
Quest’anno invece avevo sentito dire che i libri si trovavano, ma che per gli “inoagenty”, definizione poco chiara che è una abbreviazione di inostrannye agenty, cioè agenti stranieri, che dovrebbero essere quei russi che ricevono finanziamenti da entità straniere, e che quindi sono sospetti, avevo sentito che era uscita una legge che i librai russi, se vendevano un libro di un inoagent, lo potevano vendere, ma lo dovevano impacchettare dentro un sacchettino di cellofan non trasparente.
Come i giornali porno in Italia qualche decennio fa, avevo pensato quando avevo sentito questa notizia.
– Leggi anche: I libri avvolti nel cellophane nelle librerie ungheresi
No
La prima cosa che ho fatto, quando siamo stati in libreria, è stata chiedere un libro di un inoagent.
Uno qualsiasi.
Ci hanno dato un libro di Ekaterina Šul’man, si intitola Il ritorno dello stato. La Russia negli anni zero 2000-2012, e sotto il sottotitolo era stampata, in caratteri bianchi, su fondo rosso, la scritta: «Il presente materiale (informazione) è prodotto da un agente straniero, incluso nel registro del ministero della Giustizia della Federazione Russa, o riguarda la sua attività».
Il libro era avvolto da quella pellicola di cellofan trasparente che avvolge le novità anche in Italia.
E ho chiesto alla libraia «Ma questo cellofan c’è perché è un libro di un inoagent?».
«Sì», mi ha risposto lei.
«Ma non doveva essere un cellofan non trasparente come i nostri giornali porno qualche anno fa?», le ho chiesto.
«No», mi ha risposto lei.
Tra l’altro, mi viene in mente, uno dei segni dell’arrivo del capitalismo in Russia, è stata la comparsa dei giornali porno. Che non c’erano, in Unione Sovietica.
Così come molte altre cose che c’erano qui da noi.
Mi ricordo, era tipo il 2003, ero sulla metropolitana di Mosca, ho visto una pubblicità di una medicina, se non ricordo male, contro lo stress, e, erano già 12 anni, che frequentavo la Russia, era la prima volta che vedevo la parola stress.
Lo stress, ufficialmente, in Unione Sovietica, non esisteva, così come esisteva poco la psicanalisi, in Unione Sovietica e in tutto il blocco orientale, come racconta Patrik Ourednik nel suo singolarissimo Europeana. Breve storia del XX secolo: «La psicanalisi fu inventata nel 1900 da un neurologo viennese che voleva studiare i processi psichici e fare diagnosi basandosi sull’inconscio dei soggetti e che affermò che la nevrosi e l’isteria ecc. erano sintomi di traumi sessuali che risalivano all’infanzia e inventò concetti e metodi nuovi come coazione a ripetere e spostamento e inibizione e Io e super lo e libido e complesso che poteva essere di castrazione o di Edipo. E nel 1938 si recò a Londra per sfuggire ai nazisti e le sue quattro sorelle morirono in un campo di concentramento. E appena il paziente apprendeva l’origine della sua angoscia si sentiva già meglio perché era normale essere angosciati e restava soltanto da scoprire quale fosse l’origine dell’affezione. I comunisti dicevano che i membri di una società comunista non avevano bisogno del sesso perché il piacere più alto per l’uomo proviene dal lavoro di cui poteva essere fiero mentre nel capitalismo i lavoratori sfruttati non traevano alcuna gioia dal loro lavoro e dovevano fare ricorso a dei succedanei. E dicevano che senza coscienza di classe l’atto sessuale non poteva procurare nessuna soddisfazione anche se fosse stato ripetuto all’infinito e temevano che se la gente avesse cominciato a farsi psicanalizzare e a fare ricorso a dei succedanei la coesione del blocco socialista sarebbe stata minacciata» (la traduzione è di Elena Paul).
Pace al mondo
In questa libreria eravamo stati anche l’estate precedente e avevamo visto, in vetrina, uno slogan sovietico, «Miru mir», Pace al mondo.
Ne era rimasta, in vetrina, solo una parte.
«Mir».
Pace.
Abbiamo chiesto come mai alla libraia, la libraia ci ha spiegato che a un certo momento hanno sparato alla vetrina, all’altezza della scritta.
E che loro, i librai, hanno messo la notizia in rete e che hanno aperto una sottoscrizione e che, in due ore, hanno raccolto il necessario per sostituire il vetro.
Che veniva molta gente che non era mai stata in libreria e chiedeva come potevano aiutarli e loro gli rispondevano «Comprate ben dei libri».
E che avevano deciso di non rimettere la prima parte dello slogan, «come segno dei tempi che viviamo» ci ha detto la libraia.
© 2024, Gius. Laterza & Figli
Pubblicato per concessione dell’editore
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