L’immagine di Donald Trump come ricco imprenditore non sta più in piedi
Da sempre dice di essere «miliardario», ma le spese legali lo stanno mettendo in difficoltà e rischiano di danneggiare l'immagine che nel tempo ha voluto dare di sé
Donald Trump, l’ex presidente degli Stati Uniti che quasi certamente sarà il candidato del Partito Repubblicano alle elezioni presidenziali del prossimo novembre, deve trovare quasi 500 milioni di dollari entro il 25 marzo. Gli servono per sospendere il sequestro dei beni mentre fa ricorso contro una sentenza emessa da un giudice di New York, che l’ha condannato a pagare questa cifra con l’accusa di avere a lungo esagerato l’ammontare del proprio patrimonio. Sono soldi che al momento Trump non ha: se non riuscirà a procurarseli, il tribunale di New York sarà autorizzato a confiscare alcuni dei suoi beni.
La necessità di trovare i soldi per evitare i sequestri è il più urgente problema finanziario di Trump, ma non è l’unico. Negli ultimi mesi l’ex presidente e i gruppi di finanziatori che lo sostengono hanno speso decine di milioni di dollari per pagare le spese legali dei quattro processi penali in cui è imputato in diversi tribunali, e le cifre continueranno ad aumentare, dato che tutti i procedimenti sono ancora ben lontani dalla conclusione.
Non è chiaro esattamente quanti soldi abbia a disposizione Trump e i bilanci della sua compagnia di famiglia, la Trump Organization, non sono pubblici. La difficoltà nel reperire i fondi però mette in dubbio molte delle affermazioni fatte dall’ex presidente negli ultimi anni riguardo alle sue enormi ricchezze. Trump ha detto più volte di essere «miliardario», e di recente Alina Habba, una sua avvocata, ha sostenuto che Trump avrebbe a disposizione «miliardi, miliardi e miliardi di dollari». Venerdì Trump ha scritto su Truth, la sua piattaforma social, di avere «quasi 500 milioni di dollari in contanti».
Fin dal suo ingresso in politica, Trump ha sempre cercato di presentarsi come un ricco imprenditore che si è “fatto da solo” ed è riuscito a costruirsi un’ottima carriera grazie alle sue capacità nel mondo immobiliare. «Tutta la mia vita è stata una serie di “no”, ma io sono andato avanti», disse a un evento elettorale nel 2015. «Non è stato facile. Quando ho iniziato, a Brooklyn, mio padre mi diede un piccolo prestito da un milione di dollari».
In realtà Trump è sempre stato ricco: suo padre, Fred Trump, era un imprenditore immobiliare di New York che nel tempo aveva dato al figlio più di 400 milioni di dollari, in molti casi con operazioni fiscali ben poco trasparenti.
Nonostante sia falsa, l’immagine che Donald Trump ha costruito di se stesso – quella di un self-made man (“un uomo che si è fatto da solo”) con un grande fiuto imprenditoriale – ha contribuito ad avvicinarlo al suo elettorato. Ha convinto molte persone che in fondo fosse simile a loro, almeno all’inizio, e che proprio partendo da quella condizione era comunque riuscito ad accumulare un’enorme fortuna. Ora le ingenti spese legali e le difficoltà nel trovare i soldi necessari per pagare una multa o una cauzione contraddicono l’immagine che Trump ha creato per il suo elettorato e rischiano di influire negativamente anche sulla sua campagna elettorale per le elezioni presidenziali, danneggiando la sua reputazione.
La multa inflitta a Trump dal tribunale di New York è relativa a un processo civile per frode, nel quale Trump è accusato di aver manipolato la valutazione degli immobili della Trump Organization, aumentandola di diversi miliardi di dollari per ingannare i finanziatori, i broker assicurativi e le autorità finanziarie, ottenendo così tassi migliori sui prestiti bancari e sulle polizze assicurative. Le attività illecite sarebbero state compiute tra il 2011 e il 2021, un periodo che comprende il suo mandato da presidente (tra il 2017 e il 2021).
Lo scorso 16 febbraio il giudice Arthur Engoron aveva ritenuto Trump colpevole e lo aveva condannato al pagamento di una multa da circa 454 milioni di dollari. Il sistema giudiziario dello stato di New York prevede che per fare ricorso evitando la confisca dei beni sia necessario versare una sorta di cauzione pari al 110 per cento della somma dovuta (in questo caso circa 500 milioni di dollari), che rimarrà bloccata per tutta la durata del processo. La cauzione serve a dimostrare che la persona condannata avrebbe i soldi necessari a pagare la sanzione, e quindi il ricorso non è solo un espediente per “prendere tempo” e tergiversare il pagamento.
Se la persona condannata non ha a disposizione la liquidità necessaria per pagare la cauzione può cercare di ottenere un cosiddetto “bond”, ossia un accordo con cui una società esterna (generalmente una compagnia assicurativa o finanziaria) accetta di farsi carico del pagamento della sanzione nel caso in cui il ricorso venga perso. In cambio, il ricorrente deve impegnare come garanzia parte dei propri beni immobili o finanziari, e pagare un compenso alla società.
Sembra però che nessuna società sia disposta a garantire per Trump: i suoi avvocati hanno detto di aver parlato con più di 30 compagnie specializzate in questo tipo di servizi, ma finora tutte hanno rifiutato.
Uno dei problemi principali sta nel fatto che la cifra richiesta da Trump, quasi mezzo miliardo di dollari, è estremamente alta anche per gli standard di queste transazioni. Dall’altro lato, le garanzie che Trump può offrire al momento non sono sufficienti. Gran parte del patrimonio dell’ex presidente è legato alle sue proprietà immobiliari, che però nella maggior parte dei casi non vengono accettate come garanzia effettiva di liquidità. Per raccogliere i soldi Trump potrebbe anche vendere alcune azioni in borsa o proprietà immobiliari, un’opzione che però sembra che i suoi avvocati non stiano prendendo in considerazione.
Nelle ultime settimane gli avvocati di Trump hanno anche chiesto al tribunale di New York di poter versare una cauzione ridotta, da 100 milioni di dollari, e fare comunque ricorso, ma la richiesta è stata rifiutata. Se Trump non riuscirà a trovare i soldi entro il 25 marzo, la procuratrice dello stato Letitia James potrà iniziare a confiscare qualsiasi sua proprietà, compresa la famosa Trump Tower, nel centro di Manhattan, o la sua residenza di Mar-a-Lago, in Florida.
Per bloccare almeno temporaneamente le richieste di risarcimento, Trump o alcune delle sue compagnie potrebbero dichiarare bancarotta. Sarebbe però un enorme danno d’immagine, che rischierebbe di indebolire molto la sua candidatura alle prossime elezioni presidenziali. Al momento è considerata una possibilità remota.
Oltre ai soldi per la cauzione, Trump deve pagare anche le spese legali dei quattro processi penali che sta affrontando. Da tempo la maggior parte delle spese è sostenuta da un Super PAC associato alla sua candidatura alle presidenziali, noto come Save America. I Super PAC sono organizzazioni nate per raccogliere fondi a favore o contro un candidato, e negli ultimi decenni sono diventate sempre più influenti.
– Leggi anche: Cosa sono i “Super PAC”, che finanziano le elezioni statunitensi
Dall’inizio del 2023 Save America ha speso più di 55 milioni di dollari per pagare le spese legali di Trump: le sue risorse economiche sono sempre più esigue, tanto che a febbraio le spese hanno superato le entrate. Anche per questo ultimamente Save America ha chiesto a un altro Super PAC legato a Trump, noto come MAGA Inc., di restituire i circa 60 milioni di dollari che gli aveva inizialmente versato: sono soldi che altrimenti avrebbero potuto essere spesi per sostenere la sua campagna elettorale, ma che ora vengono usati per pagare gli avvocati e i consulenti legali.
La campagna elettorale di Trump, inoltre, sta raccogliendo molti meno fondi rispetto a quella del suo avversario politico, l’attuale presidente Democratico Joe Biden. Secondo i dati più aggiornati, alla fine di febbraio la campagna di Biden aveva a disposizione 71 milioni di dollari, più del doppio di quella di Trump, i cui fondi ammontavano a 33,5 milioni. Trump ha però speso di più: 66 milioni di dollari contro i 45 milioni di Biden (i dati non considerano i soldi raccolti e spesi dai Super PAC).
Da anni Trump cerca di raccogliere soldi con metodi ben poco tradizionali per un presidente, per esempio attraverso la vendita di magliette e gadget con la foto segnaletica che gli fu scattata durante la messa in stato di fermo in Georgia, ad agosto del 2023. Ultimamente questi sforzi sono diventati più evidenti: lo scorso 17 febbraio, il giorno dopo la sentenza del tribunale di New York, Trump ha partecipato a un grande evento sul mercato delle sneakers a Philadelphia e ha presentato la propria linea di scarpe, in vendita per 399 dollari al paio.
La presentazione non è stata un successo di per sé, anche perché il pubblico presente al convegno era diverso da quello che solitamente parteciperebbe a un comizio di Trump, e ci sono stati anche alcuni fischi. Le sneakers presentate da Trump al convegno sono esaurite, ma sono già stati presentati nuovi modelli che diventeranno disponibili tra luglio e agosto al prezzo di 199 dollari.
Infine, venerdì per Trump si è aperta un’altra potenziale fonte di liquidità: nel pomeriggio è stato annunciato che Trump Media & Technology entrerà in borsa grazie a una fusione con una SPAC, ossia una società che raccoglie capitali in borsa per poi fondersi con un’azienda non quotata (quella di Trump, in questo caso), costituendo per quest’ultima un’alternativa alle quotazioni in borsa tradizionali. Trump Media & Technology è la compagnia che gestisce Truth Social, la piattaforma social inaugurata da Trump nel 2021.
Nei prossimi giorni la società nata dalla fusione sarà quotata in borsa con la sigla DJT (le iniziali di Donald J. Trump). È stata valutata per circa 5 miliardi di dollari: Trump deterrà azioni per un valore complessivo di 3 miliardi di dollari, ma secondo l’accordo non potrà venderle per almeno sei mesi. È quindi difficile che l’entrata in borsa di Truth Social risolva il problema della cauzione.