L’interesse della criminalità organizzata per le cave di marmo viene da lontano
Prima delle nove interdittive antimafia decise negli ultimi due anni c'erano stati tre decenni di inchieste e allarmi sul rischio di infiltrazioni
Da quando Guido Aprea è diventato prefetto di Massa-Carrara, nel giugno del 2022, ha firmato nove interdittive antimafia nei confronti di altrettante aziende, quasi tutte appartenenti all’indotto delle cave: frantumazione e commercio di granulati, trasporto di marmo, commercio e noleggio di macchinari, vendita di materiale da costruzione. «Abbiamo individuato due rami, uno relativo alla ’ndrangheta e l’altro ai casalesi, cioè alla camorra», ha detto Aprea lo scorso ottobre. «La camorra ha interessi nel trasporto e la ’ndrangheta nei settori più classici: estrazione, noleggio, cave e così via».
L’interdittiva antimafia è un provvedimento che consiste nell’escludere dai rapporti con la pubblica amministrazione le aziende sospettate di infiltrazioni della criminalità organizzata. Sono misure molto restrittive, che solitamente non vengono decise alla leggera perché le conseguenze possono danneggiare un intero settore economico. A Carrara, tuttavia, le ultime interdittive non sono state una sorpresa perché è ormai noto da anni che la criminalità organizzata si sia infiltrata in provincia, in particolare nel redditizio sistema delle cave e degli appalti.
Negli ultimi trent’anni diverse inchieste della procura hanno indagato sugli interessi prima della mafia siciliana, e poi della ’ndrangheta e della camorra nell’economia delle cave in diverse province italiane. L’estrazione è un settore che attira perché è difficile da controllare: i crimini, soprattutto i reati fiscali e in generale contabili, possono essere nascosti senza grandi sforzi. Le infiltrazioni riguardano non tanto le proprietà delle cave, cioè la parte più esposta, ma l’indotto: il trasporto dei blocchi e dei detriti, la gestione dei rifiuti speciali, il ciclo di produzione del cemento e in generale la gestione degli appalti e dei subappalti in cui operano diversi livelli di intermediari. È una fitta rete di società di facciata e prestanome, difficile da individuare e quindi controllare.
Uno dei processi più noti sulle infiltrazioni nelle cave si è concluso la scorsa estate in provincia di Trento: otto persone che controllavano le cave di porfido della Val di Cembra sono state condannate a oltre 70 anni di carcere.
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A Carrara una delle prime indagini ci fu negli anni Novanta e coinvolse Raul Gardini, uno degli imprenditori italiani più celebri e discussi tra gli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, morto suicida nel 1993. Gardini controllava il gruppo Ferruzzi dal 1979 e negli anni Ottanta portò avanti un’espansione spregiudicata. Attraverso una società controllata, la Calcestruzzi, acquistò dall’Eni due aziende che all’epoca controllavano il 65 per cento delle cave e della lavorazione del marmo di Carrara, la Imeg e la Sam. Da tempo la Calcestruzzi controllava a sua volta la Società generale impianti di Palermo, gestita dai fratelli Antonino e Salvatore Buscemi, legati al boss mafioso Totò Riina. I due iniziarono a occuparsi delle cave di Carrara.
Sugli affari della mafia nelle cave iniziò a indagare un magistrato, Augusto Lama, che dopo aver ricostruito i passaggi di proprietà e l’assetto delle cave fu destinatario di un provvedimento disciplinare del Consiglio superiore della magistratura (CSM) basato su un esposto che censurava le sue esternazioni su possibili coinvolgimenti del gruppo Ferruzzi con la mafia. Di questa vicenda si occupò a lungo il giornalista Enrico Deaglio, autore di diverse inchieste sui rapporti tra la mafia, Gardini e le società che gestivano le cave a Carrara.
Nel 1991 a Carrara l’ingegnere Alberto Dazzi fu ucciso facendo esplodere la sua auto, in cui era stato posizionato una bomba. I responsabili dell’attentato non furono mai individuati. Secondo le inchieste Dazzi fu ucciso con una modalità mafiosa per i suoi interessi nel cantiere dell’hotel Marble aperto nel 1988, e rimasto incompiuto per decenni nonostante un finanziamento da 6 miliardi di lire: fondi provenienti dall’organizzazione dei Mondiali di calcio del 1990.
A Carrara si tornò a discutere delle infiltrazioni della criminalità organizzata nel 2011 in seguito alla relazione annuale della Direzione nazionale antimafia (DNA). Secondo i magistrati, le ispezioni fatte negli anni precedenti avevano individuato infiltrazioni nel secondo lotto della cosiddetta strada dei marmi, un tunnel costato 119 milioni di euro pagati per la maggior parte dal comune di Carrara per togliere il traffico dei camion dal centro della città.
La strada dei marmi può essere percorsa solo dai camion delle aziende di trasporti al servizio delle cave. Nonostante l’uso esclusivo non è previsto un pedaggio e per diversi anni Carrara è stato uno dei comuni più indebitati d’Italia per via dei mutui aperti per finanziare la costruzione della strada. La maggior parte dei responsabili delle aziende impegnate nel secondo lotto fu definita dalla Direzione distrettuale antimafia di Firenze «ricollegabili o ritenuti affiliati alla consorteria Comberati-Garofalo», la ’ndrina – così vengono chiamate le organizzazioni locali della ’ndrangheta – di Petilia Policastro, in provincia di Crotone.
Già alcuni anni prima la magistrata della Direzione distrettuale antimafia di Genova, Anna Canepa, aveva scritto in diverse relazioni che il settore delle cave era uno dei più a rischio di infiltrazioni della ’ndrangheta, in particolare dei gruppi della zona jonica. Negli anni successivi ci furono diversi episodi, soprattutto incendi dolosi, che la magistratura ricondusse alle infiltrazioni della criminalità organizzata nell’indotto delle cave.
Negli ultimi 15 anni Carrara è stata individuata come zona a rischio di infiltrazione in diverse indagini di università e fondazioni che studiano la criminalità organizzata. In città sono stati organizzati convegni per sensibilizzare l’opinione pubblica e aumentare l’attenzione sui fenomeni mafiosi. Molti di questi appuntamenti sono stati organizzati da Gino Angelo Lattanzi, che per anni è stato responsabile della Confederazione nazionale dell’artigianato. «Purtroppo da tempo a Carrara si tende a sottovalutare», dice Lattanzi. «Non c’è la percezione anche perché la mafia è silente, non vuole problemi e si muove con attenzione. Però i segnali ci sono e le interdittive antimafia disposte dalla prefettura sono un esempio. La cosa che solleva grandi perplessità a chi come me è sempre stato in prima linea nel contrastare questi fenomeni è il silenzio assoluto da parte della politica. Se si continua nel sostenere che siamo un’isola felice i rischi aumentano».
All’inizio di dicembre il presidente di Confindustria di Massa e Carrara Matteo Venturi ha detto che il territorio di Carrara ha «sviluppato gli anticorpi» contro la mafia, un’espressione molto utilizzata in casi come questo. «Il tema esiste, nessuno ha intenzione di mettere la polvere sotto il tappeto», ha detto Venturi in un’intervista al Tirreno. «Ma è un tema di trent’anni fa e la città, non solo il mondo delle cave, è andata avanti. E lo ha fatto, come ho detto, grazie al grande lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura».