Non è l’epoca giusta per l’Antropocene
L'organizzazione scientifica che si occupa della nomenclatura non ritiene che l'attuale periodo influenzato dalle attività umane sia un'era geologica a sé: siamo ancora nell'Olocene
L’Unione internazionale di scienze geologiche (IUGS) ha confermato che l’Antropocene – il proposto periodo di grandi modificazioni causate dalle attività umane – non sarà aggiunto alla lista delle epoche geologiche in cui è suddivisa la storia della Terra, almeno per ora. La decisione era attesa da tempo e ha scontentato il gruppo di lavoro che per circa 15 anni aveva cercato prove e formulato teorie a favore della nuova distinzione, ritenendola importante per responsabilizzare ulteriormente i governi e l’umanità sul loro ruolo nel modificare il pianeta, a cominciare dal cambiamento climatico. Secondo la IUGS non ci sono però ragioni e basi scientifiche solide a sufficienza per attribuire un’intera epoca geologica alle attività umane.
Per motivi pratici e di studio, il tempo trascorso dalla formazione della Terra a oggi viene suddiviso in unità di tempo più o meno lunghe che messe insieme costituiscono la “scala dei tempi geologici”. Questi tempi sono classificati in base alla loro lunghezza: si parte dagli eoni, le unità di tempo più ampie a loro volta divise in ere geologiche, che sono poi suddivise in periodi, epoche ed età. La classificazione viene decisa anche in base al lavoro della Commissione internazionale di stratigrafia, un sottocomitato permanente della IUGS che si occupa di come si presentano i limiti negli strati di roccia, che possono indicare il passaggio da un’unità di tempo a un’altra.
Il periodo geologico più recente, cioè quello in cui viviamo, è il Quaternario, il terzo (e ultimo) dei tre periodi che messi insieme formano l’era geologica del Cenozoico. Il Quaternario ha avuto inizio circa 2,58 milioni di anni fa e comprende al suo interno l’Olocene, l’epoca più recente e quindi in corso, iniziata circa 11.700 anni fa; il nome deriva dalle parole greche ὅλος (cioè “del tutto”) e καινός (“recente”).
I tempi geologici vengono suddivisi soprattutto in base a come si presentano gli strati di rocce e al modo in cui sono disposti. Una marcata discontinuità tra uno strato e un altro può per esempio essere l’indizio di un cambiamento nelle condizioni della Terra, lungo la sua storia geologica iniziata circa 4,5 miliardi di anni fa. Identificare queste tracce non è sempre semplice e richiede molto lavoro in più aree del mondo, spesso conducendo scavi in grande profondità dove si trovano gli strati di roccia più antichi.
La Commissione internazionale di stratigrafia valuta e discute le nuove proposte, quasi sempre accompagnate da lunghe e agguerrite discussioni. Si procede poi con votazioni che talvolta interessano anche altre commissioni e infine la IUGS dà un proprio parere, che diventa lo standard per la comunità scientifica. Come in altri ambiti della ricerca, anche in questo caso una nomenclatura condivisa è molto importante perché è l’unico modo che hanno i gruppi di ricerca per capirsi e sapere di fare riferimento agli stessi tempi, quando parlano di ere o epoche.
Una quindicina di anni fa, un gruppo di geologi aveva iniziato a sostenere la necessità di indicare una nuova epoca geologica per il nostro tempo e per rimarcare il ruolo centrale dell’umanità nel suo sviluppo. Proposero di chiamarla Antropocene dalle parole greche ἄνθρωπος (“umano”) e καινός (“tempo”). L’idea non era completamente nuova se consideriamo che già nella seconda metà del Settecento il geologo italiano Antonio Stoppani aveva introdotto il concetto di “epoca antropozoica” per fare riferimento al tempo geologico in cui gli esseri umani avevano iniziato a lasciare le loro tracce.
Non è però sufficiente proporre una nuova epoca geologica, occorre anche portare prove per dimostrarne l’esistenza. Il gruppo di lavoro sull’Antropocene (AWG) iniziò quindi a cercare vari punti del pianeta in cui fossero evidenti i cambiamenti portati dalle attività umane, in termini di modifiche tali da diventare poi visibili negli strati geologici. Alcuni studi si concentrarono sulle sostanze rimaste intrappolate nei ghiacci dell’Antartide, altri sui danni evidenti alle barriere coralline al largo dell’Australia a causa della maggiore acidità degli oceani (dovuta alla presenza di più anidride carbonica emessa dalle attività umane), ma era necessario trovare qualcosa di più convincente ancora e rilevante dal punto di vista geologico.
Lo scorso anno quel qualcosa fu trovato nell’Ontario, una regione del Canada, quando furono condotte alcune rilevazioni nelle acque calme del lago Crawford. La particolare conformazione del lago fa sì che questo sia meromittico: gli strati d’acqua che lo costituiscono non si mischiano molto tra loro. Analizzando gli strati più bassi del lago furono trovati molti prodotti delle attività umane risalenti alla metà del secolo scorso. Le analisi permisero per esempio di riscontrare la presenza di isotopi di plutonio, riconducibili alle bombe atomiche fatte detonare durante i numerosi esperimenti atomici nell’atmosfera, così come residui dell’utilizzo di combustibili fossili e tracce di elementi chimici usati per produzioni industriali e agricole.
Sulla base di quelle analisi e di altri studi sull’andamento del riscaldamento globale, l’AWG concluse che non solo l’Antropocene esistesse, ma che fosse iniziato circa 75 anni fa. Quelle conclusioni lasciarono perplessi geologi e altri esperti, considerato che le epoche geologiche hanno una durata molto più ampia. L’Olocene, l’epoca in cui ci troviamo, ha almeno 11.700 anni di storia alle spalle e ci sono state epoche ancora più ampie. Le attività umane hanno indubbiamente portato a un’accelerazione in alcune modifiche del nostro pianeta, ma secondo vari esperti non al punto da concentrare in così pochi anni una nuova epoca o per lo meno la sua fase iniziale.
La questione dell’Antropocene divenne ancora più dibattuta e controversa, portando geologi e gruppi di ricerca in altre discipline a ipotizzare per lo meno un tempo di inizio diverso da quello indicato dall’AWG. Ci fu chi propose come aveva fatto Stoppani di considerare la seconda metà dell’Ottocento come il punto di inizio, facendolo quindi coincidere con i processi di industrializzazione, mentre altri proposero di andare ancora più indietro fino all’inizio del periodo coloniale.
Al termine di un lungo confronto, il 16 febbraio scorso la ventina di membri che costituiscono la Sottocommissione di stratigrafia quaternaria aveva espresso con una votazione il proprio parere contrario ad aggiungere l’Antropocene alle epoche geologiche. Il risultato del voto aveva suscitato grandi polemiche, con alcuni partecipanti che avevano chiesto di annullarlo, sostenendo che non fossero state esaminate tutte le prove portate dall’AWG. Parte della polemica aveva riguardato alcuni membri della sottocommissione ormai oltre il limite del loro mandato, ma ancora presenti nell’assemblea in attesa di nuove decisioni.
Il pronunciamento della sottocommissione era comunque passato alla IUGS che mercoledì 20 marzo ha deciso di confermare la votazione, rendendo quindi ufficiale il mantenimento dell’Olocene come epoca geologica in cui viviamo. L’Unione non ha commentato le polemiche sulle modalità con cui era stato espresso il voto, ricordando comunque che la parola “Antropocene” continuerà a essere impiegata: «Non solo dagli scienziati che si occupano della Terra e dell’ambiente, ma anche da chi si occupa di scienze sociali, dai politici e dagli economisti, così come dal pubblico in generale. Continuerà a essere una definizione inestimabile dell’impatto umano sul sistema Terra».
Il commento della IUGS era probabilmente teso a ridurre una certa insofferenza da parte dei proponenti dell’Antropocene come era geologica, ma sembra che abbia avuto l’effetto opposto. Vari osservatori hanno fatto notare che se la parola continuerà a essere impiegata in ambito scientifico, e non solo, forse avrebbe avuto senso fare una valutazione diversa visto che viene riconosciuta l’utilità e l’importanza di quel termine.
La mancanza di una definizione ufficiale non cambia comunque le difficili condizioni in cui si trova il nostro pianeta. Nell’ultimo secolo, le attività umane hanno permesso di migliorare la vita di miliardi di persone, facendo aumentare sensibilmente le loro aspettative di vita in molte parti del mondo. Questi progressi hanno però avuto un costo enorme sull’ambiente, soprattutto a causa del massiccio impiego di combustibili fossili che ha portato a immettere nell’atmosfera quantità insostenibili di anidride carbonica e altri gas serra. Il riscaldamento globale è il frutto di tutto questo e porta con sé profonde modifiche a buona parte degli ecosistemi, che continueranno a verificarsi nei prossimi decenni.