Sempre meglio non mettere i bambini sui social
Coprirne il volto, come hanno iniziato a fare Fedez e Chiara Ferragni, è una delle pratiche più diffuse tra genitori, in assenza di regolamentazioni
In questi giorni molti hanno notato che sia Chiara Ferragni che Fedez, due delle persone in Italia con più seguito sui social network, hanno cominciato a pubblicare solo foto dei loro figli in cui non li si vede in faccia. È una novità piuttosto grossa visto che i due – che sono sposati dal 2018 e hanno da poco fatto sapere di essersi separati – avevano finora pubblicato quotidianamente foto e video dei due figli senza preoccuparsi di proteggerne la privacy. Questo approccio gli aveva peraltro procurato molte critiche, a cui i due avevano risposto dicendo di aver fatto questa scelta in modo consapevole e coerente con come avevano sempre condiviso la propria vita sui social.
La questione di quanto sia etico e rispettoso per i genitori pubblicare online le foto dei figli minorenni e il discorso sui possibili rischi di questo comportamento sono dibattuti in Italia e in buona parte del mondo più o meno da quando i social network hanno cominciato a diffondersi, una decina di anni fa. In inglese è stato anche coniato un termine per definire il fenomeno: “sharenting” (dall’unione di “share”, condividere, e “parenting “fare i genitori”). Attualmente è ancora un campo poco regolato dalle leggi e su cui si vedono in generale approcci molto diversi.
Su social network basati sulla condivisione di foto e video come Instagram e TikTok è esperienza comune imbattersi in bambine e bambini a volte anche molto piccoli. Addirittura esistono interi profili o trend basati sul loro coinvolgimento da parte dei genitori, che puntano sul fatto che i bambini sono solitamente soggetti che ricevono molti apprezzamenti e visualizzazioni per aumentare la propria visibilità online e, nei casi più di successo, guadagnarci. È il caso di Fedez e Ferragni, che hanno costruito un brand attorno alla condivisione della loro quotidianità familiare e che forse stanno rivedendo il proprio approccio alla questione per via della separazione in corso. Ma riguarda moltissimi altri creatori di contenuti o aspiranti tali.
Per fare qualche esempio, circa un anno fa è diventato virale su TikTok il profilo di un negozio napoletano di vestiti per bambini in cui la titolare faceva fare la modella alla figlia, tra i 9 e i 10 anni. Ma anche senza che vengano messi “in posa”, di video di bambini che dicono o fanno cose buffe ce ne sono moltissimi e vengono spesso molto spinti dagli algoritmi delle piattaforme. L’utilizzo di immagini di minori sui social a scopo commerciale come in questi casi non è regolamentato in Italia.
Allo stesso tempo però negli anni la sensibilità rispetto ai rischi di questo tipo di condivisione si è molto diffusa ed è diventato abbastanza comune vedere sui social foto di bambini ritoccate grossolanamente con emoji o bollini colorati in corrispondenza delle facce. Il risultato appare in alcuni casi un po’ goffo, ma è una delle soluzioni che vengono raccomandate dagli esperti di questi temi per proteggere la privacy di bambine e bambini nel caso in cui si voglia comunque pubblicarne le foto. Tra i consigli pubblicati dal Garante della privacy si legge: «rendere irriconoscibile il viso del minore (ad esempio, utilizzando programmi di grafica per “pixellare” i volti)» o «coprire semplicemente i volti con una “faccina” emoticon».
Tra i creatori di contenuti e gli influencer popolari su Instagram in Italia si vedono entrambi gli approcci. Non è raro infatti che alcuni condividano dettagli anche molto intimi della loro vita familiare ma allo stesso tempo si premurino di non far mai vedere le facce dei bambini. Allo stesso tempo ci sono stati anche diversi casi di influencer che hanno cominciato nascondendo le facce dei figli e poi dopo un po’ hanno cambiato idea e hanno cominciato a mostrarle.
I rischi di divulgare dati personali e sensibili dei propri figli minori sono di vari tipi. «Il primo e più immediato è una violazione della privacy, che è un diritto sancito dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dal GDPR (il regolamento europeo sulla protezione dei dati)», dice Brunella Greco, esperta di tutela dei minori online della ong Save the Children. Pubblicando video e foto si perde di fatto il controllo sulle informazioni che contengono: non solo l’aspetto del bambino, ma anche per esempio il luogo in cui si trovava in un determinato giorno.
Un altro rischio è quello che le foto e i video pubblicati online dai genitori possano diventare un problema per i bambini da adulti, anche se è ancora presto per sapere se e come questo avverrà visto che appunto i social si sono davvero diffusi da meno di quindici anni, almeno in Italia. «Si crea un’identità digitale a cui il bambino non contribuisce e questo ha effetti concreti considerato quanto a lungo i contenuti restano online», spiega Greco. «Per esempio lo vediamo già con i datori di lavoro che fanno ricerche online sulle persone che vorrebbero assumere, ma vale per esempio anche per le ricerche delle assicurazioni. Non sappiamo quale società digitale ci aspetta».
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A questo si aggiungono le possibili ripercussioni psicologiche legate alla ricerca di un sorta di “consenso pubblico”: «cominciano a fare i conti da piccoli col fatto di essere esposti al giudizio e ai “mi piace” degli altri, e questo interagisce con la formazione della personalità e della propria immagine pubblica», dice ancora Greco. Infine non è da escludere la possibilità che anche le immagini più innocue vengano usate o manipolate per costruire materiali pedopornografici, o vengano usate all’interno di piani di adescamento online. «L’adescamento online funziona con un processo di avvicinamento basato sulla fiducia e la vicinanza, che è facile ottenere se si hanno già molte informazioni sul minore», dice Greco.
La questione non riguarda solo influencer e creator, cioè le persone che lavorano con i propri canali social o che vogliono provare a farlo. Il discorso sui rischi legati al fatto di rendere pubbliche foto e video di minori vale infatti anche per chi ha profili personali seguiti solo da conoscenti, o per chi divulga questi materiali sulle chat private di WhatsApp, per esempio. Per il primo caso negli ultimi anni si è diffusa maggiore consapevolezza dei possibili rischi, mentre per quanto riguarda le chat private c’è ancora una generale convinzione che garantiscano protezione e controllo dei dati personali.
Come dice Greco però «quando utilizziamo qualsiasi piattaforma digitale sottoscriviamo un contratto con un’azienda privata a cui diamo il permesso di usare i nostri dati: dovremmo leggere le informative sul trattamento dei dati quando le usiamo ma quasi nessuno lo fa. A questo si aggiunge che, per la mole di gruppi WhatsApp e Telegram di cui facciamo parte, è difficile tenere davvero traccia di tutti i destinatari delle foto che mandiamo».
In Italia non esiste una legge che dica ai genitori se e come possono pubblicare online le foto dei figli, e la scelta viene lasciata ai singoli. Le linee guida istituzionali e gli esperti che si occupano del tema insistono soprattutto sull’importanza di rendere i genitori consapevoli dei possibili rischi a cui vanno incontro. Secondo Greco «nella società di oggi è difficile che non si condividano online parti della propria vita, ma ci sono accortezze che andrebbero prese per farlo in sicurezza, come per esempio le app pensate apposta per far circolare le foto solo tra i familiari, oppure la condivisione a tempo (cioè con foto che si autocancellano dopo essere state aperte) su WhatsApp. Mi sono accorta che le competenze digitali non sono così diffuse come pensiamo, anche tra i genitori più giovani».
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