Come può essere punito un calciatore che pronuncia un insulto razzista
L'arbitro lo può espellere, anche se è difficile, e dopo un'indagine della giustizia sportiva può essere squalificato per almeno 10 giornate
Nel campionato di calcio di Serie A sono molto frequenti episodi di razzismo da parte del pubblico che assiste alle partite nei confronti di giocatori in campo: sono invece più rari, almeno nel massimo campionato, i casi di cui sappiamo che gli insulti razzisti siano stati rivolti a un calciatore da un altro calciatore. Se ne parla dopo che il difensore brasiliano del Napoli Juan Jesus ha detto di aver ricevuto un insulto razzista dall’italiano Francesco Acerbi durante Inter-Napoli, domenica sera: i vari regolamenti del calcio prevedono diversi modi per sanzionare un calciatore responsabile di insulti razzisti, ma c’è una certa difficoltà a metterli in pratica.
Un calciatore responsabile di un insulto razzista in campo può essere punito in due diversi momenti: il primo è appunto in campo, durante la partita, dall’arbitro; il secondo è invece successivo alla partita e può avvenire solo dopo un’indagine della giustizia sportiva, che in Italia ha regole diverse da quella ordinaria.
Durante la partita, quello che può fare l’arbitro in campo è espellere con un cartellino rosso un giocatore responsabile di un insulto razzista, sia che lo pronunci rivolgendosi a un altro giocatore sia a chiunque altro durante la partita. Il regolamento di gioco dell’AIA, l’Associazione italiana arbitri, prevede infatti che si possa espellere un calciatore in campo o in panchina che «usa un linguaggio o agisce in modo offensivo, ingiurioso o minaccioso». È una definizione ampia e vaga, ma che comprende anche la discriminazione razziale o quella territoriale.
Il problema è che spesso l’arbitro è distante dalle conversazioni che avvengono tra i calciatori in campo: nella maggior parte dei casi non ha elementi per giudicare se ci sia stato effettivamente un insulto razzista o meno, e quindi poi decidere per un’espulsione. Nel caso di Juan Jesus e Acerbi il brasiliano era andato a lamentarsi con l’arbitro dell’insulto, e dal labiale della conversazione tra i due si capisce che Juan Jesus lamenta di essere stato chiamato «negro» (una versione poi ribadita dallo stesso Juan Jesus su Instagram lunedì sera). Acerbi invece si era avvicinato ai due e si era scusato con Juan Jesus, e l’arbitro a quel punto non aveva preso alcun provvedimento. Lunedì Acerbi ha negato di aver rivolto qualsiasi insulto razzista a Juan Jesus.
Nel frattempo la procura della Federazione calcistica italiana (FIGC), cioè la parte dell’accusa nella giustizia sportiva, ha aperto un’indagine sul caso. Da questo genere di indagine deriva il secondo modo con cui il calcio italiano può punire un giocatore responsabile di insulti razzisti: l’articolo 28 del codice di giustizia sportiva, sui “comportamenti discriminatori”, stabilisce che i calciatori che usano insulti razzisti debbano essere puniti con la squalifica per almeno 10 giornate e che gli possa essere impedito di partecipare per un certo periodo a eventi calcistici in Italia, con la possibilità di estendere il divieto in ambito europeo e mondiale. Per i calciatori professionisti è prevista anche una multa da 10 a 20mila euro. La squalifica di 10 giornate è il minimo previsto dalla FIFA in questi casi, l’organo che governa il calcio mondiale.
Tra i “comportamenti discriminatori” l’articolo 28 comprende «ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporta offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine anche etnica, condizione personale o sociale». Non è specificato che l’insulto debba avvenire durante una partita: teoricamente si può punire anche un calciatore responsabile di insulti razzisti fuori dal campo. Anche dirigenti o altri tesserati delle società di calcio possono essere puniti per episodi di razzismo, con una squalifica di almeno 4 mesi e una multa dai 15 ai 30mila euro.
L’indagine della procura sportiva si basa innanzitutto sul referto scritto dall’arbitro durante la partita, e poi su ulteriori accertamenti: possono essere interrogate le persone coinvolte, per esempio, o acquisiti video della partita che possano chiarire meglio l’accaduto. È quello che ha già chiesto il giudice sportivo anche per il caso di Acerbi e Juan Jesus.
La procura sportiva ha 60 giorni di tempo per completare le indagini, prorogabili due volte (la prima di 40 giorni, la seconda di 20). A quel punto deve decidere se disporre un atto di deferimento, l’equivalente del rinvio a giudizio nella giustizia ordinaria, cioè se si va o meno a processo. Se si decide per il processo, la prima udienza deve essere fissata entro 30 giorni. Si può poi fare ricorso contro un’eventuale sentenza di condanna: i tempi non sono brevissimi, insomma.
Le squalifiche ai calciatori per insulti razzisti in campo sono rare, e in ogni caso più frequenti nelle serie minori: una recente è stata imposta lo scorso dicembre a un 16enne della Spal Cordovado, squadra della provincia di Pordenone che gioca nel campionato di Eccellenza (la quinta serie nel calcio italiano, la seconda tra quelle di dilettanti).
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