Daniele De Rossi non parla come gli altri allenatori
L'allenatore della Roma è raramente retorico, parla molto di calcio, mette in discussione le sue scelte e non si lamenta mai degli arbitri: in molte cose è tutto il contrario del suo predecessore, José Mourinho
Il 16 gennaio 2024 la squadra di calcio maschile della Roma ha ingaggiato come allenatore Daniele De Rossi per sostituire il portoghese José Mourinho, da poco esonerato. Nei suoi primi due mesi da allenatore della Roma De Rossi ha ottenuto risultati positivi e quasi sorprendenti: ha portato la squadra dal nono al quinto posto in Serie A e ha superato i sedicesimi e gli ottavi di finale di Europa League, la seconda competizione europea per club (ai quarti affronterà il Milan).
De Rossi, 40 anni, da calciatore ha giocato come centrocampista ed è stato per quasi tutta la carriera nella Roma, diventandone uno dei giocatori più rappresentativi e famosi di sempre. Ora da allenatore si sta distinguendo non solo per la sua gestione sportiva, ma anche, se non soprattutto, per il suo modo di parlare e di comunicare brillante, schietto e per certi versi coinvolgente, diverso da quello della maggior parte dei suoi colleghi (specialmente in Italia, mentre all’estero stili comunicativi come quello di De Rossi ad alti livelli sono meno rari).
Gli allenatori delle squadre di Serie A parlano con i giornalisti almeno in tre occasioni a settimana (sei quando si giocano le coppe): prima di una partita, nella conferenza stampa di presentazione, e poi due volte dopo la partita, prima nelle interviste con radio e televisioni e in un’altra conferenza stampa con i giornalisti di tutti gli altri mezzi d’informazione. Questa frequenza contribuisce senza dubbio ad appiattire la comunicazione, che si riduce spesso a frasi fatte, sempre uguali, molto retoriche («Giochiamo una partita alla volta, non guardiamo la classifica», «Sono tutte finali»), oppure a lamentele di vario genere, soprattutto sulle scelte degli arbitri. De Rossi invece finora è sembrato sinceramente interessato a parlare di calcio, a spiegare le sue scelte approfonditamente e con sguardo critico, a metterle in discussione, a non concentrarsi sugli episodi sfortunati per lamentarsi.
Il giornalista e telecronista sportivo Riccardo Trevisani parla dello stile comunicativo di De Rossi in un approfondimento del sito Cronache di spogliatoio
Il suo modo di porsi sta spingendo anche i vari giornalisti, ex calciatori e opinionisti che commentano il calcio in televisione a fargli domande diverse dal solito: anche queste sono diventate un po’ meno retoriche, un po’ più profonde e acute.
Dopo la partita contro la Fiorentina, giocata domenica 10 marzo e finita 2-2, per esempio, De Rossi ha parlato per dieci minuti con lo studio di Sunday Night Square, il programma della domenica sera di Dazn, l’emittente che trasmette tutte le partite di Serie A in Italia. Sono tre minuti in più di quelli che sarebbero consentiti dagli accordi tra la Lega Serie A e l’emittente, ma né dallo studio sembravano preoccupati di sforare, né De Rossi mostrava di essere impaziente di finire l’intervista (nonostante fossero le 23 passate, la squadra dovesse tornare a Roma e, tre giorni dopo, andare in Inghilterra per giocare il ritorno di coppa contro il Brighton: tutte cose che molti allenatori usano come scusa per chiudere in fretta un’intervista).
Dopo una partita in cui la Roma aveva fatto più fatica del solito, arrivando a pareggiare solo all’ultimo minuto, De Rossi ha cominciato l’intervista spiegando il motivo di una sua decisione tattica, quella di schierare la squadra con la difesa a 3 e non a 4: «Qualche mia scelta non ha aiutato, abbiamo fatto un primo tempo moscio su tutti i punti di vista. Dopo le partite di coppa, abbiamo fatto tre brutti primi tempi contro Frosinone, Torino e oggi: ogni volta ho messo la difesa a 3 per dare sicurezza alla squadra (come giocava fino a poco fa con José Mourinho, l’allenatore precedente, ndr), ma si vede che non hanno bisogno di questa sicurezza. Forse sono un po’ in rigetto di quel modulo, e ci dovrò pensare la prossima volta». De Rossi ha quindi condiviso subito i dubbi che la sua scelta aveva sollevato, rendendo lo studio e gli spettatori partecipi del modo in cui aveva preparato la partita. Spiegandosi, insomma.
Nei dieci minuti di intervista, l’allenatore della Roma non ha nemmeno menzionato di passaggio le scelte arbitrali, cosa che gli allenatori italiani fanno sistematicamente per spostare l’attenzione dai risultati deludenti e deresponsabilizzarsi: e questo nonostante il secondo gol della Fiorentina, quello di Rolando Mandragora, sarebbe stato da annullare secondo il parere di diversi esperti di regolamento, così come il rigore assegnato alla Fiorentina (ma poi parato dal portiere della Roma Mile Svilar) non fosse proprio evidente. In Serie A è spesso bastato molto meno agli allenatori per montare grandi polemiche e teorizzare un accanimento degli arbitri contro la propria squadra. In questo, soprattutto, De Rossi è in totale discontinuità con José Mourinho, che invece molte volte faceva ruotare intere interviste e conferenze intorno a una polemica arbitrale, spesso per non soffermarsi sul livello di gioco scadente della sua squadra.
– Leggi anche: Cosa ha smesso di funzionare tra José Mourinho e la Roma
De Rossi ha decisamente cambiato linea comunicativa, scegliendo di parlare di calcio e dei suoi giocatori, che vengono costantemente lodati ed esaltati. Nel continuo ripetere cose come «i miei giocatori sono fortissimi», anche De Rossi talvolta diventa un po’ retorico, ma sembra voler marcare una rottura netta con lo stile di Mourinho, che in diverse occasioni criticava direttamente alcuni suoi giocatori e in generale ribadiva spesso che la sua squadra non era all’altezza di lottare per le posizioni più alte della classifica. Il nuovo allenatore della Roma invece anche la scorsa domenica, commentando la vittoria per 1-0 contro il Sassuolo (la settima nelle nove partite di campionato dal suo arrivo), ha detto chiaramente: «Io penso che la Roma abbia una squadra che deve lottare per quel traguardo lì (la qualificazione alla prossima Champions League, ndr)». L’influenza di De Rossi è stata evidentemente positiva: con Mourinho, la Roma aveva fatto 29 punti in 20 partite di campionato (una media di 1,45 punti a partita); con De Rossi è a 22 in 9 partite (media di 2,44 punti a partita).
Dopo la vittoria della Roma per 3-2 contro il Torino dello scorso 26 febbraio, commentando la tripletta dell’attaccante argentino Paulo Dybala, De Rossi ha affrontato proprio il tema di quanto l’allenatore contribuisca ai successi di una squadra: «Il calciatore, la qualità del calciatore, ti fa vincere o perdere le partite, ti fa vincere i campionati, ed è la cosa più importante. Ma se non fosse importante tutto il resto, non vedremmo mai squadre come il Bologna quarto in classifica, con tutto che ha giocatori molto buoni. E allo stesso tempo non vedremmo mai squadre molto forti stare in basso alla classifica. La giocata del campione a volte esce fuori perché la squadra è organizzata: se Dybala prende 10 volte la palla dal limite dell’area e fa quel gol, è anche perché la squadra è organizzata. Se non lo è, magari prende palla due volte solamente».
De Rossi ha poi concluso il discorso con un concetto che, almeno in parte, potrebbe spiegare i buoni risultati che sta avendo fino a questo momento con la Roma: «Se faccio questo tipo di lavoro è perché penso che l’allenatore sia molto importante, l’ho sempre pensato. Ed è molto importante se poi l’allenatore stesso si rende conto che i giocatori che ha sono più importanti di lui: l’unico obiettivo è allenarli bene, farli stare in forma, gestire bene il gruppo, metterli nelle condizioni di essere felici in campo e farli giocare nelle posizioni più congeniali con le giocate più congeniali».