Perché gli asparagi fanno puzzare la pipì
Non sappiamo di preciso da quali sostanze dipenda, né perché alcune persone dicano di non sentire quell'odore
Intorno al 1780 lo scienziato e politico statunitense Benjamin Franklin scrisse una lettera indirizzata all’Accademia imperiale di Bruxelles chiedendosi se non ci fosse il modo di trovare un rimedio per gli asparagi che «mangiati danno alla nostra urina un odore sgradevole». La lettera era sarcastica ed era stata scritta in seguito all’annuncio di una competizione in matematica che Franklin riteneva inutile e ridicola. Per questo poneva una questione scientifica piccola e all’apparenza insignificante, ma che potrebbe offrire nuovi spunti per comprendere come digeriamo alcuni alimenti e persino il modo in cui percepiamo certi odori.
A quasi due secoli e mezzo dalla sua lettera, Franklin oggi sarebbe probabilmente sorpreso nello scoprire che la causa precisa di quell’odore che trovava così sgradevole – a differenza per esempio di Franco Battiato, che disse in una sua canzone di apprezzarlo – è ancora oggi un mistero. Che siano gli asparagi la causa non sfugge praticamente a nessuno vada in bagno qualche tempo dopo averli mangiati, ma non è ancora completamente chiaro quali siano le sostanze e i processi digestivi coinvolti nel nostro organismo.
Esistono numerose varietà dell’asparago comune (Asparagus officinalis), utilizzate per lo più a scopo alimentare. La produzione raggiunge il picco tra la seconda metà di marzo e il mese di giugno, quando la pianta cresce e fuori dalla terra iniziano a svilupparsi i “turioni”, cioè i getti che vengono raccolti per essere poi consumati. Le varietà di asparago hanno pressoché la medesima composizione chimica e per questo si fanno sentire allo stesso modo nelle urine, con un odore caratteristico e pungente che alcuni trovano insopportabile e verso il quale altri sono del tutto indifferenti.
Tra le prime sostanze sospettate di concorrere alla pipì da asparago ci fu il metantiolo, un composto che i chimici conoscono bene perché ha un odore tremendo simile a quello del cavolo marcio. Nel 1956 un gruppo di ricerca aveva riscontrato la sua presenza nelle urine della maggior parte dei volontari cui aveva chiesto di mangiare asparagi, anche se misteriosamente la sostanza non era presente nei campioni di alcuni partecipanti. La sola presenza del metantiolo non era però sufficiente per spiegare il fenomeno, anche perché un conto sono i composti presenti in un liquido, un altro il modo in cui da questo si producono composti volatili che determinano poi un odore.
Grazie allo sviluppo di sistemi per analizzare le sostanze volatili, verso la fine degli anni Ottanta fu possibile confermare la presenza di almeno sei composti probabilmente responsabili del caratteristico odore della pipì dopo una mangiata di asparagi. Al metantiolo si erano infatti aggiunti il dimetil solfuro e il disolfuro di metile, il 2,4-ditiapentano, il dimetilsolfossido e il dimetilsolfone. La maggior parte di questi comprendono lo zolfo, elemento che quando si lega con l’idrogeno porta al caratteristico odore di uova marce (lo zolfo in sé è inodore).
Per quanto odorosi, questi composti sono piuttosto delicati e difficilmente resisterebbero alla cottura degli asparagi, quindi secondo vari gruppi di ricerca emergono come il prodotto di un processo che avviene durante la digestione a partire da qualcosa di lievemente diverso. Si ritiene che quel qualcosa sia l’acido asparagusico, una sostanza non volatile che si trova unicamente negli asparagi. Quando viene digerito dal nostro organismo, entra in contatto con i succhi gastrici e gli altri prodotti della digestione portando a quei composti volatili e odorosi dai nomi complicati.
La produzione dell’odore avviene piuttosto rapidamente, tanto che spesso inizia a sentirsi nelle urine entro 15-30 minuti dall’ingestione dei primi asparagi. Ne basta inoltre una quantità molto ridotta perché si senta l’odore, proprio per le caratteristiche dei composti volatili che lo causano. Oltre a iniziare quasi subito, il fenomeno si protrae a lungo perché i composti che lo causano restano in circolazione nell’organismo per diverso tempo. È stato calcolato che abbiano un’emivita di circa quattro ore: significa che la loro concentrazione si dimezza in quel periodo (dopo quattro ore è metà, dopo altre quattro ore è metà della metà e così via, fino a quando la concentrazione diventa trascurabile).
C’è però una questione aggiuntiva che complica le cose: alcune persone dicono di non sentire nessun odore particolare quando fanno pipì dopo avere mangiato asparagi. Le stime variano a seconda degli studi, ma sembra che questa circostanza riguardi tra il 20 e il 40 per cento della popolazione (altre ricerche indicano percentuali ancora più alte). Non è però chiaro se con la digestione queste persone non producano le sostanze volatili odorose oppure se non abbiano la capacità di percepirle con l’olfatto.
Negli anni Ottanta la questione fu affrontata da un paio di ricerche scientifiche che portarono più o meno alla medesima conclusione. Secondo i test, tutti i partecipanti producevano urina dal caratteristico odore del dopo asparagi, ma non tutte le persone riuscivano poi a percepirlo. Le persone che sentivano l’odore erano in grado di notarlo anche nell’urina delle persone che dicevano di non sentirlo, apparentemente a conferma del fatto che si trattasse di un problema di percezione e non di produzione delle sostanze odorose.
Le conclusioni di quelle ricerche furono messe in dubbio alcuni anni dopo da nuovi studi che valutarono la possibilità che la questione non fosse solamente di percezione, ma anche di produzione. I test svolti in precedenza si erano infatti basati per lo più su test dove i volontari dovevano odorare la pipì prodotta dopo un pasto a base di asparagi e confrontarla con l’acqua o altre sostanze non odorose. In queste condizioni era probabile che alcune persone notassero un particolare odore dell’urina che però non c’entrava nulla con quello prodotto in seguito all’ingestione di asparagi.
Nel 2011 un gruppo di ricerca del Monell Chemical Senses Center di Philadelphia (Stati Uniti) elaborò un test più articolato per provare a superare i difetti degli esperimenti condotti in precedenza. A un gruppo di volontari fu chiesto di bere una bottiglia d’acqua e di mangiare asparagi, preparati saltandoli in padella con un poco di olio e sale. Dopo un paio d’ore a ogni volontario fu chiesto di fare pipì in un recipiente, e tutti i contenitori furono poi messi in un congelatore. Il giorno seguente allo stesso gruppo di volontari fu chiesto di bere una bottiglia d’acqua e di mangiare una pagnotta condita con la stessa quantità di olio e sale utilizzata in precedenza per la preparazione degli asparagi. Anche in questo caso furono attese due ore e fu poi chiesto ai volontari di raccogliere la loro urina.
Ottenuti i due campioni si passò alla parte meno gradevole dell’esperimento. A ogni volontario fu infatti chiesto di odorare la propria pipì e quella di altri partecipanti, per vedere chi e come riscontrasse un odore particolare riconducibile al consumo di asparagi. Alcuni partecipanti si sottrassero alla prova, dicendo di non sentirsela o di non riuscire a sopportare l’odore della loro stessa urina dopo avere consumato asparagi. Al netto delle rinunce, il gruppo di ricerca riuscì comunque a calcolare che il 6 per cento dei volontari non fosse in grado di percepire l’odore particolare della pipì del dopo asparagi e che l’8 per cento non producesse urina con il classico odore dovuto al consumo di quella verdura.
Dallo studio emerse inoltre che almeno una persona non era in grado né di produrre né di percepire il pungente odore di pipì post asparagi. Il gruppo di ricerca ipotizzò quindi che alcune persone non abbiano un particolare enzima coinvolto nel processo di digestione e trasformazione dell’acido asparagusico, ma a oggi non sono stati trovati molti elementi per confermarlo con certezza e l’ipotesi è ancora dibattuta.
La capacità di percepire o meno quel caratteristico odore dell’urina potrebbe essere legato a un gene, che però non sembra essere coinvolto nei processi digestivi che portano in primo luogo alla produzione del medesimo odore. Indizi sul gene furono forniti una quindicina di anni fa dalla società privata di analisi del DNA 23andMe, che condusse uno studio chiedendo a 10mila dei propri clienti se fossero o meno in grado di percepire il caratteristico effetto degli asparagi sulla pipì. In questo modo fu possibile identificare il probabile gene coinvolto nell’incapacità per alcune persone di percepire quell’odore.
Nel 2016 un gruppo di ricerca dell’Università di Harvard (Stati Uniti) condusse un sondaggio tra 7mila volontari chiedendo se fossero in grado di percepire il particolare odore della pipì dopo avere mangiato asparagi. Il 40 per cento circa disse di riuscirci senza problemi, mentre il restante 60 per cento diede risposte meno coerenti. Dalle analisi emerse che possono esserci quasi 900 mutazioni nel DNA che portano a versioni lievemente differenti di alcuni geni, coinvolti nel modo in cui vengono percepiti particolari odori. È però difficile stabilire con certezza quali mutazioni siano coinvolte più di altre nell’incapacità di percepire l’odore che assume l’urina dopo avere consumato asparagi.
Non tutti i ricercatori sono comunque convinti che sia una componente genetica a determinare la capacità di produrre o meno quell’odore. Le cause potrebbero derivare da molte altre variabili, a cominciare dal modo in cui ciascuno digerisce gli alimenti e dai microbi presenti nella flora intestinale, che a seconda dei casi possono portare alla digestione e alla scomposizione di alcune sostanze e non di altre. Qualcosa di simile avviene del resto con altri alimenti, come l’aglio, che si rivelano essere poi molto odorosi una volta ingeriti per alcune persone e per altre no.
Nel complesso gli studi condotti negli ultimi settant’anni hanno portato a conclusioni contrastanti segnalando l’esistenza di: persone che producono e percepiscono quel particolare odore nelle loro urine, persone che non producono quell’odore ma lo sentono nella pipì degli altri e persone che non riescono a percepirlo in assoluto. L’argomento ha una minore importanza rispetto a molte questioni di salute, la letteratura scientifica intorno non è molto ricca, ma è stato comunque preso molto più sul serio di quanto avesse ipotizzato Benjamin Franklin a fine Settecento.