Il movimento brasiliano che lotta per il diritto di rimanere a lavorare la terra
Da quarant'anni il Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra parla della necessità di fare una riforma agraria, usando metodi legali e illegali insieme e attirandosi l'ostilità di buona parte dei partiti brasiliani
di Viola Stefanello
In molti paesi, soprattutto occidentali, l’agricoltura nell’ultimo secolo è diventata un settore sempre più marginale e oggi sembra strano pensare alla necessità di ridistribuire le terre coltivabili come a una priorità politica. La stessa espressione “riforma agraria” rimanda a tempi passati: in Italia la legge che contribuì a trasformare molti braccianti in piccoli proprietari terrieri attraverso l’esproprio coatto risale al 1950. In altri paesi le cose stanno diversamente: per esempio in Brasile, nazione che ha ereditato una distribuzione delle terre estremamente diseguale dal proprio passato coloniale e non ci ha ancora fatto i conti, è difficile che passi una settimana senza che un grande quotidiano parli dell’argomento, in un modo o nell’altro.
Nonostante negli ultimi vent’anni vari leader politici che si sono succeduti alla presidenza del Brasile abbiano provato a dare priorità ad altri temi, la questione della riforma agraria è rimasta attuale. Tra chi ha continuato a occuparsene, e a costringere i governi brasiliani a farci i conti, c’è un gruppo di pressione che si chiama Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra (MST la sigla in portoghese), cioè Movimento dei lavoratori rurali senza terra, che ha una quarantina di anni di vita. Oggi è considerato il movimento sociale più grande del Sudamerica nonché uno dei movimenti di ispirazione marxista più grandi del mondo, e nel corso del tempo ha utilizzato metodi che sono stati considerati assai radicali, anche dai suoi stessi alleati politici.
Il Movimento fu fondato nel gennaio del 1984 e secondo varie stime oggi ne fanno parte almeno 2 milioni di persone. Nonostante i militanti siano relativamente pochi rispetto alla popolazione brasiliana nella sua interezza (l’1 per cento circa), negli ultimi quarant’anni è riuscito a mantenere un’importanza significativa a livello nazionale e a stare spesso al centro del dibattito.
In Europa è noto soprattutto nei circoli di sinistra più vicini per ragioni storiche o valoriali al movimento no-global, ma è difficile farlo rientrare in posizionamenti politici a noi familiari. Politicamente si oppone tra le altre cose al razzismo, al sessismo, all’omobitransfobia, alla marginalizzazione dei popoli indigeni e alla distribuzione ineguale del reddito. Al contempo, come spesso succede con la sinistra sudamericana, appoggia governi autoritari come quello venezuelano e quello cubano, sulla base di un forte anti-imperialismo e anti-americanismo: sostiene quindi che questi paesi non abbiano potuto realizzarsi del tutto perché marginalizzati e impoveriti da decenni di politica estera statunitense a loro ostile.
Dagli anni Ottanta, comunque, la sua attività principale è fare pressione sui governi brasiliani per cercare di ottenere una ridistribuzione graduale delle terre coltivabili in assenza di una corposa riforma agraria. La sua pratica è questa: individua i territori incolti o abbandonati, li occupa (di solito senza armi) e vi costruisce insediamenti (assentamentos) per permettere a decine o anche centinaia di famiglie di mantenersi e costruire progressivamente cooperative agricole incentrate sulla solidarietà tra produttori, che offrano un’alternativa al modello di produzione capitalistica.
Il Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra è nato per rispondere alla particolare situazione brasiliana in termini di gestione delle terre. Oggi poco meno della metà del territorio brasiliano è coperta dalla foresta amazzonica, mentre 4,22 milioni di chilometri quadrati sono terreni agricoli coltivabili appartenenti a pochi agroindustriali. Secondo il più recente censimento agricolo, risalente al 2017, il 53 per cento di tutti i terreni coltivabili del paese appartiene all’1,5 per cento dei proprietari terrieri più ricchi.
La grande industria agricola, il cosiddetto “agribusiness” (o agronegócio, in portoghese), controlla quindi una larghissima parte delle terre coltivabili del paese e le ha progressivamente trasformate in monocolture che producono materie prime da vendere alle grandi multinazionali del cibo, dei biocombustibili e delle manifatture. Caffè, canna da zucchero, mais e soprattutto soia, che richiede maggiori superfici ma minore manodopera e viene prodotta in massa per essere trasformata in mangime per il bestiame. Alcune di queste aziende sono brasiliane, molte altre no, anche perché nell’ultimo decennio i governi brasiliani hanno passato varie leggi per favorire gli investimenti stranieri.
L’agribusiness rappresenta il 21 per cento del prodotto interno lordo del Brasile ed è quindi responsabile dell’arricchimento di un pezzo del paese negli ultimi decenni. L’espansione di queste aziende ha però portato anche a una progressiva espulsione di piccoli proprietari e agricoltori dai terreni su cui lavoravano, e quasi sempre abitavano. Molti sono migrati verso le città, finendo spesso per rimanere disoccupati e senza una casa stabile: ci sono anche loro tra le 18 milioni di persone che oggi in Brasile vivono in condizioni di estrema povertà, guadagnando in media l’equivalente di poco più di un euro al giorno.
Anche per questo nella politica brasiliana si parla da molto tempo della necessità di una massiccia riforma agraria, ma finora non ci è riuscito nessun governo: sia per l’opposizione dei proprietari terrieri, che hanno una forte influenza politica, sia perché le richieste dell’agribusiness e quelle dei piccoli agricoltori non sembrano conciliabili. Nel frattempo il 20 per cento del territorio nazionale continua a non avere un chiaro titolare e tantissimi terreni, appartenenti sia agli stati che a grandi latifondisti, rimangono semplicemente incolti.
Le occupazioni di specifici terreni coltivabili da parte di contadini nullatenenti sostenuti dal Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra sono iniziate proprio in risposta all’immobilismo dei governi brasiliani. Si tratta di azioni illegali ed è capitato in più occasioni che avvenissero scontri tra gli assentados e la polizia, oppure con i gruppi armati pagati dai grandi proprietari terrieri.
Nonostante le occupazioni in sé siano illegali, la Costituzione brasiliana prevede uno strumento legale su cui il Movimento fa molta leva e che gli permette di regolarizzare molto spesso lo status dell’insediamento. Secondo la Costituzione, infatti, i terreni non produttivi o il cui utilizzo non risponde «a una funzione sociale» possono essere espropriati «ai fini della riforma agraria». La legge dice che la terra risponde a una funzione sociale se viene usata in modo «razionale e adeguato», preservando l’ambiente e facendo «un uso adeguato delle risorse naturale», rispettando le norme in materia di lavoro e senza ledere i diritti di proprietari e lavoratori.
Tra i terreni che secondo l’MST non rispondono a una funzione sociale, e quindi possono essere occupati ed essere usati «per attuare la riforma agraria», ci sono senza dubbio quelli incolti, in particolare quelli appartenenti allo stato. Talvolta, soprattutto tra gli anni Ottanta e i primi anni Duemila, è successo che l’MST abbia aiutato a occupare terreni appartenenti ad aziende che sfruttavano i lavoratori, che facevano ricorso al lavoro minorile o che producevano soia, eucalipto, canna da zucchero e altri prodotti non destinati al consumo alimentare.
Dopo un’occupazione, normalmente i tribunali sono chiamati a decidere se sfrattare gli assentados, costringendoli ad andarsene, o rigettare la richiesta del proprietario terriero e consentire alle famiglie di restare lì fino a quando l’agenzia federale responsabile della riforma agraria, l’Istituto Nazionale brasiliano per la Colonizzazione e la Riforma Agraria (INCRA), non decida se il terreno in questione risponde o meno a una funzione sociale. A oggi circa il 60 per cento di tutti gli assentamentos è stato regolarizzato e l’MST è in costante comunicazione con l’INCRA per identificare eventuali terreni pubblici che potrebbero essere usati «per fare la riforma agraria». In totale le famiglie associate all’MST che lavorano in terreni ottenuti con uno di questi metodi sono 370mila. Gli assentamentos non ancora regolarizzati sono invece circa 900.
Questi insediamenti producono in larga parte generi alimentari con metodi agrobiologici, ovvero che mettono al centro la diminuzione di fertilizzanti e pesticidi chimici, la riduzione dell’impatto ambientale della coltivazione e una maggiore produttività e variabilità delle colture. La grandezza di questi insediamenti è variabile, ma una delle priorità è quella di costruire ambulatori, scuole, strade e altri servizi necessari in modo da facilitare la vita degli assentados, gli abitanti di questi insediamenti, anche lontano dalla città.
Uno di questi territori si trova a Nova Santa Rita, a poco più di un’ora di macchina da Porto Alegre, nell’estremo sud del paese. È un terreno di circa duemila ettari, pieno di corsi d’acqua e bacini idrici che confluiscono poi nel fiume Gravataí, importante fonte idrica per le città della regione. Apparteneva in origine a un medico insolvente, e fu quindi pignorato dalle autorità del Rio Grande do Sul. Nel 1994 vi si insediarono cento famiglie con il beneplacito dell’INCRA e una clausola: che facessero solo agricoltura biologica, per non interferire con il delicato equilibrio ecologico della zona.
«All’inizio, le famiglie che sono arrivate qui non sapevano come coltivare il riso: erano abituate a piantare mais, soia e altre colture, ma questi terreni erano completamente diversi da quelli che conoscevano», racconta Indiane Witcel Rubenich, che è cresciuta nell’agrovillaggio e vi è tornata da adulta, dopo aver studiato Economia all’università. «L’assistenza tecnica dell’MST è stata fondamentale sia per capire come coltivare il riso in modo biologico sia per imparare a organizzare meglio la cooperativa».
Di queste cento famiglie, venti hanno deciso di mettere in comune gli ettari a loro disposizione e hanno creato un “agrovillaggio” gestito attraverso una cooperativa: una delle tensioni principali all’interno degli assentamentos è quella tra le tendenze individualistiche delle singole famiglie e i valori comunitari e solidaristici incoraggiati dal movimento. La cooperativa si chiama Coopan e produce soprattutto riso biologico, ma possiede anche dei frutteti, degli orti e qualche centinaio di maiali e mucche. Una larga parte del riso che produce – tra il 60 e il 70 per cento a seconda dell’annata – rifornisce le mense delle scuole pubbliche del Rio Grande do Sul grazie a una legge nazionale che indica che la maggior parte del cibo servito nelle scuole debba essere prodotto in modo biologico. Leggi come questa sono considerate molto importanti dal movimento perché il riso prodotto negli assentamentos è tendenzialmente più costoso di quello prodotto con metodi industriali.
Negli ultimi trent’anni il ruolo del movimento è molto cresciuto. I suoi militanti non si limitano più a fare pressione sul governo, ad aiutare le famiglie prive di terreni propri a identificare quelli che possono potenzialmente essere occupati o a facilitare la distribuzione dei prodotti provenienti dagli assentamentos. Mettono anche a disposizione conoscenze tecniche specializzate, molto utili per avviare aziende agricole moderne, tecnologicamente avanzate e attente all’ambiente.
Del movimento non fanno quindi parte solo le persone che vivono e lavorano nei campi, ma anche migliaia di militanti che portano avanti tantissime attività diverse: molti di loro vivono nelle strutture appartenenti al movimento e guadagnano una “indennità di sussistenza” per il lavoro che fanno. I fondi e le strutture vengono forniti soprattutto dalle cooperative che partecipano al movimento o da membri che possiedono spazi e li mettono a disposizione della comunità.
I progetti educativi si rivolgono soprattutto ai giovani e agli adulti dei propri assentamentos, ma non solo: da anni esistono “brigate internazionali” di militanti pagati dall’MST che lavorano in paesi come lo Zambia, Cuba, il Venezuela e, quando possibile, la Palestina. In Venezuela e ad Haiti per esempio, molti agricoltori sono interessati agli aspetti tecnici della produzione agrobiologica; lo Zambia richiede progetti di alfabetizzazione della popolazione rurale.
Al contempo, a livello nazionale il movimento sta portando avanti da qualche anno un percorso parallelo di educazione su questioni relative alla violenza di genere e ai diritti delle persone LGBTQ+, riconoscendo che molte delle persone più anziane che fanno parte dell’MST da decenni non hanno mai fatto grosse riflessioni al riguardo. «Non possiamo dimenticare nessuno nella traiettoria della lotta di classe, e bisogna avere l’opportunità di comunicarlo a una parte del movimento con una certa pazienza», spiega Maurício Roman, che entrò nell’MST alla fine degli anni Novanta come assentado e oggi è uno dei membri della direzione nazionale. «Non possiamo ignorare che all’interno delle nostre comunità ci sono persone omosessuali o trans. Non possiamo accettare che le donne vengano trattate come se fossimo ancora nel Diciannovesimo secolo».
«Ci siamo resi subito conto che la sola conquista del territorio non era sufficiente: era necessario organizzare la produzione e la vita sociale dell’insediamento», aggiunge Miguel Stédile, figlio di uno dei fondatori del movimento, João Pedro Stédile. Stédile dirige da anni l’istituto Josué de Castro, istituto tecnico gestionale che forma ogni anno circa 120 persone. «I primi leader e militanti del movimento erano contadini poco scolarizzati», ricorda. «Immaginate un contadino che ha finito giusto le elementari, o anche analfabeta, che deve gestire una cooperativa, il rapporto con il mercato e con la burocrazia».
L’istituto, che si trova all’interno del più grande insediamento dell’MST nel sud del Brasile, offre un sistema di alternanza per permettere agli studenti di mettere in pratica quello che imparano: molti studiano lì per tre mesi, dormendo e mangiando gratuitamente sul campus della scuola, e poi tornano nei campi per altri tre mesi. La sera si tengono invece regolarmente corsi per assentados adulti e anziani che vogliono imparare a leggere e a scrivere. Sui muri della sua biblioteca ci sono poster colorati che inneggiano al «diritto alla letteratura» nelle scuole degli insediamenti.
«Nella mia esperienza, la maggior parte dei nostri studenti vuole rimanere a vivere in campagna, nel proprio insediamento. Ma molti giovani sentono di dover andare in città perché in campagna non c’è possibilità di formazione continua, non c’è accesso all’assistenza sanitaria, non c’è molto da fare nel tempo libero, e spesso non c’è neanche lavoro. Cooperative come Coopan, che garantiscono decine di posti di lavoro pur senza appartenere a grossi gruppi industriali, danno un esempio di ciò che la vita di campagna potrebbe essere», dice Stédile.
L’opinione pubblica del Brasile è estremamente polarizzata sulle attività dell’MST. Anche i politici di centrosinistra, come l’attuale presidente Luiz Inácio Lula da Silva, hanno un rapporto ambivalente con il movimento, che da una parte è visto come un grosso e affidabile bacino elettorale, dall’altra è considerato spesso troppo radicale nelle sue richieste e nei suoi metodi. Messi di fronte alla richiesta di attuare la riforma agraria, sia Lula che Dilma Rousseff, che gli era succeduta nel 2010, hanno privilegiato la crescita economica trainata in buona parte anche dall’agribusiness durante le proprie presidenze, con l’idea che la creazione di posti di lavoro in altri settori avrebbe assorbito i lavoratori rurali disoccupati.
Tra le persone conservatrici, o anche solo centriste, non è raro sentir parlare dei militanti dell’MST come ladri o pericolosi criminali impegnati a occupare proprietà altrui. Questa posizione si è consolidata nel tempo un po’ per via del modo molto negativo in cui il movimento viene da sempre raccontato su buona parte dei media brasiliani, e in parte perché l’MST ha storicamente adottato tattiche radicali, bloccando autostrade e occupando oltre alle terre incolte anche edifici pubblici, tra cui la sede centrale del ministero dello Sviluppo agrario a Brasilia.
Molti imprenditori riconoscono che l’impatto delle occupazioni sui loro profitti è minimo, ma si oppongono alle azioni dell’MST perché ritengono che sia più importante far valere i diritti di proprietà. Kim Kataguiri, parlamentare di centrodestra che si è più volte pronunciato sulla questione, si è per esempio detto preoccupato del fatto che le occupazioni «creino insicurezza sui diritti di proprietà, causando un aumento dei rischi d’impresa e quindi dei costi dell’assicurazione e del credito». Altri ritengono semplicemente che sostenere l’agribusiness e l’urbanizzazione permetta al paese di crescere economicamente, e considerano quindi le lotte dell’MST arretrate, se non dannose per lo sviluppo del Brasile.
Il fatto che l’MST si caratterizzi abbastanza esplicitamente come neomarxista, seppur con molte influenze cattoliche, attira poi l’ostilità dei brasiliani di estrema destra. A partire dall’ex presidente Jair Bolsonaro, che ha fortemente osteggiato i processi di ridistribuzione della terra, ha ridotto i sussidi alle piccole aziende agricole a conduzione familiare e ha cercato di far chiudere varie scuole gestite dal movimento. A gennaio la Commissione di pubblica sicurezza della Camera dei deputati brasiliana, controllata in larga parte dai partiti che sostengono Bolsonaro, ha approvato una legge che inserisce l’MST nella lista di gruppi terroristici attivi nel paese.
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Sin dalla sua nascita l’MST è stato represso con la violenza sia dalle forze dell’ordine che dalle milizie private pagate all’agribusiness. Soltanto tra il 1984 e il 2019 sono stati uccisi 1589 militanti. Il movimento ricorda ancora con particolare intensità il massacro di Eldorado do Carajàs, una località dello stato del Parà in cui nel 1996 diciannove militanti furono uccisi a colpi d’arma da fuoco dalla polizia mentre bloccavano una strada statale. Altre 69 persone furono ferite negli scontri. Secondo il movimento, da quando Bolsonaro ha allentato le leggi sul porto d’armi nel 2019 la violenza contro i propri militanti – e in generale contro chi si oppone agli interessi dell’agribusiness – è aumentata. Lo scorso novembre, per esempio, sono stati uccisi tre militanti nell’arco di una settimana.
Secondo Vanessa Aguiar Borges, esponente del Movimento che lavora da anni nel settore che si occupa della formazione internazionale, la reputazione dell’MST tra gli abitanti delle città sarebbe migliorata negli ultimi anni soprattutto per l’impegno nella produzione di cibo salutare e sostenibile. Tra il 2021 e il 2022 le famiglie e le aziende legate all’MST hanno prodotto 15mila tonnellate di riso biologico, e da anni il Movimento è il più grande produttore di questo alimento non solo in Brasile, ma nell’intero Sudamerica.
«Molte persone partecipano alle fiere indossando i cappellini del movimento perché vogliono che gli altri riconoscano che fanno parte dell’MST, che non sono degli agricoltori qualsiasi ma che vivono e producono cibo in un assentamento», dice Aguiar Borges. «Altri mettono la bandiera del movimento sull’imballaggio del cibo che vendono, come il riso o il caffè. Questo aiuta già a contrastare l’idea diffusa secondo cui saremmo dei parassiti che non producono granché, e permette alle persone di entrare direttamente in contatto con noi. E poi stiamo sui social network, anche se non è esattamente uno spazio che riconosciamo come nostro. Apriamo i nostri spazi, organizziamo visite negli insediamenti per far conoscere la nostra esperienza. Perché più persone ci conoscono, più persone ci difenderanno quando sentiranno menzogne o attacchi nei nostri confronti».
Ciononostante negli ultimi anni i militanti più attivi hanno cominciato a notare un progressivo allontanamento e scoraggiamento delle persone più giovani cresciute nel contesto dell’MST. Aguiar Borges ritiene che questo sia dovuto in larga parte al fatto che da quasi un decennio i sussidi e gli investimenti statali nell’agricoltura familiare sono stati ridotti, portando a un impoverimento di molte famiglie che vivono negli assentamentos. «Così i giovani nascono in zone impoverite, e vengono attratti dall’idea che sia necessario trasferirsi in città per avere successo e felicità nella vita. Come se cambiasse qualcosa stare più vicino a un cinema se poi non hai nemmeno i soldi per comprarti da mangiare», dice.
Secondo lei, una delle difficoltà principali che deve affrontare oggi il Movimento è continuare a mostrare che la campagna può essere un posto in cui vale la pena vivere quanto la città. «Vogliamo davvero ridurre al minimo il lavoro più duro grazie alla tecnologia e alla cooperazione», dice. «Quando i primi assentados si sono stabiliti in questa regione il loro unico obiettivo era poter vivere di agricoltura, smettere di vivere in situazioni di sfruttamento ed esclusione sociale. Oggi ci interroghiamo molto di più sul tipo di vita che rendiamo possibile nelle campagne, e anche sul tipo di produzione a cui ci dedichiamo. Facciamo grandi discussioni interne sulla contaminazione del suolo, lo sfruttamento dell’ambiente, la necessità di produrre cibo sano, di piantare alberi e cercare fonti d’energia alternative. Tenendo sempre a mente che alle persone serve una fonte di reddito».