Le nomine degli ambasciatori di Giorgia Meloni sono state un po’ strane
L'ultima è stata quella di Elisabetta Belloni, già a capo dei servizi segreti e ora anche responsabile della diplomazia in vista del G7: il ministro degli Esteri Antonio Tajani non era molto d'accordo
In questi primi mesi del 2024 ci sono stati dei contrasti tra i collaboratori della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e quelli del ministro degli Esteri Antonio Tajani intorno alla nomine e all’assegnazione di incarichi di alcuni diplomatici. Questo genere di tensioni non sono nuove, in questo campo: la volontà politica che sta alla base di queste nomine, espressa dal capo del governo, confligge spesso con gli indirizzi che vorrebbero seguire le strutture del ministero degli Esteri, che sono formalmente responsabili delle scelte che riguardano le carriere dei diplomatici. Che ci siano dei conflitti non è insomma una novità di per sé eclatante, ma in questi mesi le decisioni di Meloni su questa materia sono state abbastanza inusuali e clamorose per vari motivi.
L’ultima, annunciata venerdì 8 marzo, riguarda la sostituzione dello sherpa per il G7 e il G20, cioè i due più importanti forum internazionali a cui l’Italia partecipa. Il cosiddetto sherpa svolge un ruolo molto importante. È il diplomatico responsabile della preparazione degli incontri tra il presidente del Consiglio e gli altri capi di stato e di governo: prende preventivamente contatti con lo staff degli altri leader per organizzare al meglio gli incontri, suggerisce quali argomenti trattare e quali evitare, e il modo e il tono con cui farlo, e si dà da fare per capire come si può agire a livello diplomatico per portare avanti una certa iniziativa che sta a cuore al proprio presidente del Consiglio, prepara i fascicoli in cui indica quali saranno le persone che prenderanno parte alla riunione. Insomma, indirizza l’azione diplomatica del capo del governo e in un certo senso prepara il suo “cammino” un po’ come fanno i veri sherpa, cioè le guide nepalesi che accompagnano gli scalatori nelle loro escursioni sull’Everest e sugli altri monti himalayani.
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Quest’anno, poi, il lavoro dello sherpa italiano è particolarmente delicato, perché l’Italia detiene la presidenza di turno del G7, cioè del gruppo dei sette più influenti paesi occidentali, e dunque ospita sul proprio territorio le decine di riunioni tra i più importanti rappresentanti del governo e delle istituzioni di Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Francia, Germania, Giappone.
A capo della struttura diplomatica che assiste il presidente del Consiglio c’era Luca Ferrari, un ambasciatore di grande esperienza che aveva lavorato in varie capitali estere (da Washington a Madrid, da Riad a Pechino) prima di essere nominato sherpa da Meloni nel novembre del 2022, subito dopo la vittoria delle elezioni da parte della destra e la nascita del governo. Il motivo per cui la scelta di cambiare è considerata clamorosa ha a che vedere proprio coi tempi. Ferrari lavorava da molto tempo a questo compito, ed è stato rimosso a inizio marzo nell’anno in cui l’Italia detiene la presidenza di turno, dunque nel momento più concitato e gravoso per uno sherpa.
La decisione è stata abbastanza sorprendente anche per i modi. Nessun indizio aveva lasciato pensare a una sostituzione imminente. Ferrari aveva anzi presieduto – su mandato di Meloni – una riunione coi giornalisti che seguono la presidente del Consiglio il 20 febbraio scorso, alla vigilia del viaggio di Meloni a Kiev, in Ucraina, per incontrare il presidente Volodymyr Zelensky nel secondo anniversario dall’inizio dell’invasione russa e inaugurare formalmente la presidenza italiana del G7. Ferrari aveva spiegato gli obiettivi che l’Italia si prefiggeva con quella riunione e aveva anche commentato a titolo personale la morte del dissidente russo Alexei Navalny, dicendo che a prescindere dalle cause esatte del decesso si trattava di «un segno di debolezza del regime».
Ferrari aveva poi accompagnato Meloni nel suo viaggio a Washington e a Toronto, il primo e il 2 marzo, partecipando agli incontri della presidente del Consiglio con il presidente statunitense Joe Biden e con il primo ministro canadese Justin Trudeau. Secondo indiscrezioni poi diffuse da esponenti di governo, ma mai confermate dallo staff della presidente del Consiglio, è stato proprio durante quel viaggio che ci sarebbero state delle incomprensioni tra Meloni e Ferrari.
In ogni caso, la scelta di sostituire Ferrari è stata comunicata da Meloni a Tajani in via informale nei giorni seguenti. Non è stato un vero consulto: la presidente del Consiglio ha spiegato le ragioni della sua scelta presentandola già come irrevocabile. E a quel punto Ferrari è stato trasferito a Tel Aviv, in Israele, dove sarà responsabile dell’ambasciata italiana. Tra i consiglieri di Tajani la notizia non è stata accolta con favore. Ferrari gode di una certa stima da parte del segretario generale della Farnesina, Riccardo Guariglia, e i tempi e modi della scelta hanno contribuito ad alimentare perplessità e scetticismo tra i diplomatici.
Ma la decisione di Meloni è risultata notevole anche per un altro motivo. Per sostituire Ferrari è stata scelta infatti Elisabetta Belloni, ambasciatrice di lunghissimo corso e di grande esperienza, che ha lavorato con vari governi e gode di stima trasversale da destra a sinistra. Ma Belloni è anche la direttrice generale del DIS, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, cioè l’organismo che coordina tutte le attività di intelligence dei servizi segreti. È stata nominata alla guida del DIS nel maggio del 2021 dal presidente del Consiglio Mario Draghi: il suo mandato scadrà nel 2025 e può essere poi rinnovato per altri quattro anni.
La nomina di Belloni a sherpa sembrava preludere a un suo possibile avvicendamento anticipato alla guida del DIS. Ma nel comunicato diffuso da Palazzo Chigi lo scorso 8 marzo è stato specificato che Belloni «sarà nominata come Sherpa G7/G20 del presidente del Consiglio, permanendo nell’attuale incarico di capo del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza».
Questa scelta tra i diplomatici della Farnesina ha suscitato qualche dubbio: Belloni dovrà svolgere contemporaneamente due incarichi delicatissimi, quello di responsabile dei servizi segreti e quello di capa della diplomazia della presidente del Consiglio nei lavori preparatori del G7, che nei prossimi mesi entreranno nella fase più concitata. Tra il 13 e il 15 giugno, infatti, è in programma un incontro dei capi di stato e di governo a Borgo Egnazia, in provincia di Brindisi.
Non è la prima volta che Belloni viene coinvolta in polemiche politiche. Nel gennaio del 2022, durante le votazioni per la scelta del presidente della Repubblica, Giuseppe Conte del Movimento 5 Stelle e Matteo Salvini della Lega, dopo giorni di stallo, la proposero come candidata condivisa per il Quirinale, col parere favorevole di Meloni che allora era la leader dell’opposizione. Sarebbe stato un fatto notevolissimo: mai nessun dirigente dei servizi segreti in carica, in Italia, in Europa e in generale nell’Occidente, era stato eletto a cariche apicali dello Stato. Alla fine, quando tutto sembrava fatto, la sua candidatura venne ritirata.
La nomina di Belloni a sherpa G7/G20 in sostituzione di Ferrari mette così fine alla lunga ristrutturazione dell’ufficio diplomatico che a Palazzo Chigi assiste Meloni, avviata dopo la figuraccia internazionale causata dallo scherzo telefonico dei due comici russi Vovan & Lexus ai danni della presidente del Consiglio. L’allora consigliere diplomatico Francesco Maria Talò, ritenuto responsabile, venne rimosso e sostituito da Fabrizio Saggio.
Non è comunque il primo caso in cui nomine decise da Meloni in ambito diplomatico generano fastidi al ministero degli Esteri. A gennaio, infatti, il governo aveva promosso dieci diplomatici al ruolo di ambasciatore di grado, il livello gerarchico più alto a cui si possa aspirare. Non possono essercene più di 25 in servizio contemporaneamente, e per autorizzare le nomine c’è bisogno di una deliberazione specifica da parte del Consiglio dei ministri. Spesso si fa un po’ di confusione tra il ruolo e il grado: si può essere ambasciatore in una capitale estera, cioè capo dell’ambasciata italiana in quella città, senza essere ambasciatore di grado; viceversa, gli ambasciatori di grado possono anche svolgere ruolo di funzionari in patria.
Tajani, che come ministro degli Esteri ha la responsabilità di proporre le nomine, nel Consiglio dei ministri del 25 gennaio presentò dieci nomi. Come sempre accade, però, una grossa influenza su quelle scelte viene esercitata dal presidente del Consiglio: e in questo caso, accanto ad alcune proposte a cui Tajani teneva molto – come Giuseppe Manzo, il consigliere diplomatico del ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, di Forza Italia come Tajani – dovette però accettare di proporre dei nomi su cui aveva invece delle riserve, come Giovanni Pugliese e soprattutto Mario Vattani.
Vattani è un diplomatico di lungo corso, ambasciatore a Singapore e capo della missione dell’Italia all’EXPO di Osaka, in Giappone. Ex militante dell’estrema destra romana, nel 2011 si scoprì che mentre era console a Osaka si esibiva pubblicamente col suo gruppo musicale Sottofasciasemplice, le cui canzoni avevano dei chiari richiami all’ideologia neofascista. Subì un procedimento disciplinare dal ministero degli Esteri, che lo richiamò in Italia sospendendo il suo mandato in Giappone.
Poi la sua carriera proseguì regolarmente, e Vattani ottenne nuovi incarichi e promozioni anche da governi di cui facevano parte il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle. La sua nomina ha generato polemiche in parlamento, anche per via del fatto che Vattani era stato candidato alle ultime elezioni politiche nel 2022 dal partito La Destra di Francesco Storace.
Per tutte queste ragioni, al ministero degli Esteri avrebbero voluto evitare questa nomina, e tra i consiglieri di Tajani c’era chi aveva ipotizzato una soluzione di compromesso: cioè indicare Vattani come ambasciatore (nel senso di capo dell’ambasciata) a Tokyo, così da dare maggiore consistenza al suo curriculum e giustificare una sua promozione dal grado di ministro plenipotenziario a quello di ambasciatore. L’ipotesi però è stata scartata dai collaboratori di Meloni, che hanno insistito per la nomina immediata di Mario Vattani. Tra le altre cose Mario Vattani è figlio di Umberto Vattani, ambasciatore a sua volta di grande esperienza, già potente segretario generale della Farnesina tra il 1997 e il 2005 e tuttora uno dei più ascoltati consiglieri dei collaboratori di Meloni sulle questioni internazionali.
Nella stessa tornata di nomine ha generato un certo stupore tra i funzionari della Farnesina il fatto che non sia invece arrivata una promozione che si considerava molto probabile, se non scontata, e cioè quella di Vincenzo Celeste, che dal marzo del 2023 è il rappresentante permanente dell’Italia presso l’Unione Europea, cioè il capo della struttura diplomatica a Bruxelles.