La Francia vuole tassare i capi di fast fashion
L'Assemblea nazionale ha approvato una proposta di legge che propone di introdurre una tassa su vestiti e accessori a basso costo venduti nel paese, per ridurne l'impatto ambientale e sociale
Giovedì l’Assemblea nazionale francese ha approvato una proposta di legge che prevede l’imposizione di un sovrapprezzo ai venditori di fast fashion, cioè di «produzione tessile a basso costo, spesso remota e delocalizzata», che vendono i loro capi nel paese. Lo scopo è disincentivare la vendita e l’acquisto di abiti a basso costo e con un alto impatto sull’ambiente e sulle condizioni di vita dei lavoratori.
Il sovrapprezzo crescerà progressivamente e potrà arrivare fino a 10 euro per singolo capo di abbigliamento entro il 2030, sul modello della tassa che è già stata applicata in Francia alle automobili più inquinanti. La proposta di legge (numero 2129) era stata presentata a fine febbraio dalla parlamentare Anne-Cécile Violland, che fa parte del partito di centro destra Horizons et apparentés (Orizzonti e prospettive), e ha ricevuto il sostegno del governo. Ora, dopo l’approvazione dell’Assemblea, dovrà passare in Senato.
Il disegno di legge si compone di tre articoli. Il primo prevede che, in tutti gli ecommerce che vendono vestiti e accessori di fast fashion, accanto al prezzo, vengano inseriti dei messaggi che incoraggino al riuso e alla riparazione e diano informazioni sul loro impatto ambientale. Il secondo articolo introduce la tassa, che si basa sul principio di EPR, cioè responsabilità estesa del produttore (ovvero che il produttore sia responsabile di tutto il ciclo di vita del prodotto, dalle materie prime usate al suo smaltimento). L’articolo stabilisce quindi che le tasse imposte su abiti e accessori dipendano anche dall’impatto ambientale, dalle emissioni di carbonio della loro produzione e dal fatto che siano o meno fast fashion.
Il terzo articolo limita invece la pubblicità che incoraggia l’acquisto di abiti e accessori prodotti da marchi di fast fashion. In Francia c’è già la legge “clima e resilienza”, che dal 2021 si occupa di regolamentare la promozione di combustibili fossili.
Uno dei marchi citati nella proposta di legge è Shein, il marchio cinese di vestiti e accessori a basso costo i cui prodotti saranno quasi certamente tassati. Nel testo si legge infatti che Shein registra in media più di 7.200 nuovi modelli di abbigliamento al giorno e mette a disposizione dei consumatori più di 470.000 prodotti diversi. L’azienda «offre un numero di prodotti 900 volte superiore a quello di un rivenditore tradizionale francese». Tra gli altri marchi di fast fashion, i più conosciuti sono Zara, che fa parte di Inditex, la multinazionale spagnola che controlla anche Bershka e Stradivarius, e H&M.
Nel testo inoltre si spiega che gli introiti generati da queste sanzioni verranno utilizzati per gestire la raccolta, lo smistamento e il trattamento dei rifiuti tessili, ma anche per erogare dei bonus alle aziende che scelgono di produrre i capi partendo da principi di circolarità, per sostenere la ricerca e lo sviluppo, aumentare il bonus di riparazione (cioè un rimborso ogni volta che si sceglie di far rammendare un proprio indumento in una sartoria o calzoleria invece di buttarlo via) e le risorse dedicate al riutilizzo, e finanziare campagne pubbliche sull’impatto ambientale e sulla prevenzione dei rifiuti del settore.