L’Amarone regge sempre meno l’alcol
Nel senso che il mercato chiede vini più leggeri, mentre il celebre vino rosso veneto è tipicamente piuttosto alcolico: il consorzio dei produttori sta valutando di cambiare le regole di produzione
Da sempre l’Amarone della Valpolicella, un vino rosso prodotto in 19 comuni della provincia di Verona, è noto per essere piuttosto alcolico. Una delle regole per produrlo, infatti, è che il vino abbia un tasso alcolico di almeno 14 gradi, ma molti produttori superano di molto questo limite arrivando fino a oltre 16 gradi. Questa caratteristica, tuttavia, non li sta aiutando a venderlo all’estero: soprattutto negli Stati Uniti, uno dei paesi che compra più vino dall’Italia, il mercato chiede vini meno alcolici, in gergo si dice più “leggeri”. Questa esigenza sta quindi spingendo il consorzio dei produttori dell’Amarone a cambiare le regole di produzione: l’obiettivo principale è proprio ridurre il tasso alcolico.
L’Amarone viene prodotto in Valpolicella, nella fascia pedemontana dal lago di Garda fino quasi al confine con la provincia di Vicenza. Ci sono molte versioni sulla sua origine: secondo quella più accreditata, è nato intorno al 1936 dalla dimenticanza di una botte di Recioto, un altro vino prodotto in Valpolicella, all’interno di una cantina sociale della zona. Sia per il Recioto che per l’Amarone le uve vengono fatte appassire sulle arele, tradizionali graticci di bambù, ma nel primo la fermentazione viene arrestata, rendendolo più dolce grazie agli zuccheri che non si trasformano completamente in alcol. Nell’Amarone la fermentazione avviene completamente, e il risultato è un vino pregiato, uno dei più indicati per essere invecchiati: può essere custodito in cantina per oltre vent’anni.
Il gusto dei consumatori però non sempre asseconda vini con queste caratteristiche. I dati delle vendite lo dimostrano: secondo le elaborazioni dell’Osservatorio dell’Unione italiana vini, nel 2023 è stato esportato il 12 per cento in meno di ettolitri di Amarone rispetto all’anno precedente. Bisogna considerare però che il 2022 era stato un anno particolarmente positivo perché seguiva il periodo della pandemia, quando il commercio con l’estero era molto diminuito. Le cifre registrate nel 2023 sono più vicine a quelle del periodo pre-pandemia, con un aumento dell’uno per cento rispetto al 2019.
Per il Consorzio tutela vini Valpolicella la riduzione delle vendite all’estero, soprattutto negli Stati Uniti, dipenderebbe dal fatto che l’Amarone ha una gradazione alcolica troppo alta, tra i 15 e i 16 gradi, e le persone tendono a preferire vini più leggeri.
A vendere di meno però non è solo l’Amarone: in generale, tutti i vini rossi stanno registrando un calo: «I palati di tutto il mondo stanno progressivamente spostando le proprie preferenze verso tipologie di alcolici diverse dal vino», ha scritto in un comunicato il Consorzio dei vini della Valpolicella. Una soluzione, anche a giudicare dai dati di vendita in mercati molto importanti come quello degli Stati Uniti, potrebbe essere quella di puntare su quelli che vengono chiamati “fine wines”, ovvero i vini più ricercati e costosi, e meno sui vini “da supermercato”. I secondi hanno avuto un calo delle esportazioni del 9 per cento verso gli Stati Uniti, mentre sono aumentate del 2 per cento quelle di bottiglie con un prezzo superiore ai 25 euro.
Secondo Andrea Lonardi, vicepresidente del Consorzio, storicamente la grande fortuna dell’Amarone è dipesa dalla sua capacità di rispondere a una domanda di mercato: fino a qualche anno fa infatti i consumatori volevano un vino «morbido, caldo e piacevole». Questo ha fatto sì che la produzione e le esportazioni crescessero molto. Tuttavia, per Lonardi, i produttori hanno «ecceduto con l’appassimento e con la necessità di rincorrere uno stile» che era molto richiesto. Oggi i gusti sembrano essere cambiati e anche la produzione deve evolversi. Per farlo è necessario capire chi sono i consumatori, e di conseguenza fare anche un cambio di stile.
Cambiare stile però quando si parla di vino non è così semplice, soprattutto se si tratta di un vino con una lunga tradizione come l’Amarone. A regolare la produzione di un vino che possa essere riconosciuto come Amarone c’è infatti un disciplinare (il primo è stato scritto cinquant’anni fa) che prevede che le uve utilizzate garantiscano una percentuale alcolica del 14 per cento. Per rendere il vino meno alcolico, il consorzio ha quindi proposto di cambiare alcuni processi di produzione, in particolare agendo sui grappoli sia in vigna, proteggendoli dal clima sempre più caldo, sia nei luoghi dove vengono conservati.
Da settimane i produttori di Amarone discutono di queste modifiche. Molti sono d’accordo, altri sostengono che si possa rendere il vino più commercializzabile senza modificare le regole. Il gruppo giovani produttori del Consorzio della Valpolicella, per esempio, sostiene che già ora si potrebbe produrre un vino più leggero perché negli ultimi anni la maggior parte delle aziende ha messo in commercio un Amarone più alcolico dei 14 gradi richiesti. «Il disciplinare consente già oggi di proporre Amarone con grado alcolico del 14 per cento e quindi personalmente non vedo la necessità di scendere sotto questo limite», ha detto Sofia Bustaggi dell’azienda Corte Figaretto in un’intervista a Italia a Tavola. «La modifica di un disciplinare è cosa delicata».