Breve storia della techno berlinese
È la musica su cui la capitale tedesca ha costruito una parte consistente della propria popolarità tra i giovani dopo la caduta del muro, ed è stata inserita nella lista dei patrimoni culturali immateriali tedeschi
Mercoledì il registro tedesco dei “patrimoni culturali immateriali” ha inserito sei nuove tradizioni nazionali nella propria lista. Tra queste c’è anche un fenomeno musicale e sociale che caratterizza la vita notturna di Berlino da più di trent’anni, ossia la cosiddetta techno berlinese.
Il termine indica un sottogenere della musica dance che iniziò a diffondersi nella capitale tedesca verso la fine degli anni Ottanta, e in particolare dopo la caduta del muro, quando veniva suonato in modo clandestino in luoghi come fabbriche e grandi magazzini abbandonati, attirando migliaia di giovani da tutto il mondo. Le origini del nome non sono chiare: secondo alcuni viene definita “techno” perché composta interamente con strumenti elettronici, e quindi in un certo senso “tecnologici”, soprattutto in un’epoca in cui la musica era ancora in larga parte suonata con strumenti tradizionali. Un’altra teoria sostiene che il nome potrebbe derivare dal titolo di una delle prime canzoni associate a questo genere, Techno City (1984) dei Cybotron. L’interesse per il futuro e la tecnologia era presente anche nei titoli di molte canzoni delle origini, che spesso facevano riferimento a temi come la fantascienza, la cibernetica e lo spazio.
Da più di tre decenni attorno a questa musica si è sviluppata una scena culturale molto vivace e partecipata, portata avanti da decine di club di fama internazionale come il Tresor, il Griessmühle e il Berghain. Per questi motivi Berlino è definita dagli appassionati del genere la capitale europea della techno, e più in generale una delle città che hanno contribuito maggiormente alla popolarizzazione di questo tipo di musica.
A Berlino la techno ha anche un significato simbolico importante: è stata definita da diversi critici musicali come la colonna sonora che fece da sottofondo all’unificazione della città, dato che si diffuse nel periodo storico immediatamente successivo alla fine della Guerra fredda.
Anche se Berlino è probabilmente la città maggiormente associata alla techno, la paternità di questa musica è generalmente attribuita a Detroit, città dello stato americano del Michigan in cui, verso la metà degli anni Ottanta, un gruppo di musicisti interessati al synth-pop d’avanguardia che veniva suonato in quegli anni da gruppi come Kraftwerk e Yellow Magic Orchestra cominciò a incorporare massicciamente nelle proprie produzioni sintetizzatori come il Kawai KC10 e il Yamaha DX7 e drum machine come la Roland TR-808.
– Leggi anche: Storia della Roland TR- 808
Come accade spesso quando si cerca di stabilire l’origine di un genere musicale, le opinioni su chi possa essere considerato “l’inventore” della techno sono discordanti. Una delle teorie più celebri e diffuse sostiene che questa musica sia nata grazie all’impulso di Juan Atkins, Kevin Saunderson e Derrick May, tre dj che vivevano a Belleville, un sobborgo di Detroit, e che per questo motivo negli anni successivi sarebbero stati ribattezzati Belleville Three.
A prescindere da tutte le speculazioni del caso, Atkins, Saunderson e May contribuirono indubbiamente a fissare le caratteristiche ricorrenti di questa musica, caratterizzata da un tempo in quattro quarti, da linee di basso molto potenti, dall’utilizzo dei sintetizzatori e da un ritmo ripetitivo che, nella sua forma tradizionale, solitamente andava dai 120 ai 140 bpm (battiti per minuto).
La techno di Detroit cominciò a essere ascoltata a Berlino verso la fine del decennio, e ottenne una grande popolarità soprattutto dopo la caduta del muro, quando i giovani cominciarono a occupare gli edifici della parte est che erano stati abbandonati subito dopo l’unificazione. Questi luoghi (essenzialmente fabbriche e magazzini dismessi) diventarono informalmente i primi club della città: chi li gestiva organizzava feste in cui venivano a suonare anche i dj che erano riusciti a farsi un nome a Detroit.
Il fatto che la techno abbia attecchito in una città come Berlino non è così sorprendente: già prima della caduta del muro, anche se in modalità diverse, la musica aveva avuto un’importanza centrale nello sviluppo delle culture giovanili che emersero in entrambe le parti della città.
A Ovest le cose erano più facili: le persone godevano di più ampie libertà e disponevano di maggiori occasioni per entrare in contatto con la musica che andava per la maggiore all’estero, e in particolare negli Stati Uniti. A partire dalla fine degli anni Sessanta in questa parte della città cominciò a svilupparsi una scena creativa attiva e dinamica, stimolata anche dal particolare status giuridico di Berlino Ovest, che esentava i suoi cittadini dall’obbligo del servizio militare, prospettiva che richiamò in città migliaia di giovani tedeschi della Germania Occidentale. Anche grazie a questo fascino antimilitarista, in quegli anni Berlino Ovest diventò uno dei più importanti centri artistici europei: diversi musicisti di fama internazionale, come David Bowie, Iggy Pop e Nick Cave, vi si trasferirono per qualche anno.
Peraltro a Berlino Ovest, e più in generale nel territorio della Repubblica Federale di Germania (RFG), la musica composta con strumenti elettronici entrò a far parte dei gusti del pubblico generalista già a partire dagli inizi degli anni Settanta, quando gruppi e musicisti tedeschi d’avanguardia come Klaus Schulze, Amon Düül II, Agitation Free, Neu!, Kraftwerk, Hölderlin e Cluster utilizzarono i sintetizzatori in modi inediti e sperimentali, aprendo la strada alla corrente che la critica musicale statunitense avrebbe definito krautrock. Negli stessi anni Giorgio Moroder (italiano, ma divenuto famoso in tutto il mondo durante il suo periodo di residenza a Monaco di Baviera) contribuì a coniare il cosiddetto “Munich Sound”, contribuendo alla diffusione di generi come l’elettropop e l’italo disco.
– Leggi anche: Come i sintetizzatori impararono a parlare tra di loro
A Berlino Est, ai tempi parte della DDR (Repubblica Democratica Tedesca), la circolazione della musica e delle arti in generale era più difficile, dato che teoricamente era sottoposta a controlli da parte degli organi di censura dell’Unione Sovietica.
A partire dagli anni Settanta scoprire nuova musica divenne più facile. Accadde in parte grazie a una progressiva apertura verso l’esterno da parte dell’AMIGA, una delle etichette di stato, che in quel periodo cominciò a pubblicare e a distribuire a Berlino Est dischi di gruppi e musicisti inglesi e americani come Beatles e Bob Dylan. In generale, nella DDR le produzioni estere erano sottoposte alla cosiddetta regola del 60/40, che limitava al 40 per cento gli spazi dedicati a musica proveniente dall’estero durante le trasmissioni radio, mentre il restante 60 doveva provenire dalla DDR o da altri paesi socialisti.
Questa regola non rendeva disponibile tutta la musica che veniva prodotta all’estero, ma permise comunque a migliaia di giovani che vivevano nella Germania Est di entrare in contatto con nuovi generi, come il rock’n’roll e, a partire dagli anni Settanta, il punk. Teoricamente per esibirsi davanti a un pubblico bisognava ottenere un permesso speciale, il cosiddetto Spielerlaubnis.
Esistevano comunque degli stratagemmi che permettevano di sfuggire a queste limitazioni: il più diffuso era organizzare concerti nelle poche zone franche in cui le leggi della DDR non venivano applicate. Da questo punto di vista, un ruolo molto importante fu assunto dalle chiese protestanti, che tra gli anni Settanta e Ottanta offrirono ai primi gruppi punk della Germania dell’Est degli spazi per esibirsi in sicurezza e diffondere la propria musica. Gruppi punk di Berlino Est oggi abbastanza famosi tra gli appassionati del genere, come Namenlos e Unerwünscht, si fecero conoscere proprio grazie ai concerti organizzati negli spazi messi a disposizione dalle chiese, che pur non apprezzando l’estetica del genere vedevano di buon occhio i messaggi contro il totalitarismo presenti nei testi.
A partire dagli anni Ottanta, nel territorio della DDR iniziò a trovare spazio anche la musica elettronica.
A differenza del punk, aveva il vantaggio di essere una musica poco censurabile in quanto prevalentemente strumentale, e quindi priva di messaggi politici potenzialmente sovversivi. Nel gennaio del 1980 i Tangerine Dream, gruppo di musica elettronica di Berlino Ovest, si esibirono dal vivo in uno storico concerto davanti al Palast der Republik di Berlino Est, la sede del parlamento della DDR. Il musicista Reinhard Lakomy, che trascorse la sua infanzia a Magdeburgo, città che in quegli anni faceva parte della Germania dell’Est, ha detto che il concerto dei Tangerine Dream «aprì la strada» alla diffusione della musica elettronica all’interno della DDR, dove «da un giorno all’altro quel tipo di musica divenne estremamente popolare».
In realtà, le persone che vivevano a Berlino Est avevano iniziato a interessarsi di musica elettronica già durante gli anni Settanta, ascoltando clandestinamente le stazioni radio di Berlino Ovest. Alcuni avevano anche iniziato a studiare degli stratagemmi per potersi procurare clandestinamente l’attrezzatura che era necessaria per poterla suonare, come sintetizzatori e drum machine. A questo proposito l’ingegnere del suono e dj tedesco Julius Krebs, che in quegli anni viveva a Berlino Est, ha raccontato che ai tempi un suo collega era riuscito a ottenere questi strumenti grazie all’aiuto di sua moglie, che disponendo di un passaporto cinese poteva raggiungere Berlino Ovest quando voleva e fare rientro a Berlino Est senza subire rigidi controlli doganali. Krebs ha detto che «insieme importarono enormi quantità di attrezzature nella Germania dell’Est: probabilmente è diventato milionario proprio per questo».
Per tutti questi motivi, già prima della caduta del muro la musica elettronica era un consumo culturale che accomunava entrambe le parti della città. In questo contesto, il suono della techno di Detroit (una musica composta con strumenti elettronici, in molti casi da musicisti che erano stati molto influenzati dalla produzione krautrock e synth-pop tedesca) acquisì piuttosto in fretta una certa notorietà tra i giovani e le persone che organizzavano eventi negli spazi comuni occupati della città.
L’esperienza di autoregolazione, la libertà espressiva, l’accettazione di tutti indipendentemente dal modo di vestire, dall’età o dalla provenienza, la possibilità di creare una specie di realtà parallela in cui evadere diventarono gli elementi distintivi della sottocultura che venne a crearsi attorno alla techno di Berlino, oltre ovviamente all’esperienza fondamentale, ossia ballare per ore davanti a un muro di casse accese a tutto volume.
La diffusione di questa musica fu incentivata anche dall’apertura di alcuni negozi specializzati: uno dei più famosi è l’Hard Wax, aperto nel 1989 dal dj tedesco Mark Ernestus nel quartiere di Kreuzberg. L’Hard Wax divenne un punto di riferimento per la circolazione della techno e delle sue varianti, e negli anni successivi alcuni suoi commessi, come Helmut Josef Geier (conosciuto con il nome DJ Hell) e Gernot Bronsert (che insieme a Sebastian Szary fa parte del duo di musica elettronica tedesco Modeselektor), sarebbero diventati dei musicisti molto noti nell’ambiente.
Il successo che la techno riscosse a Berlino indusse diversi dj di Detroit, come Jeff Mills e Juan Atkins, a trasferirsi stabilmente in città per partecipare a quel momento di grande fervore creativo. Da allora la cultura dei club di Berlino è diventata un vero e proprio brand, attorno al quale è stata costruita una parte della popolarità che la città ha acquisito dopo la caduta del muro.
Molte delle persone che animarono quella scena, come Mark Reeder e il fondatore del Tresor Dimitri Hegemann, sono oggi degli imprenditori di successo del campo culturale, e negli anni sono riusciti a ottenere anche un peso politico notevole.
Nel Duemila i proprietari di club berlinesi hanno deciso di istituzionalizzarsi attraverso la fondazione della Clubcommission, un’organizzazione che lavora per la conservazione, lo sviluppo e il futuro della scena dei club berlinesi.
Recentemente la Clubcommission è stata coinvolta nelle proteste contro l’estensione della Bundesautobahn 100, un’autostrada federale costruita negli anni Sessanta del secolo scorso dall’amministrazione di Berlino Ovest. Il progetto per l’ampliamento della Bundesautobahn 100 prevede infatti la demolizione di una ventina dei club di musica techno più conosciuti e frequentati della città, come Club OST, ://about blank, Renate, Else, Oxi e Void.
Per questo motivo, ai gruppi che protestano contro l’ampliamento dell’autostrada per ragioni ambientali si sono aggiunti anche moltissimi manifestanti che temono la scomparsa di spazi che negli ultimi vent’anni sono diventati una parte integrante della cultura di Berlino.
– Leggi anche: A Berlino vogliono costruire un’autostrada demolendo molti club di techno
La techno di Berlino è diventata anche oggetto di un interessante fenomeno di turismo culturale: buona parte dei club berlinesi più famosi si trova infatti all’interno di enormi edifici lasciati vuoti dal processo di deindustrializzazione che ha interessato la città nella seconda metà del secolo scorso, e vengono visitati annualmente da migliaia di appassionati.
Inoltre, Berlino è stata per diversi anni la sede di uno degli eventi di musica techno più importanti al mondo, la LoveParade. La prima edizione fu organizzata nel luglio del 1989, quattro mesi prima della caduta del muro, dal dj Matthias Roeingh, conosciuto come il nome d’arte di “Dr. Motte”. Alla prima edizione parteciparono circa 150 persone, ma con il passare degli anni divenne sempre più partecipata, fino a superare il milione e mezzo di persone nelle edizioni del 1999 e del 2008, che si svolsero rispettivamente a Berlino e a Dortmund.
Una versione precedente di questo articolo diceva erroneamente che la techno berlinese fosse stata aggiunta alla lista dei patrimoni immateriali dell’umanità dell’UNESCO. È stato invece un comitato tedesco collegato all’UNESCO, ma nazionale, a includerla in un proprio elenco di patrimoni culturali della Germania.