Cercare di stare svegli può aiutare ad addormentarsi
È una delle tecniche che girano online tra chi ha problemi a prendere sonno: secondo alcuni studi può funzionare, così come concentrarsi su altri tipi di pensieri
Il sonno è da anni un argomento di estese discussioni sui media e sui social network, spesso tra persone preoccupate di non dormire bene o abbastanza a lungo. In tempi recenti, tra i contenuti più leggeri e meno ambiziosi sull’argomento, hanno ottenuto una certa popolarità su TikTok diversi video di persone che dicono di addormentarsi più facilmente se immaginano di vivere situazioni piacevoli, realistiche o meno. Altre sostengono che concentrarsi sul pensiero di rimanere sveglie, o quantomeno provarci, le aiuta paradossalmente ad addormentarsi: molto più del pensiero fisso di voler o dover dormire.
Per quanto bizzarri, secondo alcuni psicologi ed esperti di medicina del sonno che se ne sono occupati negli ultimi mesi, entrambi i consigli hanno un loro fondamento. Possono quindi essere utili se applicati in casi di occasionali difficoltà a prendere sonno che possono capitare a chiunque, e non come soluzioni a condizioni patologiche che richiedano invece attenzioni e cure specifiche di specialisti.
Nelle discussioni sui social network incentrate sui problemi del sonno è spesso difficile distinguere le informazioni attendibili dalla disinformazione. Secondo un’analisi condotta da un gruppo di ricercatori della Harvard Medical School e pubblicata nel 2023 sulla rivista Journal of Clinical Sleep Medicine, i video che contengono pregiudizi e disinformazione sul sonno su YouTube ricevono mediamente molte più visualizzazioni rispetto ai video con consigli condivisi dagli esperti di medicina del sonno.
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La popolarità di questo argomento è dovuta al fatto che dormire bene è uno dei consigli medici più noti e condivisi per mantenere una buona salute. Rispetto ad altri consigli generali molto comuni che riguardano la nostra vita da svegli, come fare esercizio fisico o badare all’alimentazione, dormire non è soltanto una questione di volontà: è una questione fisiologica e psicologica, più o meno complicata a seconda dei casi. Alcuni studi suggeriscono che preoccuparsene troppo possa portare ad approcci controproducenti.
Un gruppo di ricercatori in medicina del sonno della Northwestern University di Chicago definì nel 2017 “ortosonnia” la condizione di chi si preoccupa eccessivamente della quantità e qualità del proprio sonno, abusando di dispositivi e app in grado di tenerne traccia. In alcuni casi questa preoccupazione può interferire con il sonno stesso, attivando un circolo vizioso per cui più si pensa alla necessità di dormire più diventa difficile addormentarsi.
Immaginare di vivere situazioni desiderabili, indipendentemente da quanto siano verosimili o realizzabili, può favorire il sonno nella misura in cui distoglie attenzioni da pensieri alternativi in grado invece di accrescere le preoccupazioni. Molte ricerche sul sonno indicano con chiarezza che le persone che dormono bene e quelle che invece non ci riescono tendono a fare pensieri differenti prima di andare a letto.
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Secondo uno studio di revisione pubblicato nel 2020 sulla rivista Sleep Medicine Reviews chi dorme bene riferisce di visualizzare immagini mentali di persone e oggetti durante la transizione dalla veglia al sonno. Immagina di partecipare a eventi nel mondo reale, per esempio, e in generale riferisce pensieri – perlopiù visivi – tipicamente associati a una disattivazione dei processi cognitivi superiori e a esperienze allucinatorie. I pensieri riferiti dalle persone che soffrono di insonnia hanno invece spesso a che fare con la pianificazione e la risoluzione di problemi, e sono per chi li fa tendenzialmente meno piacevoli e casuali rispetto ai pensieri di chi dorme bene.
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Diversi studi condotti da Allison Harvey, psicologa clinica della University of California Berkeley e una delle più citate ricercatrici sull’insonnia, associano alle persone con difficoltà ad addormentarsi – anche solo occasionali – una tendenza a pensare a cose importanti da fare prima di coricarsi, o a concentrarsi su rumori ambientali o altri fattori che incrementano la preoccupazione di non dormire. Interferiscono con il sonno, in generale, tutte le attività che inducono eccitazione cognitiva e quindi una condizione di vigilanza e reattività agli stimoli esterni: può esserlo anche guardare una serie tv appassionante, per esempio, come emerso in uno studio del 2017 su 423 giovani tra 18 e 25 anni.
Per le persone che soffrono occasionalmente di insonnia esistono tuttavia tecniche di «rifocalizzazione cognitiva» che possono servire a modificare il contenuto dei pensieri che fanno prima di andare a dormire, riducendo l’eccitazione cognitiva, hanno scritto sul sito The Conversation le due psicologhe australiane Melinda Jackson e Hailey Meaklim. Sviluppata dallo psicologo della Syracuse University di New York Les Gellis, la rifocalizzazione cognitiva consiste nel distrarsi con pensieri piacevoli prima di andare a dormire: «il trucco è pensare a uno scenario che non sia troppo interessante», secondo Jackson e Meaklim.
Alcune persone riescono ad addormentarsi più facilmente se fanno pensieri coinvolgenti, capaci di richiamare interesse e attenzione ma senza causare eccitazione cognitiva: niente di troppo spaventoso, emozionante o stressante, insomma. Persone sportive potrebbero immaginare determinate fasi di una partita o di una gara, per esempio, e quelle che fanno o studiano musica di suonare in particolari contesti. Ma anche immaginare di lavorare a maglia può funzionare: «qualunque cosa tu scelga, assicurati che sia adatta a te e ai tuoi interessi» e che sia «piacevole senza essere eccessivamente stimolante», hanno scritto Jackson e Meaklim. Non a caso uno dei consigli più famosi in questi casi è quello di contare le pecore.
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Alcune persone che invece non riescono a fare pensieri rilassanti prima di dormire riferiscono di riuscire ad addormentarsi più facilmente se cercano di non dormire. Per quanto possa sembrare controintuitivo, è un metodo sostenuto da prove empiriche e noto come «intenzione paradossale», ha detto a BBC Colin Espie, professore di medicina del sonno presso il Nuffield Department of Clinical Neurosciences all’Università di Oxford, che condusse negli anni Ottanta una serie di studi sulla terapia dell’insonnia tramite l’intenzione paradossale.
L’idea alla base di questa tecnica è in parte simile a quella su cui si basa la terapia dell’esposizione, un tipo di terapia cognitivo-comportamentale in grado di alleviare le fobie attraverso l’introduzione graduale della situazione o dell’oggetto temuto nell’esperienza del paziente. Sviluppata negli anni Settanta dallo psichiatra austriaco Viktor Frankl, fondatore della logoterapia, l’intenzione paradossale è una tecnica psicoterapeutica che induce il paziente a fare ciò di cui prova paura, e può essere utile nel trattamento di alcuni casi di fobie e disturbi d’ansia per cui altri approcci risultano inefficaci.
Se una persona ha una particolare paura del fallimento, per esempio, farle immaginare la situazione temuta o esporla a nuove situazioni in cui potrebbe fallire può aiutare quella persona a prendere le distanze dai propri sintomi e persino apprezzarne gli aspetti umoristici. Cercare attivamente di non dormire, per le persone molto preoccupate del proprio sonno, può essere utile a far comprendere loro che è improbabile che si verifichino le conseguenze catastrofiche che temono se non dormono.
Cercare di rimanere svegli tenendo gli occhi aperti quando ci si sente assonnati, secondo Espie, è più utile che sforzarsi di dormire: perché il sonno è un processo fisiologico involontario che avviene passivamente. E rimanere svegli anziché impegnarsi a dormire vuol dire, in un certo senso, accettare di rinunciare al proposito di rendere il sonno un processo volontario e controllato. A chi vuole provare questa tecnica, ha detto, è utile ricordare che può essere utile purché si vada a dormire soltanto quando ci si sente assonnati, perché sarebbe ovviamente inutile altrimenti.
È importante poi non prendere il consiglio troppo alla lettera, ha concluso Espie: l’obiettivo non è «contrastare il sonno rimanendo svegli a tutti i costi», ma «lasciare che il sonno faccia il suo dovere». Potrebbe anche essere necessaria più di una prova, perché cambiare le abitudini riguardo al sonno richiede comunque del tempo. Se infine i problemi di insonnia non sono occasionali ma stabili e prolungati, è importante chiedere aiuto agli specialisti: «non è solo una questione di stile di vita, a volte le persone hanno bisogno di aiuto».
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