• Mondo
  • Mercoledì 13 marzo 2024

Israele sta usando la fame come arma a Gaza?

Lo ha sostenuto l'Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri Josep Borrell e lo dicono da tempo varie ong, che accusano Israele di crimini di guerra

La distribuzione di cibo a Rafah, nella Striscia di Gaza, lo scorso gennaio (AP Photo/Hatem Ali)
La distribuzione di cibo a Rafah, nella Striscia di Gaza, lo scorso gennaio (AP Photo/Hatem Ali)
Caricamento player

Parlando martedì davanti al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri Josep Borrell ha detto che Israele «sta usando la fame come un’arma di guerra» nella Striscia di Gaza. Borrell ha cioè accusato Israele di affamare deliberatamente la popolazione civile di Gaza per raggiungere i propri scopi militari: ha detto che mezzo milione di persone sono «a un passo dalla carestia» e che «questo non è un disastro naturale, non è un terremoto o un’alluvione, è provocato artificialmente».

Da tempo la situazione umanitaria nella Striscia è al collasso, perché gli aiuti non arrivano in quantità sufficienti o non arrivano proprio, e nelle scorse settimane le autorità locali (cioè Hamas) hanno detto che decine di persone sono morte di fame. Varie organizzazioni internazionali hanno confermato che l’estrema scarsità di cibo, acqua potabile, medicine e generi di prima necessità nella Striscia sta provocando una catastrofe di enormi dimensioni.

Dall’inizio della guerra, il 7 ottobre, Israele ha imposto un blocco generalizzato e controlli molto severi su tutto quello che entra nella Striscia di Gaza, compresi cibo e beni di prima necessità. Da mesi le organizzazioni umanitarie che si occupano degli aiuti nella Striscia accusano Israele di rallentare le consegne, mentre il governo israeliano sostiene che, se gli aiuti non arrivano alla popolazione, la colpa è principalmente dei problemi di distribuzione dentro alla Striscia.

L’accusa di Borrell nei confronti di Israele è però più precisa e molto più grave, perché Borrell sostiene che Israele stia affamando volontariamente la popolazione della Striscia di Gaza, cioè che stia compiendo un crimine di guerra. Non è certo la prima volta che vengono fatte accuse del genere nei confronti di Israele da quando è iniziata la guerra, ma Borrell è il funzionario internazionale di più alto grado a pronunciarle in maniera così esplicita.

Fame
Affamare deliberatamente la popolazione civile era un metodo di guerra piuttosto usato fino alla Seconda guerra mondiale (lo fece l’esercito nazista contro i sovietici, e quello americano contro i giapponesi), ma fu proibito a partire dal 1977, quando fu vietato dalla Convenzione di Ginevra. Da allora, impedire alla popolazione civile l’accesso a cibo e acqua anche durante un assedio è considerato un crimine di guerra.

A partire dal 7 ottobre Israele ha di fatto imposto un assedio su tutta la Striscia. Inizialmente il governo aveva ordinato un «assedio totale», cioè la completa interruzione di tutte le consegne di cibo e altri generi di prima necessità. Nei primi giorni di guerra il ministro della Difesa Yoav Gallant aveva detto che nella Striscia di Gaza «non ci sarà elettricità, non ci sarà cibo, non ci sarà carburante, tutto sarà chiuso». Il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir, un estremista di destra piuttosto influente nel governo, aveva scritto che nessun aiuto sarebbe entrato nella Striscia finché Hamas non avesse rilasciato tutti gli ostaggi catturati il 7 ottobre.

La Striscia di Gaza è un territorio arido e improduttivo, e fin da prima della guerra la popolazione civile dipendeva quasi interamente dall’arrivo di aiuti umanitari. Anche la pesca, una delle principali risorse locali, è stata resa impossibile con la guerra, perché Israele ha preso il controllo delle coste.

Dopo alcuni giorni di «assedio totale», il 21 ottobre Israele, su pressione della comunità internazionale, aveva acconsentito all’ingresso di aiuti umanitari, ma con condizioni e controlli estremamente rigidi per impedire che, assieme agli aiuti, entrassero nella Striscia armi o materiale pericoloso. Israele aveva autorizzato l’apertura di due varchi per l’ingresso degli aiuti, entrambi a sud della Striscia (a Rafah e a Kerem Shalom), ma aveva imposto che tutti i camion di aiuti fossero minuziosamente ispezionati prima di poter passare il varco.

Da allora gli aiuti hanno ricominciato a entrare nella Striscia, ma mai in maniera sufficiente. Prima dell’inizio della guerra entravano a Gaza 500 camion di aiuti al giorno (che già non garantivano particolare abbondanza), ma Israele si era impegnato a fare entrare nella Striscia 200 camion al giorno. Nonostante questo, i camion di aiuti non sono mai entrati con regolarità: negli ultimi mesi ne sono entrati in alcuni giorni duecento, in altri poche decine, in altri nessuno.

A novembre alcuni giorni di tregua tra le due parti avevano consentito un ingresso di aiuti più consistente, ma poi i combattimenti erano ricominciati e la situazione era tornata ad aggravarsi, fino alle scorse settimane, quando il sistema degli aiuti era di fatto collassato.

Secondo le organizzazioni internazionali la ragione principale è che, a causa dei bombardamenti e delle operazioni di guerra dell’esercito israeliano, è diventato quasi impossibile distribuire gli aiuti: le strade sono dissestate, manca il carburante, mancano le infrastrutture per la distribuzione. Inoltre è diventato impossibile anche mantenere l’ordine: dopo che Israele ha bombardato le posizioni della polizia della Striscia (che prima della guerra era controllata da Hamas) i camion con gli aiuti non riescono a raggiungere le loro destinazioni perché sono assaltati da bande armate o più banalmente da persone affamate e disperate.

La situazione è ormai diventata così grave che l’Ufficio per gli affari umanitari delle Nazioni Unite (OCHA) ha detto che un quarto della popolazione della Striscia, circa 570mila persone, «è a un passo dalla carestia». Sempre secondo l’OCHA tra i bambini che hanno meno di due anni uno su sei è gravemente malnutrito e deperito. Bob Kitchen dell’International Rescue Committee, una ong, ha detto al New York Times che a Gaza ormai «tutti sono affamati».

Queste difficoltà sono così sistematiche che vari esperti hanno cominciato a sostenere che siano deliberate, e che la colpa sia di Israele.

Lo ha scritto a dicembre la ong Human Rights Watch, che ha accusato Israele di mettere in atto un crimine di guerra. Tra gli esperti rispettati c’è per esempio Alex de Waal, un professore di diritto internazionale alla Tufts University negli Stati Uniti ed esperto di questi argomenti, che ha scritto che «la catastrofica crisi umanitaria a Gaza è un atto deliberato» e che l’assedio di Israele «supera ogni altro caso di affamamento degli ultimi 75 anni».

Israele rifiuta queste accuse, e sostiene che la causa della crisi non sia che gli aiuti non arrivano, ma che siano le organizzazioni umanitarie che operano dentro alla Striscia di Gaza. In particolare Israele accusa l’Agenzia delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi (UNRWA) di essere complice di Hamas e di non essere in grado di gestire la consegna degli aiuti. In più di un’occasione i portavoce dell’esercito israeliano hanno detto che a Gaza c’è cibo a sufficienza, e che il problema è che non viene consegnato per carenze logistiche, o perché viene confiscato dai miliziani di Hamas.

Crimine di guerra
In generale, la maggior parte degli esperti ritiene che la responsabilità principale della crisi umanitaria sia ovviamente di Israele, che ha messo in atto l’assedio della Striscia, ma c’è molto dibattito tra chi dice che questa è una conseguenza inevitabile della guerra e chi dice che è invece un atto deliberato e voluto dall’esercito. La differenza tra le due posizioni sembra minima, ma è quella che distingue un’azione di guerra da un crimine di guerra.

Anche a causa di queste differenze minime, perseguire presunti crimini umanitari come l’utilizzo della fame come metodo di guerra è eccezionalmente difficile.

L’organismo che si dovrebbe occupare di questi casi è la Corte penale internazionale, che tuttavia da quando è stata creata, nel 1998, non ha mai perseguito ufficialmente nessun caso in cui la fame è stata usata come arma di guerra.

Questo è avvenuto in parte perché la Corte ha giurisdizione sui crimini internazionali, mentre molti di questi casi avvengono all’interno di uno stesso paese (per esempio quando il dittatore siriano Bashar al Assad affamò varie città ribelli durante la guerra civile in Siria; su questo tuttavia sono state fatte alcune integrazioni nel 2018), ma anche perché raccogliere prove sufficienti per costruire un caso giuridico è estremamente difficile. Le indagini possono durare anni e spesso risultare inconcludenti, perché è necessario dimostrare che la fame era deliberata ed era un obiettivo militare.

Nel 2018 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approvò all’unanimità una risoluzione che condannava l’uso della fame nei conflitti e che prometteva di prendere misure decise contro i paesi che avessero commesso questo crimine. Da allora però il Consiglio non ha mai preso in considerazione nessun caso, principalmente per divisioni politiche tra i paesi membri.