Le app di appuntamenti sono in crisi

Oggi sono meno considerate dalle persone che le utilizzavano diffusamente fino a una decina d'anni fa: un po' perché gli anni passano, un po' perché molte di loro si sono “sistemate”

(Unsplash)
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Da almeno una decina d’anni milioni di persone in tutto il mondo utilizzano le app di dating per cercare partner sessuali o organizzare appuntamenti romantici. Negli ultimi tempi però l’interesse verso queste app è diminuito, così come il giro di affari che erano in grado di generare fino a qualche tempo fa. Dal 2021 a oggi il valore di mercato della società statunitense Match Group, che possiede Tinder e altre popolari dating app come OkCupid e Hinge, è diminuito dell’80 per cento, passando da 50 a 10 miliardi. La stessa cosa è successa anche alla concorrente principale di Match Group, Bumble, il cui valore è passato da 15 a poco meno di tre miliardi.

Questa perdita di interesse è dovuta in parte al fatto che i principali fruitori di questi servizi erano soprattutto i cosiddetti “millennial” (i nati tra gli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta), che oggi sono più avanti con gli anni e per vari motivi le usano meno. Le persone della generazione successiva, la cosiddetta “Gen Z”, hanno invece sempre mostrato una generale diffidenza per queste app, che considerano lontane per approccio e finalità: preferiscono organizzare appuntamenti con altri strumenti, come la messaggistica di Instagram e TikTok, e hanno una certa riluttanza verso l’idea di dover pagare un abbonamento per conoscere nuove persone. Ma c’è anche il fatto che negli anni app come Tinder e Bumble hanno introdotto pochi aggiornamenti, e le loro funzioni sono rimaste più o meno sempre le stesse.

Anche se alcuni servizi di questo tipo esistono da più di vent’anni (come Meetic, che fu fondato in Francia nel 2001), la maggior parte di queste app iniziò a diffondersi all’inizio degli anni Dieci del Duemila. Le due più famose e utilizzate sono Tinder e Bumble: la prima fu fondata nel 2012, e oggi è il marchio più grande di proprietà del gruppo Match Group, che l’acquisì nel 2017. Tinder ha sostanzialmente inventato la meccanica che oggi sta alla base di gran parte delle dating app: lo “swipe”, ovvero trascinare il dito sullo schermo verso destra o verso sinistra per segnalare il proprio interesse o disinteresse per il profilo che viene proposto dall’algoritmo. Sempre a Tinder si deve la popolarizzazione del concetto di “match”, ovvero il momento in cui due persone mostrano reciproco interesse e sulla base di questo vengono messe in contatto.

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Bumble è stata fondata due anni dopo, ed è considerata una sorta di “alternativa femminista” a Tinder. Un po’ perché la fondatrice, Whitney Wolfe, l’ha creata dopo aver lasciato Tinder e aver citato in giudizio la sua ex azienda per discriminazioni sessuali e molestie, e un po’ perché l’applicazione permette soltanto alle donne di iniziare un dialogo con le persone con cui hanno un match. Il funzionamento non è molto diverso da quello di Tinder, dato che si basa comunque su un meccanismo di swipe e match: il fatto che le donne (e le persone non binarie, che non si identificano cioè né come uomini né come donne) siano le uniche a poter mandare il primo messaggio è quindi la differenza centrale.

Le difficoltà che app come Tinder e Bumble stanno riscontrando sono dovute principalmente all’aumento dell’età media dei cosiddetti “millennial”. Nel decennio scorso il successo delle app di dating era stato trainato proprio dall’entusiasta partecipazione di questa generazione, ma oggi gran parte delle persone che ne fanno parte ha smesso di utilizzarle. È accaduto un po’ per l’avanzare dell’età (oggi hanno tra i 28 e i 42 anni), e il cambio di stile di vita che ne consegue, un po’ perché molti si sono sistemati e, di conseguenza, hanno perso interesse verso questo tipo di servizi.

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Mentre i “millennial” stanno mostrando un disinteresse crescente verso le app di appuntamenti, la generazione che li ha seguiti – la “Gen Z” – è piuttosto diffidente verso questi strumenti. Secondo un sondaggio condotto nell’ottobre dello scorso anno dal sito americano Axios e dalla società di analisi di dati Generation Lab, il 79 per cento degli studenti universitari statunitensi (che oggi fanno parte per l’appunto della “Gen Z”) non utilizza app di appuntamenti.

Inoltre, mentre le persone della generazione precedente erano maggiormente inclini a pagare un abbonamento per avere accesso alle funzioni aggiuntive di queste app (come, nel caso di Tinder, la possibilità di inviare “Super Mi piace” ai profili che interessano particolarmente o vedere a chi è piaciuto il proprio profilo), le persone più giovani non sono troppo disposte a farlo, e preferiscono organizzare incontri utilizzando app non concepite specificamente per gli appuntamenti, come Instagram e TikTok.

Zach Morrissey, analista della società di analisi di mercato Wolfe Research, ha detto al New York Times che la crisi delle app di dating non è dovuta soltanto a questo cambio generazionale, ma anche al fatto che il loro formato e le loro funzioni, al netto di poche variazioni, sono sostanzialmente le stesse da più di dieci anni. Anche per questo motivo, negli ultimi mesi Bumble e Match Group hanno nominato due nuove amministratrici delegate, rispettivamente Lidiane Jones e Faye Iosotaluno, affidando loro il mandato di svecchiare le app, sviluppare nuove modalità di fruizione e attirare gli utenti più giovani.

Jones ha anche detto che Bumble sta vivendo un «momento di transizione» e che, per superarlo, nei prossimi mesi inserirà nuove funzionalità basate sulla «personalizzazione» e sulla «flessibilità». Non ha però specificato in cosa consisteranno queste novità.

Tinder invece sta già adottando delle strategie per acquisire nuovi utenti: intervistata da Axios, Iosotaluno ha fatto sapere che l’app introdurrà una nuova funzione, il cosiddetto “photo selector”, basata su un sistema di intelligenza artificiale che dovrebbe consigliare agli utenti i profili più adatti ai loro gusti. Inoltre, sempre nell’ottica di generare un interesse nelle persone più giovani, Tinder ha ricominciato a organizzare attività pubblicitarie all’interno dei campus universitari.