Tiziano Renzi e l’ex ministro Luca Lotti sono stati assolti per il caso CONSIP
Nel processo di primo grado sull'intricata vicenda che riguarda la società degli appalti per la pubblica amministrazione sono state assolte in totale otto persone, e due condannate
Il processo di primo grado sul filone principale del cosiddetto caso CONSIP, una complicata vicenda giudiziaria iniziata nel 2016 e riguardante la società che si occupa di appalti per la pubblica amministrazione, si è concluso con l’assoluzione di otto persone e la condanna di altre due. Fra le persone assolte ce ne sono alcune che avevano avuto una certa rilevanza mediatica e politica, fra cui Tiziano Renzi, padre dell’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, l’ex ministro dello Sport Luca Lotti, e l’ex parlamentare Italo Bocchino.
Oltre a loro sono stati assolti gli imprenditori Alfredo Romeo e Carlo Russo, l’ex comandante dell’unità dei carabinieri Legione “Toscana” Emanuele Saltalamacchia, l’ex presidente della società idrica di Firenze Filippo Vannoni, e il carabiniere Stefano Pandimiglio.
Sono stati condannati invece il colonnello dei carabinieri Alessandro Sessa, a 3 mesi di carcere, e l’ex maggiore del Nucleo operativo ecologico (NOE) dei carabinieri Gianpaolo Scafarto, a 1 anno e 6 mesi. La pena di entrambi è stata sospesa, ma dovranno versare 50mila euro al ministero della Difesa. I due carabinieri erano accusati di aver falsificato alcuni verbali per incastrare Tiziano Renzi e alzare così il profilo politico dell’indagine, e di aver rivelato ai loro superiori dettagli sulle indagini sui quali erano invece tenuti alla riservatezza.
Il nome dell’inchiesta deriva dalla società che si occupa di appalti per la pubblica amministrazione, la CONSIP. L’inchiesta iniziò nel 2016, quando il magistrato di Napoli Henry John Woodcock ipotizzò che l’imprenditore napoletano Alfredo Romeo avesse corrotto alcuni funzionari pubblici per ottenere appalti nel settore della sanità. Le indagini vennero estese poi a CONSIP.
La procura di Napoli piazzò alcune microspie negli uffici di Luigi Marroni, amministratore delegato di CONSIP, ma qualcuno lo avvertì dell’indagine e Marroni fece “bonificare” i suoi uffici. Quando fu interrogato dai magistrati, Marroni fornì l’elenco di chi lo aveva avvertito delle indagini: i generali Del Sette e Saltalamacchia (il primo comandante in capo dei Carabinieri, proveniente dalla Toscana, il secondo comandante dei carabinieri toscani), il presidente di CONSIP Luigi Ferrara, il presidente della società idrica toscana Filippo Vannoni e infine l’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti.
Inizialmente i magistrati avevano ipotizzato che l’imprenditore napoletano Alfredo Romeo avesse cercato di ottenere un trattamento di favore da CONSIP tramite Tiziano Renzi. I magistrati avevano sostenuto che Romeo avesse promesso soldi all’imprenditore Carlo Russo per poter incontrare Tiziano Renzi e far sì che quest’ultimo, a sua volta, facesse pressioni sull’amministratore di CONSIP, Luigi Marroni, per favorire amici imprenditori nell’assegnazione di appalti.
Alla fine del 2016 l’inchiesta venne divisa per ragioni di competenza territoriale: la parte che riguardava CONSIP e Marroni passò alla procura di Roma, mentre a Woodcock rimase la parte che riguardava l’imprenditore Romeo. L’inchiesta si trasformò profondamente e finì con il diventare un caso concentrato sempre di più sui rapporti tra stampa, politica, magistratura e forze dell’ordine.
Quando la procura di Roma ricevette le carte dell’inchiesta, infatti, scoprì una serie di errori e irregolarità che riguardavano proprio la posizione di Renzi, e che erano stati compiuti dai carabinieri che avevano svolto le indagini per conto di Woodcock. Alcuni verbali di intercettazioni erano stati alterati, mentre altri episodi erano stati nascosti o esagerati, all’apparenza con lo scopo di incastrare Tiziano Renzi e alzare così il profilo politico dell’indagine (che fino a quel momento era un’inchiesta su un importante imprenditore napoletano, ma di interesse soprattutto locale).
Si scoprì poi che un’intercettazione su cui si basava l’inchiesta era una frase che era stata manipolata da Gianpaolo Scafarto, per avvalorare l’ipotesi che Renzi e Romeo si fossero incontrati. La frase era stata in realtà pronunciata dall’ex deputato Italo Bocchino, tra le altre cose collaboratore di Romeo: Bocchino spiegò di non conoscere Tiziano Renzi, e che la sua frase si riferiva al figlio Matteo, che aveva incontrato alcune volte quando era parlamentare.