Cosa sappiamo del “corridoio marittimo” per gli aiuti umanitari a Gaza
Unione Europea e Stati Uniti hanno annunciato senza troppi dettagli che cominceranno a mandare aiuti via mare: ci sono diversi problemi, ma la prima nave potrebbe partire già sabato
Tra giovedì e venerdì sia gli Stati Uniti che l’Unione Europea hanno annunciato separatamente piani per far arrivare aiuti umanitari via mare nella Striscia di Gaza, dove la popolazione civile palestinese sta soffrendo una gravissima carenza di beni di prima necessità per via della guerra in corso da ottobre tra Israele e il gruppo radicale palestinese Hamas, che governa la Striscia. Tra sabato e domenica potrebbe partire la prima nave di aiuti, anche se al momento non si sa di preciso quando e ci sono ancora molti aspetti da chiarire su come verranno fatti sbarcare e distribuiti gli aiuti.
Giovedì il presidente statunitense Joe Biden aveva detto che l’esercito degli Stati Uniti costruirà un molo temporaneo sulla costa della Striscia per facilitare l’arrivo di aiuti via mare; venerdì la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen aveva annunciato che già a partire da questo fine settimana sarebbe stato attivato un “corridoio marittimo” per far arrivare gli aiuti via mare nella Striscia, con navi che partono da Cipro.
Non è stato detto esplicitamente se i due piani siano collegati, ma è già noto che gli Stati Uniti sono tra i paesi che parteciperanno al corridoio umanitario annunciato da von der Leyen, insieme a Italia, Germania, Grecia, Paesi Bassi, Regno Unito, Emirati Arabi Uniti e la stessa Cipro. Le navi del corridoio marittimo partiranno dal porto di Larnaca, nel sud-est di Cipro, che è anche il posto da cui venerdì von der Leyen ha annunciato la nuova modalità di consegna degli aiuti.
La prima nave che dovrebbe testare la rotta è già quasi pronta: è di proprietà dell’ong spagnola Open Arms e trasporterà cibo del World Central Kitchen (“cucina centrale mondiale”), un’organizzazione umanitaria fondata dal noto chef ispano-statunitense José Andrés. Diverse fonti avevano già riferito che la nave sarebbe potuta partire nel fine settimana, e venerdì lo stesso Andrés ha pubblicato sui suoi profili social diverse immagini che mostrano la preparazione della nave, dicendo che la missione avviata con Open Arms «è finalmente nelle fasi finali». Andrés ha detto che la nave porterà «sulle spiagge di Gaza» 200 bancali di aiuti umanitari.
.@WCKitchen has a simple motto: Feed the hungry yesterday. Don’t plan, adapt! People of North Gaza are desperate. Now a weeks old plan with @openarms_found in finally in the final stages. To land in the beaches of Gaza with 200 pallets. And to do it everyday, increasing the… pic.twitter.com/QmUxEFYMLY
— José Andrés 🇺🇸🇪🇸🇺🇦 (@chefjoseandres) March 8, 2024
Restano ancora molti aspetti da chiarire. Non si sa per esempio dove dovrebbe sbarcare la nave e come saranno poi distribuiti gli aiuti: già nelle ultime settimane infatti dentro la Striscia la distribuzione è stata molto complicata, e i convogli umanitari sono stati più volte assaltati da persone disperate che hanno portato via il carico, armate di pistole o altre armi di fortuna.
Per far funzionare il corridoio sarà inoltre necessaria la collaborazione di Israele, che non è scontata perché negli ultimi mesi il governo e l’esercito hanno in vari modi limitato e ostacolato l’assistenza umanitaria nella Striscia, soprattutto imponendo lunghi controlli su ogni convoglio. Israele ha già detto di essere favorevole al “corridoio marittimo”, ma che anche su quegli aiuti saranno necessari i soliti controlli.
A parte la prima nave di Open Arms, è probabile che ci vorrà del tempo per far funzionare il corridoio umanitario, e che per raggiungere una certa frequenza nell’invio di aiuti bisognerà attendere la costruzione del molo da parte degli Stati Uniti. Anche su questo però ci sono diversi problemi, a partire dal tempo che servirà per realizzarlo: potrebbero volerci settimane (oppure perfino qualche mese, hanno detto i funzionari americani), ma la situazione a Gaza è così grave che il bisogno di aiuti è immediato.
Diverse organizzazioni umanitarie hanno criticato questi piani, sostenendo che il modo più rapido e sicuro per far arrivare più aiuti possibili siano sempre i camion, e che in questo modo viene assecondato l’ostruzionismo di Israele anziché provare a forzarlo. Venerdì l’ong Medici Senza Frontiere in un comunicato ha definito il piano del molo statunitense «un’evidente distrazione», sostenendo che il problema di far arrivare gli aiuti non sia logistico, ma politico (cioè che non serva farli arrivare in modi diversi, ma solo convincere Israele a farli entrare e a distribuirli in modo sicuro).
Anche l’altro metodo sperimentato finora per far entrare gli aiuti, quello con i paracadute, sta avendo dei problemi: venerdì il governo della Striscia ha fatto sapere che cinque persone sono state uccise da un carico che era stato paracadutato, dopo che un paracadute non si era aperto regolarmente.