Dopo dieci anni la scomparsa del volo MH370 è ancora un mistero
L'aereo di Malaysian Airlines scomparve nelle prime ore dell'8 marzo nel Mar Cinese Meridionale con 239 persone a bordo: lo cerchiamo da allora
L’8 marzo di dieci anni fa un aereo di linea che trasportava 239 persone scomparve dai radar mentre sorvolava il Mar Cinese Meridionale e non fu mai più trovato.
Da allora la sparizione del volo MH370 della compagnia aerea Malaysian Airlines ha appassionato moltissime persone, ha portato a campagne di ricerca costose quanto inconcludenti ed è diventata uno dei più grandi misteri nella storia dell’aviazione civile. Ancora oggi, dopo dieci anni, non sappiamo quali furono le cause della sua scomparsa, ma soprattutto non conosciamo di preciso il punto in cui l’aereo precipitò, probabilmente inabissandosi nell’oceano e causando la morte di tutte le persone a bordo. Periodicamente ci sono annunci su nuove ricerche che potrebbero portare alla scoperta della scatola nera, ma l’oceano è grande e profondo e forse non sapremo mai di preciso che cosa accadde al volo MH370.
Era iniziato tutto in una giornata come tante altre all’aeroporto internazionale di Kuala Lumpur in Malaysia. L’aeroplano – un Boeing 777-200ER – era stato preparato per effettuare un volo fino all’aeroporto internazionale di Pechino in Cina, una tratta di cinque ore e mezza abbastanza trafficata e frequentata per lo più da passeggeri cinesi. A bordo quel giorno ne erano saliti 227 e c’erano 12 persone dell’equipaggio.
Il volo MH370 era partito alle 00:42 da Kuala Lumpur (in Italia erano le 17:42 del 7 marzo) sette minuti dopo l’orario previsto, un ritardo minimo per un volo di linea e facilmente recuperabile nella fase di crociera; le condizioni meteo erano del resto nella norma e senza che fossero stati segnalati particolari rischi o problemi. Poco dopo l’una di notte, l’equipaggio confermò al centro di controllo per l’area di Kuala Lumpur di avere raggiunto 10.700 metri di altitudine e di essere normalmente sulla rotta prevista per raggiungere Pechino.
Intorno all’una e venti, il comandante dell’aeroplano comunicò di essere pronto al trasferimento del controllo aereo da quello della Malaysia a quello del Vietnam. Anche in quel caso la comunicazione fu ordinaria e il comandante salutò il controllo di volo malese con una frase che sarebbe stata molto citata negli anni successivi, più che altro per la sua normalità: «Buona notte. Malaysian tre sette zero».
A quel punto il volo MH370 si sarebbe dovuto mettere in contatto con i controllori di volo di Ho Chi Minh, visto che stava entrando nello spazio aereo vietnamita, ma non ci furono comunicazioni. Dalla partenza da Kuala Lumpur erano passati 38 minuti e l’equipaggio aveva smesso di comunicare a terra, ma l’aereo poteva essere ancora rilevato da alcuni sistemi radar e satellitari, in questo caso basandosi su alcune trasmissioni inviate automaticamente dall’aeroplano.
In mancanza di informazioni, i controllori di volo vietnamiti si misero in contatto con quelli malesi. Seguirono ore di lavoro per provare a ripristinare una via di comunicazione e soprattutto per provare a capire dove si trovasse l’aereo, ammesso fosse ancora in volo. I primi tentativi furono vani e poco dopo le 7 del mattino Malaysian Airlines diffuse un breve comunicato, annunciando di avere perso il volo MH370, che sarebbe dovuto atterrare a Pechino circa un’ora prima. La compagnia aerea disse di avere avviato un coordinamento con il governo malese per le attività di ricerca, soccorso e recupero.
Le informazioni in quel momento erano pochissime. Di solito, quando si verificano problemi a bordo, l’equipaggio segnala ciò che sta accadendo a terra, in modo che possano essere organizzati i soccorsi. Anche nella peggiore delle ipotesi, un aereo a oltre diecimila metri di altitudine impiega del tempo prima di precipitare, e i malfunzionamenti sono raramente improvvisi, quindi l’equipaggio ha tempo per comunicare un problema. Dal volo MH370 non era però arrivato nessun segnale e nessun aggiornamento sulla posizione: sembrava essere scomparso e basta.
In alcune fasi di volo un aereo non comunica necessariamente di continuo la propria posizione: questa viene però dedotta a terra dai punti radio ai quali si è collegato, dalle rilevazioni radar e dalle comunicazioni dell’equipaggio con i centri del controllo aereo. All’epoca alcuni dati venivano trasmessi tramite collegamenti satellitari, ma derivare da questi una posizione esatta era complicato e ritenuto poco necessario visti tutti gli altri sistemi per capire dove si trovasse un aeroplano. Nelle ore e nei giorni seguenti l’analisi di quei dati portò tuttavia a scoprire che il volo MH370 a un certo punto avesse cambiato drasticamente rotta rispetto a quella prevista per raggiungere Pechino.
Dalla ricostruzione dei dati radar si scoprì che invece di proseguire verso nord-est, l’aereo aveva virato verso sud-ovest mentre si trovava tra il Golfo di Thailandia e il Mar Meridionale Cinese. Aveva attraversato nuovamente lo spazio aereo della Malaysia e aveva poi virato verso nord-ovest allontanandosi verso l’oceano Indiano in direzione delle isole Andamane.
Mentre le ricerche iniziavano a concentrarsi in quella zona, con numerosi aerei da ricognizione, una analisi dei dati satellitari portò novità sorprendenti. Non solo il volo MH370 aveva seguito una rotta quasi opposta a quella che avrebbe dovuto seguire, ma proseguì probabilmente per ore la navigazione dopo la scomparsa dai radar raggiungendo la parte sud-orientale dell’oceano Indiano. Fu identificato un lungo arco, cioè una serie di coordinate, dove l’aereo si sarebbe potuto inabissare, probabilmente molto al largo della costa occidentale dell’Australia.
Data l’enorme estensione dell’area, le attività di ricerca sarebbero diventate le più costose nella storia dell’aviazione civile. Coinvolsero sia governi nazionali come quello della Malaysia e dell’Australia, sia società private, non solo con aerei da ricognizione, ma anche con mezzi sottomarini per provare a identificare i resti dell’aereo, e soprattutto i registratori di bordo (la cosiddetta “scatola nera”, che non è nera) con le registrazioni delle conversazioni nella cabina di pilotaggio e i dati di bordo.
Tra il 2015 e il 2016 la scoperta di alcuni frammenti della cabina di un aereo arrivati sulle spiagge di alcuni paesi che si affacciano sull’oceano Indiano, poi confermati come appartenenti al volo MH370, furono considerati come un ulteriore indizio sulla rotta effettivamente seguita dall’aereo. I ritrovamenti diedero nuova spinta alle ricerche, che durarono per altri tre anni in un’area grande 120mila chilometri quadrati (poco più di un terzo dell’Italia); non arrivarono però risultati e così il governo dell’Australia decise di interromperle. Nel 2018 furono interrotte anche le ricerche da parte di Ocean Infinity, l’azienda statunitense che per circa sei mesi aveva provato a scandagliare un’area dell’oceano Indiano in cerca dell’aereo.
Furono proposte numerose ipotesi sulle ultime ore del volo MH370, ma a oggi nessuna ha ricevuto conferme o ha acquisito maggiori solidità. Fu per esempio ipotizzato che l’aereo si fosse depressurizzato quando si trovava a 10mila metri, senza che funzionassero adeguatamente i sistemi per fornire ossigeno all’equipaggio e ai passeggeri in casi di emergenza di questo tipo. Tutte le persone a bordo avrebbero perso i sensi e l’aereo avrebbe continuato a volare con i sistemi automatici, prima di perdere quota e infine schiantarsi sulla superficie dell’oceano. L’ipotesi è stata contemplata da molti esperti, ma ancora oggi non c’è un consenso intorno a questa ricostruzione.
In mancanza di dati concreti circolarono molte altre teorie, alcune più creative di altre. Negli anni è stato ipotizzato che la scomparsa del volo MH370 fosse il frutto di un dirottamento finito male, attuato o da alcuni dei passeggeri o da alcuni membri dell’equipaggio. Ci furono ipotesi su un attacco terroristico, sulla scelta del pilota di suicidarsi come avvenuto con un altro volo sulle Alpi francesi, oppure sulla possibilità che si fosse sviluppato un incendio a bordo o ancora che l’aereo fosse stato abbattuto per errore con un razzo.
Quest’ultima ipotesi ottenne un certo seguito anche per via dell’abbattimento di un aereo sempre gestito da Malaysia Airlines, quattro mesi dopo la scomparsa del volo MH370. Il 17 luglio 2014, infatti, il volo MH17 era stato abbattuto mentre era in volo sopra l’Ucraina da un missile terra aria di un sistema di lancio sotto il controllo delle forze secessioniste filorusse del Donbass.
Nel luglio del 2018 il governo della Malaysia pubblicò un rapporto sul volo MH370 che lasciava aperte molte questioni legate alla scomparsa dell’aereo. Il documento ammetteva comunque che ci fossero stati errori nella gestione delle comunicazioni tra l’aereo e il controllo aereo malese nei minuti subito dopo la sparizione del volo. Il modo in cui furono gestiti i primi giorni dell’emergenza fu aspramente criticato dai familiari dei passeggeri che si unirono poi in associazioni, sia per richiedere nuove indagini sia per ottenere risarcimenti per la perdita dei loro cari. Ogni anno familiari e amici dei passeggeri organizzano incontri e manifestazioni per chiedere maggiore chiarezza sul volo MH370.
A distanza di dieci anni sembra però difficile che possano emergere nuovi elementi per ricostruirne gli ultimi momenti. Un documentario in tre parti diffuso un anno fa da Netflix ha raccontato l’intera vicenda, dando spazio alle testimonianze di chi conosceva le persone a bordo, ma non ha comunque portato nuovi elementi o spunti che potrebbero essere utili per le ricerche e per le indagini. Diversi altri documentari sono stati dedicati negli anni alla vicenda del volo MH370, spesso soffermandosi sugli aspetti meno chiari e più misteriosi della scomparsa, o riprendendo ipotesi poco credibili e al limite delle teorie del complotto.
Di recente la società Ocean Infinity, che aveva già partecipato a una parte delle ricerche, ha proposto di riaprire le ricognizioni nell’oceano Indiano. La società suggerisce di cercare in una specifica area lungo un arco di coordinate ristretto, una cinquantina di chilometri a sud di dove alcuni modelli al computer hanno indicato la probabile zona di caduta dell’aereo. In dieci anni la società dice di avere compiuto importanti progressi, soprattutto nello sviluppo di nuovi mezzi automatici sottomarini che potrebbero portare alla localizzazione dei registratori di bordo.
La profondità del fondale nell’area di ricerca proposta è di 4mila metri e la temperatura dell’acqua è intorno agli 1-2 °C. Le correnti nella zona non sono particolarmente forti, quindi, secondo alcuni esperti, se i detriti fossero lì in fondo non si sarebbero spostati più di tanto in questi dieci anni. Ocean Infinity propone di avviare le ricerche senza chiedere denaro al governo malese: il pagamento sarebbe richiesto solo nel caso in cui fosse trovato qualcosa. In seguito anche alle pressioni da parte delle associazioni dei familiari e degli amici dei passeggeri, in occasione del decimo anniversario dalla scomparsa, il governo malese ha dimostrato un certo interesse per la proposta dicendo che comunque il denaro non sarebbe un problema.
Ritrovare qualcosa del volo MH370 non solo aiuterebbe chi ha perso una persona cara a chiudere per lo meno simbolicamente una vicenda lunga e dolorosa, ma potrebbe essere anche importante per migliorare ulteriormente i sistemi di sicurezza sugli aerei nel caso in cui l’incidente fosse stato causato da un’anomalia legata ai sistemi di bordo.
La scomparsa del volo MH370 ha comunque già avuto un importante effetto sulle procedure e sui sistemi di controllo per la sicurezza del volo. La revisione di alcuni standard ha per esempio portato a richiedere l’utilizzo di batterie che durino più a lungo sui sistemi di localizzazione subacquei, cioè i dispositivi che emettono impulsi sott’acqua in modo da indicare la presenza dell’aereo o di ciò che ne resta. Tra le altre misure adottate ci sono tempi maggiori di registrazione delle conversazioni nella cabina di pilotaggio e dei dati prodotti dai sistemi di bordo, in modo da poter ricostruire meglio le dinamiche di un incidente al recupero delle “scatole nere”. Sono stati anche adottati nuovi sistemi per la localizzazione degli aeroplani quando sono in volo sopra gli oceani, in modo da avere dati più affidabili e aggiornati in tempo reale.
Tutti questi accorgimenti non avrebbero probabilmente evitato la fine del volo MH370, ma l’avrebbero forse resa meno misteriosa.