In Irlanda si vota per rendere la Costituzione meno sessista e più inclusiva
Oggi si tengono due referendum: uno sul concetto di famiglia al di fuori del matrimonio, l'altro per eliminare un articolo che attribuisce alla donna la responsabilità del lavoro domestico
Oggi in Irlanda ci sono due referendum per decidere se modificare la Costituzione, approvata nel 1937. Con il primo voto i cittadini e le cittadine decideranno se estendere il concetto di famiglia perché includa esplicitamente anche le relazioni durature al di fuori del matrimonio. Il secondo voto chiede di eliminare la cosiddetta clausola “women in the home” (“donne in casa”), secondo cui il bene comune dello Stato si fonda sulla vita domestica delle donne. Secondo questa clausola, lo stato irlandese deve tra l’altro sforzarsi nel garantire che le madri non siano obbligate a lavorare fuori casa, e che quindi non trascurino i loro doveri di cura della casa e dei figli.
In altre parole, si vota per rendere la Costituzione irlandese meno sessista e più inclusiva, anche se le modifiche proposte non hanno soddisfatto del tutto le aspettative dei movimenti femministi.
Con il primo referendum si propone di modificare gli articoli 41.1 e 41.3 della Costituzione nei passaggi in cui parlano di famiglia fondata sul matrimonio quale nucleo primario, naturale e fondamentale della società. Se vincesse il “Sì”, al matrimonio sarebbero affiancate anche altre unioni definite «durature». Gli oppositori alla modifica sostengono che non sia chiaro che cosa significhi «relazione duratura» e che dai tribunali questa vaga formulazione potrebbe essere interpretata in molti modi differenti, includendo le relazioni poligame o poliamorose.
Questa possibilità è stata però già esclusa dalla Commissione elettorale, che ha ricordato come l’articolo 41.4 della Costituzione definisca il matrimonio come un’unione tra «due persone» e come di «relazioni stabili» parli anche la Direttiva dell’Unione Europea del 2004 relativa al diritto dei cittadini e delle cittadine dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli stati membri. A partire da questa Direttiva, sul significato di «relazione duratura» si è insomma già creata un giurisprudenza a cui in futuro si potrà fare riferimento.
Nel secondo referendum verrà invece chiesto alle elettrici e agli elettori se vogliono abrogare l’articolo 41.2 della Costituzione, che dice: «Lo Stato riconosce che, con la sua vita domestica, la donna fornisce allo Stato un sostegno senza il quale il bene comune non può essere realizzato». Più avanti l’articolo dice anche che lo stato deve «sforzarsi di garantire che le madri non siano costrette, per necessità economica, a impegnarsi nel lavoro trascurando i loro doveri domestici». L’articolo verrebbe rimpiazzato con questo nuovo testo: «Lo Stato riconosce che le cure prestate dai membri di una famiglia in ragione dei vincoli che esistono tra loro danno alla società un sostegno senza il quale il bene comune non può essere realizzato».
Quando negli anni Trenta venne proposta in Costituzione, la clausola “women in the home” venne giustificata come un tentativo di riconoscere l’importanza del lavoro di cura che allora (come oggi) era assegnato e svolto quasi esclusivamente dalle donne, in modo che potessero rimanere a casa e non fossero costrette a lavorare per motivi economici.
L’accademica e femminista irlandese Ailbhe Smyth ha però spiegato come l’articolo 41.2 della Costituzione, al di là delle intenzioni, non ha mai rappresentato qualcosa di diverso da una clausola per «mettere le donne al loro posto e mantenercele»: per presentare cioè come accettabili le politiche che fino a un certo punto escludevano le donne dal lavoro e per fissare addirittura nella Costituzione una serie di stereotipi e discriminazioni ben radicate nella società, allora come oggi.
Fin da subito le organizzazioni femminili e femministe si opposero alla clausola “women in the home”, definendola un attacco al diritto al lavoro delle donne. Cercarono anche di boicottare il referendum che avrebbe portato all’approvazione della Costituzione, ma senza riuscirci. Il referendum si tenne il primo luglio del 1937 e passò con una maggioranza del 56,5 per cento. Il voto dell’8 marzo, dicono i movimenti femministi, sarà l’occasione di portare a termine il percorso iniziato di chi le ha precedute.
Per molte la modifica della clausola sarà fondamentale dal punto di vista simbolico, ma nei fatti non cambierà la vita reale delle donne. Quando infatti nel 2022 la Citizens’ Assembly on Gender Equality – l’assemblea istituita dal parlamento irlandese nel 2019 per fornire al governo una serie di raccomandazioni sulla parità di genere – propose di superare la formulazione di quello specifico articolo della Costituzione, suggerì non solo di sostituirla con un’alternativa neutrale rispetto al genere ma anche di inserire un obbligo per lo stato di adottare misure ragionevoli e concrete a sostegno del lavoro di cura. Il governo irlandese ha invece deciso di proporre una modifica della Costituzione più morbida che fa riferimento solamente a un obbligo morale a rispettarla: secondo molte femministe non sarebbe sufficientemente efficace.
Inoltre, resta il fatto che il lavoro di cura, anche in Irlanda, è intrinsecamente legato al genere. Secondo i dati del 2021 della Citizens’ Assembly on Gender Equality chi nel paese si occupa del lavoro di cura a tempo pieno è al 98 per cento una donna. Lo stato, come ha scritto qualche giorno fa sul Guardian la commentatrice irlandese Dearbhail McDonald, «semplicemente non può funzionare senza il contributo economico delle donne».
In Irlanda esiste insomma uno squilibrio significativo e persistente tra uomini e donne per quanto riguarda il lavoro domestico e di cura non retribuito, ma anche per quanto riguarda il lavoro retribuito: esiste cioè un divario di retribuzione tra uomini e donne a parità di mansioni.
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In Irlanda la Costituzione può essere modificata solo tramite un referendum. Se nel referendum dell’8 marzo la maggioranza dei voti sarà a favore della proposta di modifica, e se nessuna petizione che ne contesti il risultato verrà presentata ai tribunali entro sette giorni dalla sua pubblicazione, il presidente dell’Irlanda firmerà il disegno di legge e la Costituzione sarà parzialmente riscritta. Se invece vinceranno i “No” resterà com’è.
La gran parte dei partiti rappresentati al parlamento irlandese è favorevole a entrambi i referendum: sia quelli attualmente al governo (il Fianna Fáil e il Fine Gael, di centrodestra, e i Verdi), sia i principali partiti all’opposizione, compreso il Sinn Féin, partito nazionalista di sinistra. Anche i sondaggi dicono che i cittadini e le cittadine sono in maggioranza propense a votare “Sì” a entrambi i quesiti costituzionali.
A fine febbraio nelle chiese cattoliche del paese, durante la messa, è stata invece letta una dichiarazione dei vescovi in cui è stato chiesto di votare “No” a entrambi i referendum perché le modifiche proposte metterebbero in discussione il valore della vita familiare e quello della maternità.
Nel 2015 l’Irlanda, un paese in cui la religione cattolica è molto influente e radicata, era diventato il primo al mondo a legalizzare i matrimoni tra persone dello stesso sesso attraverso un voto popolare e, sempre attraverso un referendum, tre anni dopo aveva eliminato dalla Costituzione il divieto quasi totale di interrompere volontariamente una gravidanza.