In Calabria i medici cubani sono serviti eccome
Mediche e medici degli ospedali calabresi ne parlano con entusiasmo e gratitudine, pur riconoscendo che i problemi strutturali della sanità regionale sono ancora tutti lì
Quando mediche e medici calabresi parlano dell’aiuto offerto negli ultimi due anni dai medici cubani usano espressioni come «una boccata d’ossigeno» o «indispensabili». In un servizio sanitario regionale estremamente carente, sotto commissariamento da oltre un decennio, la collaborazione dei medici cubani è vissuta come una sorta di tregua. L’ultimo contingente è arrivato in Calabria a febbraio, 98 medici in tutto suddivisi nelle cinque aziende sanitarie provinciali della regione: Cosenza (44), Vibo Valentia (17), Crotone (11), Reggio Calabria (10) e Catanzaro (10), oltre a 6 medici nell’azienda ospedaliero universitaria “Renato Dulbecco” di Catanzaro.
I medici cubani lavorano in Calabria ormai da quasi due anni, grazie a un accordo tra la regione e una società partecipata dal governo cubano, firmato a luglio del 2022 per 497 medici cubani in tutto. Al momento in Calabria ce ne sono 270. L’accordo prevede che i medici cubani restino fino al 2025 per dare una mano e tentare di rimettere in sesto il servizio sanitario locale, che è in una situazione disastrosa: mancano da tempo medici, infermieri, operatori sanitari, ma anche ambulanze, consultori e studi medici, e negli ultimi anni sono stati chiusi o depotenziati moltissimi ospedali.
L’arrivo dei medici cubani è stato accompagnato fin da subito da critiche e polemiche perché considerati una soluzione provvisoria e non strutturale ai problemi della sanità calabrese, perché poco efficaci o non abbastanza titolati, perché secondo alcuni le loro condizioni di lavoro potrebbero costituire “lavoro forzato”. Mediche e medici di ospedali calabresi respingono gran parte di queste critiche: ritengono che pur non avendo risolto i problemi strutturali della sanità calabrese, e pur con qualche difficoltà di ambientamento, i medici cubani stiano dando un enorme aiuto agli ospedali locali, e che l’incontro con la comunità locale sia stato tutto sommato positivo.
«Con tutte le polemiche che ci sono state se mezza cosa fosse andata storta sarebbe scoppiato un putiferio», dice Rubens Curia, medico calabrese e portavoce di “Comunità competente”, una rete informale di associazioni e comitati di cittadini molto attiva sul tema della sanità e non solo. Curia paragona l’arrivo dei medici cubani all’aspirina: «Fa scendere la febbre, fa sentire meglio, ma non cura: per curare ci vogliono terapie che agiscano in profondità, alle radici del problema».
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L’impatto più significativo si è visto negli ospedali più piccoli, per esempio quello di Polistena, un piccolo comune da quasi 10mila abitanti nella piana di Gioia Tauro, vicino a Reggio Calabria. L’ospedale di Polistena serve tutta la piana, un’area in cui vivono oltre 170mila persone.
Francesca Liotta, attuale dirigente sanitaria dell’ospedale, dice che i medici cubani sono arrivati «in un momento critico, in cui per carenza di personale stavamo per chiudere la rianimazione» che proprio i medici cubani hanno permesso di mantenere attiva. Liotta dice che stanno dando un grosso aiuto anche al pronto soccorso, «sostanzialmente aperto grazie a loro», e nel reparto di pediatria. Enzo Amodeo, direttore del reparto di cardiologia nello stesso ospedale, dice che il suo reparto «era in fase agonizzante» quando sono arrivati i medici cubani, che oggi «fanno i turni di notte, operano con me, sono completamente integrati e ci permettono di affrontare ogni emergenza».
All’ospedale di Polistena, come in altri ospedali, prima dell’arrivo dei medici cubani il problema principale riguardava l’impossibilità di coprire i turni. I medici lavoravano fino a 18 ore al giorno in corsia, senza riuscire comunque a garantire i servizi essenziali.
Liotta racconta anche di essere stata inizialmente molto scettica sull’arrivo dei medici cubani. Lavora da oltre trent’anni all’ospedale di Polistena, che definisce «un po’ come casa mia», e all’inizio si chiese se non sarebbe stato troppo impegnativo formare i medici cubani in un momento di grande pressione dovuto alla pandemia. Al contrario, sia lei che Amodeo dicono che dopo un breve periodo di assestamento il lavoro quotidiano in ospedale è migliorato.
L’aiuto offerto dai medici cubani non si è limitato solo alla copertura dei turni. La sanità cubana è generalmente nota per essere di alto livello, con personale molto preparato. Liotta conferma che il servizio è stato di ottima qualità: «Ci sono tecniche su cui sono più avanzati di noi, e altre in cui sono stati loro a imparare da noi: è un incontro che è servito a entrambi».
C’è stato poi un altro livello di aiuto, meno pratico e non legato strettamente alla sanità. Liotta, Amodeo, Curia e altre due persone, che hanno seguito i medici cubani dopo il loro arrivo in Calabria per i corsi di lingua, li hanno descritti come persone molto collaborative e orgogliose dell’aiuto che offrivano: «Nella situazione in cui eravamo, allo stremo, veder arrivare decine di persone entusiaste, calorose e piene di voglia di fare ha anche sollevato il morale di chi lavorava in ospedale, proprio nella quotidianità», ha detto Liotta.
Leyva Liz Perez e Roldan Valdes Gonzalez sono una medica e un medico cubani che lavorano all’ospedale di Vibo Valentia, nel sud della Calabria. Sono due intensivisti, cioè specializzati in terapia e rianimazione, e parlano con orgoglio del loro lavoro: lei dice di essere stata colpita dalla gratitudine di tutte le persone incontrate in Calabria e di essere orgogliosa di poter aiutare il popolo calabrese, lui parla di Cuba come di una nazione che grazie alla medicina riesce a essere solidale nei confronti dei paesi che hanno bisogno di aiuto. Luis Enrique Pérez Ulloa, capo della missione medica in Calabria, conferma le sensazioni dei “suoi” medici: «Si sentono molto bene qui e lavorano duro a causa della mancanza di medici italiani».
Soprattutto nella prima fase il progetto è stato al centro di polemiche, ritenuto “lavoro forzato”, una “schiavitù”, una “tratta di esseri umani”. Le accuse, rivolte al governo cubano da alcune ong, riguardano le modalità di pagamento e le condizioni di lavoro dei medici: si contesta il fatto che degli oltre 4mila euro mensili corrisposti dalla regione Calabria alla società partecipata Comercializadora de servicios médicos cubanos, ai medici cubani ne arrivano circa 1.200 ciascuno. Si contesta anche che i medici vengano obbligati a partecipare alle missioni all’estero e che chi le abbandona rischi la prigione e la revoca della propria abilitazione alla professione. Perez, Gonzalez e Ulloa ritengono queste accuse infondate.
In altri contesti è capitato che i medici cubani effettivamente protestassero contro le condizioni di lavoro. Parlando della propria personale esperienza, comunque, Perez e Gonzalez dicono entrambi che «i medici cubani guadagnano quanto un medico italiano» (non specificano quanto) e che sono venuti in Calabria volontariamente, senza essere obbligati.
Il ricorso a medici cubani non è una pratica solo calabrese: anche altre regioni italiane, tra cui la Sardegna, li hanno chiamati e in alcune già lavorano. Più in generale, la storia delle missioni all’estero dei medici cubani è iniziata negli anni Sessanta e ha spesso riguardato paesi in via di sviluppo. Numero e dimensioni delle missioni sono aumentate soprattutto durante e dopo la pandemia da coronavirus, e hanno permesso a Cuba di ricavare grosse entrate economiche: nel 2021 si stima che l’affitto dei medici cubani abbia portato a Cuba una cifra stimata intorno ai 6 miliardi di dollari.
Medici e mediche italiane concordano comunque sul fatto che i medici cubani siano solo una soluzione temporanea a una situazione di gravi carenze strutturali ancora ampiamente irrisolte. Rubens Curia, di “Comunità competente”, ritiene che le responsabilità siano sia nazionali che regionali: nel primo caso riguardano soprattutto i continui tagli alla spesa pubblica per la sanità, che in Calabria e non solo stanno avendo effetti devastanti sugli ospedali e su diversi servizi socio-sanitari territoriali, come i consultori. Nel secondo, Curia dice che la regione Calabria non ha approfittato a sufficienza delle misure straordinarie introdotte durante la pandemia per potenziare il servizio sanitario regionale, che tra le altre cose prevedevano la possibilità di assumere più personale. «Cuba sta aiutando, e non certamente salvando, il nostro servizio sanitario regionale», dice Curia.